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L’ombra dei dubbi sul caso Robinson: i messaggi al compagno e le domande irrisolte

Attorno alla vicenda del delitto di Charlie Kirk, esplosa in un’aula di tribunale nello Utah, si addensano interrogativi che rischiano di spostare l’attenzione dal movente politico al terreno scivoloso della credibilità delle prove

Emanuele Borzì

17 Settembre 2025, 20:02

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Il caso giudiziario che vede imputato Tyler Robinson, 22 anni, accusato dell’omicidio del leader conservatore Charlie Kirk, non si limita a un atto di sangue. Attorno alla vicenda, esplosa in un’aula di tribunale nello Utah, si addensano interrogativi che rischiano di spostare l’attenzione dal movente politico al terreno scivoloso della credibilità delle prove.

Al centro, uno scambio di messaggi tra Robinson e il compagno Lance Twiggs, anch’egli ventiduenne, reso pubblico dai procuratori come elemento chiave per dimostrare premeditazione e confessione.

L’ultimo scambio: “Avevo avuto abbastanza del suo odio”

Secondo gli atti processuali, Robinson avrebbe informato Twiggs lasciando un biglietto nascosto sotto la tastiera del suo computer: «Ho avuto l’opportunità di eliminare Charlie Kirk e la coglierò».

Il dialogo via chat che ne sarebbe seguito appare tanto incriminante quanto sorprendente:

Robinson che annuncia di dover recuperare il fucile nascosto;

il compagno che lo implora di chiarire se sia davvero l’autore dell’attacco;

la conferma: «Sono io, mi dispiace».

In altre battute, Robinson spiega il movente con parole semplici quanto definitive: «Avevo avuto abbastanza del suo odio. Certi odi non si possono negoziare.»

Le perplessità: testi troppo “perfetti”

Ma è proprio la natura “scolastica” dello scambio ad aver sollevato dubbi. Diversi commentatori sui social hanno evidenziato come i messaggi, redatti con frasi complete e punteggiatura impeccabile, non corrispondano allo stile comunicativo abituale dei ventenni.

C’è chi ha ipotizzato un intervento diretto delle autorità, chi addirittura una manipolazione. Altri, come il giornalista Matt Walsh, hanno suggerito una spiegazione alternativa: che sia stato lo stesso Robinson a pianificare una conversazione “di copertura” con Twiggs, nel tentativo di alleggerire la posizione legale del compagno.

Tyler Robinson, accusato dell'omicidio di Charlie Kirk

Dettagli inquietanti: il fucile del nonno e il piano di fuga

Oltre al movente, i messaggi contengono riferimenti concreti: un fucile appartenuto al nonno, nascosto in un cespuglio, con il timore che potessero rimanere impronte; l’intenzione di recuperarlo per eliminare eventuali prove; il rimpianto per non averlo preso subito dopo l’attacco.

In un passaggio, Robinson confida al compagno: «Come spiegherò a mio padre di aver perso quel fucile unico?», aggiungendo che avrebbe valutato di costituirsi spontaneamente grazie a un vicino che lavora come vice sceriffo.

L’udienza e la pena di morte

Il contenuto dei messaggi è emerso mentre Robinson compariva per la prima volta in tribunale, collegato in videoconferenza dal carcere di Utah County. È in quell’occasione che i procuratori hanno annunciato ufficialmente l’intenzione di chiedere la pena di morte.

Le immagini lo mostrano con lo sguardo perso, apparentemente privo di emozioni. Una freddezza che, sui social, è stata interpretata in modi opposti: segno di distacco psicologico o di assenza di rimorso.

Tra prove e narrazione

Il caso Robinson si muove dunque su un doppio binario: da un lato, gli elementi concreti – l’arma, i messaggi, il biglietto – che per l’accusa configurano un atto premeditato; dall’altro, il dibattito sulla loro autenticità e sulla coerenza della narrazione.

In questa zona grigia, fra procedura giudiziaria e percezione pubblica, si giocherà gran parte del processo. Perché se è vero che le prove materiali parlano, è altrettanto vero che il loro linguaggio, quando appare troppo costruito, rischia di incrinare la fiducia stessa nel racconto giudiziario.