il giallo
Il mistero sul lago: 23enne trovata a dodici metri di profondità
Effetti personali su un pontile, un allarme partito tra i passanti e ore di ricerche in acqua: cosa sappiamo (finora) della morte della giovane nel Lario, mentre gli inquirenti tengono aperte tutte le ipotesi
La borsa lasciata in ordine sul legno consumato di un pontile, il telefono muto, il lago che si fa scuro nel pomeriggio d’inverno. È cominciata così, a Tremezzina, la sequenza di indizi che ha portato, la sera di domenica 7 dicembre 2025, al ritrovamento del corpo di una ragazza di 23 anni sul fondale del Lario, a circa 12 metri di profondità. A far scattare la macchina dei soccorsi è stata una segnalazione di passanti: quegli oggetti abbandonati non erano un dettaglio casuale. Da lì, l’attivazione in catena di Carabinieri, Guardia costiera e Vigili del fuoco, fino all’arrivo dei sommozzatori specializzati. Il decesso è stato constatato dal personale del 118. Sulle cause, per ora, resta il condizionale: gli investigatori non escludono nessuna pista, dal gesto volontario all’incidente, dal malore all’eventuale coinvolgimento di terzi.
Una domenica d’inverno sul Lario
La tragedia si è consumata a Ossuccio, frazione di Tremezzina, sul versante occidentale del lago di Como. È un tratto di riva che d’inverno si popola meno di barche e di bagnanti, ma che resta attraversato da residenti, camminatori e turisti. Qui, a metà pomeriggio di domenica 7 dicembre, alcuni passanti hanno notato effetti personali riconducibili a una giovane donna appoggiati su un pontile comunale. È la scena che ha cambiato il ritmo della giornata: allertati i Carabinieri, partono le verifiche e con esse la richiesta di mezzi nautici per un controllo di superficie.
A coordinarsi nel tratto di lago indicato dalle prime segnalazioni sono stati i mezzi navali del Terzo Nucleo di Menaggio e le squadre dei Vigili del fuoco di Dongo, con il supporto della Guardia costiera e il successivo impiego dei sommozzatori provenienti da Torino, chiamati dal Comando provinciale. I tecnici sub hanno scandagliato i fondali per ore, finché in serata hanno individuato il corpo della giovane, adagiato a circa 12 metri. L’intervento sanitario della rete AREU ha potuto solo certificare la morte.
Le indagioni
A oggi non sono stati resi noti il nome e l’identità della ragazza. È un silenzio che ha una ragione: si attende la piena informazione dei familiari e gli atti formali di riconoscimento. Le fonti istituzionali spiegano che gli inquirenti tengono aperto l’intero ventaglio di ipotesi: l’autopsia e gli accertamenti medico-legali aiuteranno a stabilire se la giovane abbia avuto un malore, se sia scivolata, se abbia compiuto un gesto volontario o se sussistano elementi che orientino verso cause esterne. Al momento non risultano elementi ufficiali che facciano prevalere un’interpretazione sulle altre. Prudenza, dunque, e fatti: la catena di soccorsi si è attivata in modo rapido e il recupero è avvenuto a 12 metri, una profondità che, in acque fredde e con visibilità ridotta, richiede competenze specialistiche e attrezzature adeguate.
Perché 12 metri sono tanti quando la temperatura scende
Nel linguaggio comune 12 metri possono sembrare “pochi”. In acqua fredda, con correnti e visibilità variabile, sono invece un ambiente complesso. I sommozzatori lavorano a contatto con fondali irregolari, tra vegetazione sommersa e detriti, spesso in notturna, quando cala la luce. Non è raro che sul Lario si debba ricorrere a tecnologie come i ROV (Remotely Operated Vehicle) per profondità estreme: lo si è visto, ad esempio, nel recupero a oltre 200 metri del corpo di un turista tedesco nel 2024, lungo l’alto lago tra Dongo e Piona. In questo caso, la profondità era minore ma le condizioni invernali aggiungono complessità.