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Trump al bivio: insistere sulla diplomazia o entrare nel conflitto contro l'Iran? Ma negli scenari c'è anche una terza via

La Casa Bianca non ha nascosto l’urgenza della situazione

Redazione La Sicilia

17 Giugno 2025, 16:53

Trump al bivio: insistere sulla diplomazia o entrare nel conflitto contro l'Iran? Ma negli scenari c'è anche una terza via

I messaggi contrastanti, ambigui, i soliti attacchi agli alleati con cui Donald Trump ha lasciato in anticipo il G7 in Canada, hanno l’effetto, forse opposto alle intenzioni del tycoon, di mostrare come il presidente americano in queste ore si trova a dover fare, al quinto giorno di guerra tra Israele e Iran, una scelta cruciale e difficile tra continuare a dare un’ultima speranza alla diplomazia oppure affidarsi alla forza devastante della "madre di tutte le bombe".

La Casa Bianca non ha nascosto l’urgenza della situazione quando la notte scorsa ha detto che il presidente lasciava in anticipo il Canada - come del resto aveva fatto anche in occasione del G7 del 2018 - a causa di "quello che sta succedendo in Medio Oriente". Anche se, con una delle giravolte a cui ormai ci ha abituati, poco dopo Trump ha detto che la sua partenza "non ha niente a che vedere con il cessate il fuoco" tra Iran e Israele, scagliandosi contro Emmanuel Macron che ha detto così.

E poi ancora in una nuova esternazione, Trump ha sostenuto che non si aspetta che Israele allenti la pressione sull'Iran, affermando che quello di cui c'è bisogno non è un cessate il fuoco ma "la fine del programma nucleare". Quello che accadrà “lo scoprirete nei prossimi due giorni. Lo scoprirete", ha concluso con la sua, anche questa ormai ben nota, ambiguità.

Secondo il New York Times, Trump deve decidere se entrare nel conflitto aiutando Israele a distruggere l’impianto di arricchimento nucleare sotterraneo di Fordow, che solo le più grandi bombe "bunker buster" sganciate dai cacciabombardieri americani B-2 possono raggiungere.

Segnali in questa direzione arriverebbero dal fatto che nel weekend gli Stati Uniti hanno iniziato a spostare verso l’Europa gli aerei cisterna per il rifornimento in volo dei caccia e ha ordinato lo spostamento verso il Medio Oriente di un secondo gruppo d’attacco, quella della portaerei Uss Nimitz. Al momento, scrive il Guardian, gli Usa non hanno nella regione B-2 - unici in grado di sganciare le Gbu-57 Mop, la bomba antibunker da 30mila libbre sviluppata dall’Air Force One, che è in grado di penetrare fino a 60 metri nel cemento - dopo che sei caccia stealth sono rientrati a maggio negli Usa dalla base Diego Garcia nell’Oceano Indiano.

«Trump sta assemblando le forze necessarie per attaccare Fordow - afferma Daniel Shapiro, ex ambasciatore in Israele - aerei cisterna, caccia e una seconda portaerei. Questo non significa che abbia preso la decisione, ma vuole avere l’opzione. Potrebbe essere un modo per fare pressioni sull'Iran per avere importanti concessioni?».

La scelta di ricorrere alla "madre di tutte le bombe" trasformerebbe gli Stati Uniti partecipanti diretti nel nuovo conflitto mediorientale, mettendo Trump nella posizione di avviare un tipo di guerra che, in due diverse campagne elettorali, ha sempre promesso di voler evitare. Scegliere la via della partecipazione ai bombardamenti - a cui Trump sembrerebbe aver alluso scrivendo sul suo Truth "tutti dovrebbero immediatamente evacuare Teheran" - sarebbe cedere alle pressioni di Benjamin Netanyahu e scegliere la strada dell’escalation, rischiando di chiudere completamente la via diplomatica.

Le contraddizioni

La Bbc sottolinea come però nelle intenzioni di Trump uno sviluppo del genere potrebbe non chiudere del tutto la via dell’accordo con l’Iran, ricordando come il presidente in questi giorni stia dando messaggi contrastanti, a volte dicendo come l’uso della forza aiuterebbe a raggiungere l’accordo e a volte sostenendo il contrario. Contraddizioni che potrebbero essere deliberate, in nome di quella strategia del "madman", del pazzo, di cui si parlava già ai tempi di Richard Nixon ed ora più volte invocata dai supporter del tycoon, tesa a procedere sempre in una sensazione di incertezza, imprevedibilità, rischio di escalation per costringere avversari - e anche alleati, se si pensa alla questione dei dazi - a cedere ai desideri del presidente.

L'altra strada

L’emittente britannica prospetta anche uno scenario diverso, quello in cui Trump decida di non coinvolgere gli Usa nella guerra, continuando a mantenere la posizione attuale, in cui le forze navali e le batterie missilistiche terrestri Usa stanno già aiutando la difesa israeliana contro la rappresaglia iraniana.

In questa direzione andrebbero anche i consigli di alcuni membri del suo Consiglio di Sicurezza Nazionale, che gli stanno chiedendo di non fare nulla per aiutare Israele ad intensificare gli attacchi contro l'Iran, soprattutto alla luce del fatto che alcuni missili iraniani hanno mostrato la capacità di "bucare"la difesa missilistica israeliana e americana.

Lo stesso vice presidente Jd Vance, che Trump potrebbe inviare insieme al suo super inviato speciale Steve Witkoff a parlare con gli iraniani, ha, come è noto, una posizione molto negativa su ogni tipo di coinvolgimento delle truppe e risorse americane in nuove guerre all’estero.

L’isolazionismo in salsa Maga in questi giorni sta trovando diversi portavoce, anche tra fedelissimi alleati di Trump, ad iniziare dal giornalista-attivista Tucker Carlson che sta esortando Washington a "mollare Israele", condannando i "guerrafondai" che "stanno chiedendo a Trump di ordinare raid aerei o un altro coinvolgimento militare diretto degli Usa nella guerra con l’Iran". Scetticismo è espresso anche da diversi esponenti, super Maga, del Congresso, a partire dall’estremista di destra Marjorie Taylor Greene su X è perentoria: "Chiunque sbavi per avere gli Usa coinvolti pienamente nella guerra Israele-Iran non è America First/Maga".

Una linea di pensiero che non manca di avere sostenitori anche tra gli ideologi Maga che Pete Hegseth ha portato al Pentagono, come Elbridge Colby, sottosegretario per la politica di difesa, che fa parte del cosiddetto gruppo dei "prioritiser", cioè convinti del fatto che gli Usa debbano distogliere asset e risorse da Europa e Medio Oriente per dare la priorità alla minaccia crescente della Cina.

Voci e posizioni che sicuramente avranno un peso nella decisione finale, anche perché corrispondono forse di più agli umori più profondi della pancia elettorale del tycoon.