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L'INVESTIGATORE (INFORMATICO)

Videosorveglianza e sicurezza tra mito e realtà: quando le immagini sono decisive nelle indagini

Di Sebastiano Battiato |

L’utilizzo a fini investigativi di immagini provenienti da sistemi di video sorveglianza pubbliche e private è oramai una prassi consolidata e diffusa. Tali fonti di prova risultano decisivi per “incastrare” gli autori di delitti o di fatti criminosi in maniera inequivocabile. La stessa magistratura inquirente ne fa largo uso mediante le cosiddette intercettazioni ambientali anche ricorrendo a videocamere miniaturizzate degne dei migliori film di spionaggio. Molto spesso circolano in rete e non solo immagini che colgono in flagranza atteggiamenti violenti nei confronti di minori nella scuola, la presa in carico di tangenti o ancora i cosiddetti furbetti del cartellino.

Il potere evocativo delle immagini è a dir poco devastante in termini di impatto mediatico sia nell’immaginario collettivo che soprattutto nell’opinione pubblica. Gli inglesi a tal proposito affermano addirittura che Seeing is Believing, proprio a sottolineare come da un punto di vista cognitivo, anche inconscio, si riceve una tale conferma immediata dalla visione di immagini o di video che ritraggono una qualunque scena tale da ridurre paradossalmente il senso critico e l’analisi razionale. Questo fenomeno viene sfruttato ad esempio, nel mondo dei social, dove le bufale virali e le cosiddette fake news sono sempre più integrate da immagini manipolate ad-hoc che ne avvalorano la presunta veridicità e ciò risulta spesso determinante nell’adescare inconsapevoli navigatori del web e non solo.

Questa rubrica si pone come obiettivo quello di divulgare quali siano i risvolti tecnici e le reali potenzialità delle varie tecnologie coinvolte nel mondo delle investigazioni; per ciò che riguarda la videosorveglianza di massa possiamo intanto affermare che non rappresenta affatto la soluzione a tutti i problemi di sicurezza vera o presunta della nostra società. A questo proposito uno studio inglese del 2017 a cura del prof. Asbhy (The Value of CCTV Surveillance Cameras as an Investigative Tool: An Empirical Analysis) dimostra come, considerando circa 110.000 casi, riferiti a episodi criminali verificatisi nel quinquennio precedente all’interno del sistema dei trasporti nel Regno Unito, sebbene nel 45% circa di tali casi fossero effettivamente disponibili dei sistemi di video sorveglianza, sono nel 30% ciò è risultato utile alla risoluzione del caso. E’ questo uno dei primi studi condotti su larga scala, per un periodo temporale medio-lungo e condotto in un paese in cui negli ultimi anni gli investimenti su questo tipo di tecnologia sono stati notevoli. In Italia non abbiamo ancora statistiche di questo tipo ma ragionevolmente ci attesteremo sulle stesse percentuali.

I motivi per cui non si riesce poi ad estrarre informazioni utili sono diversi. Innanzitutto per quanto si possa essere granulari nelle installazioni di questi sistemi, non si riuscirà mai a coprire, tutti gli angoli delle nostre città e i vari obiettivi sensibili. Inoltre, a differenza di quanto si possa immaginare, la ripresa video da parte di un qualsiasi dispositivo fisso o portatile, offre sempre una versione della realtà parziale e comunque mediata dal dispositivo. Ciò significa che quello che riusciamo poi a vedere sullo schermo ha comunque una dimensione finita e limitata e sarà il risultato della combinazione di una serie di fattori fisici e tecnologici che ne degradano la qualità e quindi la vera informazione presente.

Si pensi banalmente al fatto che molto spesso si ha a che fare con riprese notturne o con risoluzione (numero di pixel complessivi) molto bassa. In questi casi gli elementi utili a disposizione degli investigatori si riducono al lumicino. Paradossalmente la maggior parte di noi possiede uno smartphone in grado di gestire, acquisire ed elaborare facilmente immagini e video ad altissima risoluzione ma poi magari installa nella propria abitazione sistemi a basso costo che ne pregiudicano l’utilità. E purtroppo, questa stessa problematica la si riscontra con una preoccupante frequenza nella rete pubblica di videosorveglianza. Riporto a tal proposito in basso un fotogramma di un video pubblicato dalla Polizia di Stato relativo ad un incendio doloso presso il Comune di Comiso di qualche anno fa in cui il dettaglio utile a risolvere il caso, comunque poi risolto per altre vie, non era proprio presente. Se l’informazione non viene acquisita, la qualità complessiva è troppo bassa, non esistono algoritmi e tecnologie informatiche in grado di inventarsi (è proprio questo il termine) il dettaglio mancante.

Diverso è il caso di cui si discute in questi giorni relativamenta ai video provenienti dal Cairo che gli investigatori e i tecnici della Procura di Roma stanno analizzando alla ricerca di riscontri per ciò che riguarda il caso Regeni, lo studente italiano ucciso in Egitto nel 2016. I sistemi di videosorveglianza, registrano tipicamente in modalità continua (24 ore al giorno); la quantità di spazio fisico necessaria in termini di storage su hard disk è molto rilevante, ha dei costi di gestione non indifferenti, si scontra con le giuste garanzie di legge a tutela della privacy dei soggetti ripresi. Per ovviare a ciò tali sistemi cancellano periodicamente i dati raccolti o esplicitamente, o semplicemente riscrivendo le informazioni più vecchie con il flusso dati più recente.

A volte i flussi di registrazione già nel giro di 24/48 ore vengono completamente sovrascritti. Bisogna essere tempestivi e riuscire ad acquisire i video rilevanti nell’immediatezza dell’evento. Inizialmente infatti la cancellazione è solo “logica”, termine tecnico per indicare che i file in questione non vengono fisicamente rimossi, ma piuttosto se ne perde il riferimento, una sorta di indirizzo, all’interno del supporto di memorizzazione. In questi casi tali dati, se presenti, possono almeno parzialmente essere recuperati grazie all’ausilio di informatici forensi e di tools opportuni. Nel caso del povero Regeni, per dolo o per imperizia, i video sono stati inizialmente acquisiti dopo quasi un mese dal ritrovamento del cadavere. Gli investigatori stanno cercando di recuperare eventuali frammenti video o singoli fotogrammi residui, alla disperata ricerca di qualche informazione utile anche nei giorni precedenti o successivi all’evento, ma le speranze che non siano stati sovrascritti sono veramente poche.

L’omicidio del piccolo Loris Stival del novembre del 2014, avvenuto a S. Croce di Camerina, è invece un esempio in cui i dati delle videocamere di una intera comunità vennero nell’immediatezza degli eventi subito acquisiti e a seguire elaborati per ricostruire al meglio le dinamiche della vicenda ed incastrando tutti i puzzle della triste storia di cui conosciamo gli esiti.

Possiamo quindi affermare che l’utilizzo di immagini e video provenienti da sistemi di video sorveglianza può e deve essere di supporto agli investigatori anche attraverso l’ausilio di esperti tecnici che trattino tali dati al meglio, ma d’altra parte è necessario che anche in questo campo cresca la consapevolezza tecnologica che implica anche la conoscenza dei limiti che un utilizzo “approssimato” di tale tecnologia può comportare.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA