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Supereroe mon amour

Di Giorgio Romeo |

Che effetto le fa essere uno dei più apprezzati autori di supereroi americani?

«Quando ero bambino l’idea di diventare un disegnatore professionista era per me una sorta di sogno proibito. Sono cresciuto in piccolo paese di 8.000 abitanti in provincia di Reggio Emilia e i fumettisti rappresentavano per me quasi delle figure mitologiche. Non avrei mai immaginato che sarei diventato uno di loro, figuriamoci poi per il mercato americano».

Poi cos’è successo?

«Ho iniziato a lavorare da semi-autodidatta. Lungo la mia carriera l’unico corso che ho seguito è stato un serale quando andavo in prima superiore. Approcciare il mercato americano sembrava impossibile, ma mi ha guidato molto l’esempio di Claudio Castellini: lui veniva da Dylan Dog, ma con lavori come “Marvel contro DC” (1996) dimostrò che si poteva fare. Così acquistai un biglietto per volare alla fiera del comics di San Diego, dove il mio portfolio fu notato in Vertigo. La cosa interessante è che il meccanismo con cui ci s’interfacciava con gli autori americani non era molto diverso da quello di Lucca».

Come si fa a mantenere una propria identità da artista e nel contempo rispettare un personaggio che ha avuto tanti autori? A quali colleghi guarda con maggiore attenzione?

«Credo che la chiave per mantenere sempre viva la passione stia nel relazionarsi ai fumetti con lo spirito del fan. Io osservo molto il lavoro dei miei colleghi, anche quelli più giovani. Leggere una storia, anche recente, significa per me tornare il bambino che ero. Allora la mia interpretazione è naturalmente filtrata da tutto ciò che mi ha più ispirato».

In che misura ritiene che il cinema e altri linguaggi abbiano contribuito alla massificazione mediatica del mondo dei supereroi?

«Senza dubbio personaggi come Spiderman sono sempre stati delle icone, ma grazie ai film anche Wolverine o Ant-Man sono diventati universali. Se prima qualcuno mi chiedeva chi fossero quando li disegnavo, oggi questo non accade più. Chiaramente a noi spetta una responsabilità non indifferente nel maneggiare questi personaggi: ho visto miei disegni trasformati in murales e perfino una mia copertina divenire un tatuaggio. Naturalmente, però, poi la voglia di divertirsi prende il sopravvento e tutto diventa naturale. L’importante è mettersi sempre in discussione. Credo che immedesimarsi nei panni del lettore sia il miglior modo di valutare il proprio lavoro. Io mi domando sempre: leggerei volentieri il fumetto a cui sto lavorando?»

Il consiglio per un giovane autore è quindi quello di essere sempre un lettore vivace?

«Non smettere mai di essere lettori è fondamentale. Quando mi rivolgo ai miei studenti della scuola Internazionale di Comics di Reggio Emilia chiedo spesso loro di copiare delle tavole. Si tratta di un esercizio importante, che potrebbe essere assimilato a quello che una band musicale fa quando realizza la cover di un grande brano. Del resto, si può anche avere un talento straordinario, ma quanti Mozart ci sono stati negli ultimi secoli? Leggere i lavori altrui significa ampliare la propria memoria visiva e aprirsi a nuove soluzioni grafiche. Comprendere la griglia, l’inquadratura, le scelte registiche ti rende senza dubbio un disegnatore migliore».

Sebbene lei sia noto per molti lavori. La sua figura è molto legata a Spiderman. È questo il suo supereroe preferito?

«Sicuramente lo era quando ero piccolo, ma anche allora amavo spaziare. Se una settimana in edicola compravo l’Uomo Ragno, quella successiva prendevo Devil perché mi piaceva Gene Colan. Tutt’ora Spiderman è uno dei miei preferiti, ma al pari di Batman e Wolwerine, che amo sia da lettore sia da disegnatore».

In che modo è cambiato, a suo avviso, il mondo del “fumetto supereroistico” col passare del tempo?

«L’evoluzione è figlia dei tempi. Quando Stan Lee ha proposto la sua visione di supereroe con super problemi ha introdotto un elemento di rottura: quello umano. Di colpo personaggi fino ad allora “perfetti” erano più simili a noi. L’evoluzione di tutto questo oggi è la presenza di grandi temi come l’inquinamento, la guerra, la politica, il bullismo, l’anoressia. Questo genere non deve mai essere di puro escapismo, ma far pensare. C’è altro al di là delle scazzottate».

E i lettori? Sono cambiati anche loro?

«Sebbene in passato ci sia stato un momento che sembrava far presagire l’assenza di un ricambio generazionale oggi, proprio grazie a film e videogiochi, ci sono molti più ragazzi che leggono fumetti in maniera accurata e collezionistica. Il rapporto col pubblico, invece, si è evoluto grazie ai social: Facebook e Twitter rendono tutto più diretto. Se in passato era necessario essere presenti in fiera per avere il polso della situazione, oggi a un editore basta pubblicare un’anteprima su internet per capire la reazione del pubblico».

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