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Nei campi del Ragusano “infestati” dallo sfruttamento dei braccianti persino la concorrenza tra poveri…

Di Carmelo Riccotti La Rocca |

Ragusa. Quella del caporalato in provincia di Ragusa è una vera e propria piaga sociale: lungo tutta la fascia trasformata del territorio ibleo si concentra un numero elevato di braccianti agricoli, molti dei quali provenienti da paesi dell’est. Se prima il lavoro nelle serre era maggiormente appannaggio dei magrebini, adesso infatti le cose nelle campagne del Ragusano sono cambiate con gli africani che non riescono a fronteggiare la concorrenza “sleale” dei romeni che lavorano a costi decisamente più bassi e non sono assolutamente sindacalizzati a differenza, ad esempio dei tunisini, presenti ormai nella provincia ragusana da diverse generazioni raggiungendo un alto livello di integrazione e sindacalizzazione.

Ciò che rende la concorrenza “sleale” è anche il fatto che gli immigrati provenienti da Paesi extra Ue per il rinnovo del permesso di soggiorno hanno bisogno di esibire buste paga e contratti di affitto. «Tra romeni e magrebini – ha spiegato Vincenzo La Monaca della Caritas- la convivenza non è semplice, c’è troppa conflittualità».

La maggiore concentrazione di braccianti sfruttati in agricoltura si registra nelle zone di Vittoria e Acate: recenti blitz delle forze dell’ordine hanno portato alla luce situazioni di degrado e di violenze. L’ultima operazione, in ordine di tempo, è stata effettuata nel giugno di quest’anno con la polizia che ha tratto in arresto cinque romeni per caporalato, associazione a delinquere, traffico di essere umani e sfruttamento pluriaggravato della prostituzione, anche minorile.

I caporali sono a volte persone del posto, ma spesso sono dei romeni integrati nel territorio e che, grazie ai giusti agganci, riescono a piazzare donne e uomini nelle campagne. Il reclutamento avviene direttamente in Romania e i lavoratori non passano nemmeno dai centri abitati: vengono trasferiti direttamente nel luogo di lavoro.

Le case in cui vivono sono delle vere e proprie catapecchie fatiscenti, i costi degli affitti sono alti ed aumentano per i servizi per così dire aggiuntivi come ad esempio l’acqua e la luce. I bagni si trovano quasi sempre all’esterno delle case ed in verità sono piuttosto delle latrine….

All’interno di ogni singola abitazione vivono interi nuclei familiari e i maschi spesso sono chiamati a vigilare il territorio circostante per evitare furti nelle aziende agricole.

La morfologia del territorio non consente di poter raggiungere con semplicità le case in cui vivono i braccianti: prima di poter giungere nelle loro abitazioni si devono infatti oltrepassare intere distese di campi e generalmente all’inizio delle trazzere è ubicata la casa di proprietà del caporale o del datore di lavoro.

Donne e uomini lavorano nelle serre, mentre le ragazzine o le nonne badano alla casa o ai bambini più piccoli.

Coloro i quali non vivono all’interno delle aziende la mattina attendono l’arrivo del caporale che li prende per portarli a lavoro: il costo del servizio, circa 5 euro a viaggio, viene decurtato dal salario del giorno. Il prezzo del trasporto aumenta se invece delle campagne la destinazione è un supermarket o un medico, in questo caso si arriva a pagare anche 50 euro per un viaggio (da Vittoria a Ragusa).

Secondo un report pubblicato recentemente dalla Diocesi di Ragusa, soltanto a Marina di Acate, realtà territoriale piccolissima ma con un’alta densità di serre, il 50 per cento delle aziende agricole si basa su lavoro illegale, gli operai ricevono paghe che oscillano da 2,5 ai 3 euro l’ora, senza riposi e, manco a dirlo, senza tutele.

Per Domenico Leggio, direttore della Caritas di Ragusa, si tratta di «una situazione di indecenza nella quale la dispersione scolastica, l’infanzia negata, lo sfruttamento sessuale delle donne, la mancanza di relazioni creano autentici ghetti».

Rispetto ad altre aree del Paese, dove il caporalato ha praticamente ovunque caratteristiche stagionali, nelle serre della fascia trasformata ragusana il fenomeno è invece strutturale perché in un anno si susseguono due o tre campagne produttive che richiedono la presenza di lavoratori per non meno di 240-250 giorni l’anno.

Nonostante in questi ultimi anni la Prefettura di Ragusa abbia messo in campo diverse iniziative per cercare di monitorare il fenomeno e abbia stipulato diversi accordi con le istituzioni romene al fine di riuscire a controllare il flusso cercando di trovare un equilibrio tra domanda ed offerta, e nonostante la nuova legge sul caporalato abbia fornito alla magistratura strumenti più efficaci di intervento, quella del caporalato rimane una piaga ancora tutta da debellare.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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