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In mano al caporalato anche i pescatori: si va in mare per 25-30 €

Di Andrea Lodato |

Crisi che sta tutta nelle cifre, nelle statistiche impietose, ma anche nell’emergere prepotente di nuovi risvolti drammatici. Lavorando sulla situazione disastrosa della pesca siciliana, infatti, la Federazione Sociale del sindacato Usb di Catania, ha raccolto una serie di inquietanti elementi che accendono i riflettori sull’ennesima piaga per il sistema del lavoro in Sicilia. Siamo, infatti, al caporalato ormai esploso anche nel comparto marinaro. Se fino a ieri l’allarme era concentrato sul lavoro delle campagne, dove il caporalato negli ultimi anni ha assunto proporzioni gigantesche con la crisi che ha investito il settore e con la presenza di lavoratori immigrati che sono le prime vittime delle organizzazioni criminali, oggi il fenomeno anche nella pesca è diventato da allarme. Allarme sociale e allarme legalità. I militanti dell’Usb, come raccontano nel dettaglio nelle interviste nel secondo articolo della pagina, hanno ascoltato le testimonianze di decine di pescatori che hanno confermato che sempre di più è presente ed attivo il caporalato del mare, quello che sfrutta manodopera in nero e a basso costo, con l’utilizzo, spesso, anche di piccole barche. Nella riviera catanese ad agire sono organizzazioni mafiose, che hanno moltiplicato azioni intimidatorie nei confronti di singoli pescatori, con barche date alle fiamme, barche bucate, con pescatori che, da un giorno all’altro, hanno venduto la barca per improvvisarsi (è una delle storie raccolte dall’Usb) imbianchini.

Man mano che sono andate in crisi le famiglie storiche che gestivano la pesca nell’Isola, dal 2000 a oggi i pescherecci siciliani si sono ridotti da circa 4500 a poco più di 2500, è cresciuta la penetrazione della malavita che ha cominciato ad imporre le sue tariffe, facendo crollare l’importanza di una manodopera che, tradizionalmente, rappresentava il valore aggiunto della nostra marineria e come tale veniva retribuito, considerata anche la durezza del lavoro svolto.

Nell’intera filiera ittica siciliana oggi i lavoratori sono circa 30 mila, 10 mila di questi sono pescatori. Gente che viene, quasi sempre, da storie familiari legate al mare, ai porti, alle barche e alle reti. Oggi, spesso, costretta ad andare in mare per non più di 25 euro, 30 quando va proprio bene e, soprattutto, quando di torna con il pescato. Se no siamo alla mancia. Ha raccontato Mariano, pescatore di Acitrezza, al sindacalista e giornalista di Usb, Orazio Vasta: «In questo porto siamo una decina di pescatori e con le nostre barche di legno e ci sono anche padri di famiglia. Niscemu fora anche per meno di 30 euro. E semu non meno di tre per barca. E senza nessuna garanzia. Qualunque cosa succeri, la paghiamo noi, in tutti i sensi. E se la pesca è scarsa, chiddi non ci danno niente».

Il quadro è questo, all’orizzonte nulla di buono. A meno che, scrivono e dicono dall’Usb, l’Italia non trovi la forza di negoziare bene con l’Unione europea politiche che sino ad oggi hanno finito con il penalizzare la nostra marineria. Sino ai giorni scorsi è insorto il governo regionale per la questione delle quote tonno. Ma qui il quadro che emerge dall’inchiesta dell’Usb è, se possibile, reso ancora più grave da queste infiltrazioni mafiose nel sistema della pesca e del lavoro. Servono altre politiche, servono più controlli, serve meno precarizzazione di tutte le forme di lavoro per dare garanzie e stabilire parametri di tutele, di salari e di legalità. Se no la Sicilia rischia di affogare. In questo caso letteralmente.

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