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il giallo

Il mistero sul lago: 23enne trovata a dodici metri di profondità

Effetti personali su un pontile, un allarme partito tra i passanti e ore di ricerche in acqua: cosa sappiamo (finora) della morte della giovane nel Lario, mentre gli inquirenti tengono aperte tutte le ipotesi

Redazione La Sicilia

08 Dicembre 2025, 11:28

Tremezzina, il mistero di una domenica sul lago: la 23enne trovata a dodici metri di profondità

La borsa lasciata in ordine sul legno consumato di un pontile, il telefono muto, il lago che si fa scuro nel pomeriggio d’inverno. È cominciata così, a Tremezzina, la sequenza di indizi che ha portato, la sera di domenica 7 dicembre 2025, al ritrovamento del corpo di una ragazza di 23 anni sul fondale del Lario, a circa 12 metri di profondità. A far scattare la macchina dei soccorsi è stata una segnalazione di passanti: quegli oggetti abbandonati non erano un dettaglio casuale. Da lì, l’attivazione in catena di Carabinieri, Guardia costiera e Vigili del fuoco, fino all’arrivo dei sommozzatori specializzati. Il decesso è stato constatato dal personale del 118. Sulle cause, per ora, resta il condizionale: gli investigatori non escludono nessuna pista, dal gesto volontario all’incidente, dal malore all’eventuale coinvolgimento di terzi.

Una domenica d’inverno sul Lario

La tragedia si è consumata a Ossuccio, frazione di Tremezzina, sul versante occidentale del lago di Como. È un tratto di riva che d’inverno si popola meno di barche e di bagnanti, ma che resta attraversato da residenti, camminatori e turisti. Qui, a metà pomeriggio di domenica 7 dicembre, alcuni passanti hanno notato effetti personali riconducibili a una giovane donna appoggiati su un pontile comunale. È la scena che ha cambiato il ritmo della giornata: allertati i Carabinieri, partono le verifiche e con esse la richiesta di mezzi nautici per un controllo di superficie.

A coordinarsi nel tratto di lago indicato dalle prime segnalazioni sono stati i mezzi navali del Terzo Nucleo di Menaggio e le squadre dei Vigili del fuoco di Dongo, con il supporto della Guardia costiera e il successivo impiego dei sommozzatori provenienti da Torino, chiamati dal Comando provinciale. I tecnici sub hanno scandagliato i fondali per ore, finché in serata hanno individuato il corpo della giovane, adagiato a circa 12 metri. L’intervento sanitario della rete AREU ha potuto solo certificare la morte.

Le indagioni 

A oggi non sono stati resi noti il nome e l’identità della ragazza. È un silenzio che ha una ragione: si attende la piena informazione dei familiari e gli atti formali di riconoscimento. Le fonti istituzionali spiegano che gli inquirenti tengono aperto l’intero ventaglio di ipotesi: l’autopsia e gli accertamenti medico-legali aiuteranno a stabilire se la giovane abbia avuto un malore, se sia scivolata, se abbia compiuto un gesto volontario o se sussistano elementi che orientino verso cause esterne. Al momento non risultano elementi ufficiali che facciano prevalere un’interpretazione sulle altre. Prudenza, dunque, e fatti: la catena di soccorsi si è attivata in modo rapido e il recupero è avvenuto a 12 metri, una profondità che, in acque fredde e con visibilità ridotta, richiede competenze specialistiche e attrezzature adeguate.

Perché 12 metri sono tanti quando la temperatura scende

Nel linguaggio comune 12 metri possono sembrare “pochi”. In acqua fredda, con correnti e visibilità variabile, sono invece un ambiente complesso. I sommozzatori lavorano a contatto con fondali irregolari, tra vegetazione sommersa e detriti, spesso in notturna, quando cala la luce. Non è raro che sul Lario si debba ricorrere a tecnologie come i ROV (Remotely Operated Vehicle) per profondità estreme: lo si è visto, ad esempio, nel recupero a oltre 200 metri del corpo di un turista tedesco nel 2024, lungo l’alto lago tra Dongo e Piona. In questo caso, la profondità era minore ma le condizioni invernali aggiungono complessità.