11 dicembre 2025 - Aggiornato alle 10 dicembre 2025 23:52
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IL CASO

Come un solo donatore di sperma ha legato tra loro 200 bambini in 14 Paesi: ha una mutazione che aumenta fino al 90 % il rischio cancro

Un’inchiesta internazionale svela il caso che scuote la riproduzione assistita: una mutazione “invisibile” allo screening, un uso ripetuto del medesimo donatore e un rischio oncologico che impone nuove regole in Europa

Alfredo Zermo

10 Dicembre 2025, 20:04

“Il custode del DNA”: come un solo donatore con mutazione TP53 ha legato tra loro quasi 200 bambini in 14 Paesi europei

Una stanza bianca, monitor che pulsano l’attività di laboratorio, un vetrino al microscopio. Il biologo congela una nuova cannuccia di seme: un gesto quotidiano, ripetuto migliaia di volte. Nessuno, in quel momento, può immaginare che fino al 20% di quegli spermatozoi porta un errore nel gene che i manuali chiamano “guardiano del genoma”: TP53. È l’innesco di una storia che collega almeno 197 bambini in 14 Paesi europei e mette sotto accusa limiti, controlli e responsabilità della filiera della donazione di gameti. A ricostruirla è un’inchiesta guidata dall’Unione Europea di Radiodiffusione (EBU) con 14 emittenti di servizio pubblico, tra cui la redazione salute di Euronews. Gli esperti parlano di una “coincidenza straordinaria”, ma anche di “fallimento della regolamentazione”. E ora famiglie e clinici devono fare i conti con una diagnosi pesante: la sindrome di Li-Fraumeni, che per i portatori comporta fino al 90% di rischio di tumore nel corso della vita.

Cosa sappiamo 

Il donatore danese, apparentemente sano e regolarmente selezionato, ha donato per circa 17 anni, a partire da quando era studente. Fino al 20% dei suoi spermatozoi presentava una mutazione patogena di TP53, non rilevabile con gli screening standard su sangue o su un numero limitato di cellule germinali. Con quel seme sono nati almeno 197 bambini in 14 Paesi; in un sottoinsieme testato (67 minori in 8 Paesi), 23 risultano portatori della variante e 10 hanno già sviluppato tumori, alcuni in età infantile; si registrano anche decessiLa banca del seme coinvolta, la European Sperm Bank (ESB), ha riconosciuto un “uso eccessivo” di quel donatore e lo ha “bloccato immediatamente” dopo la scoperta della mutazione. Le autorità britanniche (HFEA) riferiscono che un “numero molto piccolo” di donne del Regno Unito ha ricevuto trattamenti in Danimarca con quel donatore; tutte sarebbero state informate.

Perché la mutazione conta

Il gene TP53 produce la proteina p53, spesso definita “guardiano del genoma” per la sua funzione nel bloccare la proliferazione di cellule con DNA danneggiato. Quando TP53 è mutato in linea germinale, come nei portatori della sindrome di Li-Fraumeni (LFS), il controllo si allenta e il rischio di tumori multipli cresce in modo drastico, spesso in età precoce. Nelle coorti storiche, il rischio cumulativo di sviluppare un tumore raggiunge circa il 90% nelle donne e il 70% negli uomini, con un’alta probabilità di diagnosi prima dei 40 anni. Tumori “core” includono sarcomi ossei e dei tessuti molli, tumori cerebrali, carcinoma mammario precoce, carcinoma corticosurrenalico; il ventaglio comprende inoltre leucemie, melanoma e neoplasie gastrointestinali e pancreatiche. Per le donne, il rischio di carcinoma mammario entro i 50 anni può superare il 60%. Queste stime guidano protocolli di sorveglianza intensiva e scelte terapeutiche dedicate (per esempio, limitazione della radioterapia quando possibile).

Sorveglianza: cosa prevede il “Toronto protocol” e le linee guida aggiornate

Per i portatori di LFS, il monitoraggio precoce e sistematico può intercettare tumori in fasi iniziali. Le raccomandazioni includono, con varianti secondo età e setting clinico: visite cliniche frequenti, risonanza magnetica encefalica annuale, whole-body MRI annuale, ecografie addominali cadenzate in età pediatrica (per rischio surrenalico), e – nelle donne – RM mammaria annuale precoce, oltre alla valutazione del rischio e all’eventuale mastectomia profilattica. È inoltre consigliato limitare, ove clinicamente possibile, l’uso della radioterapia per ridurre il rischio di secondi tumori.

Come è stato possibile?

Gli screening sui donatori si basano su analisi cliniche e genetiche standard, condotte soprattutto su sangue periferico e su un insieme finito di marcatori. La mutazione in questo caso è verosimilmente insorta come mosaicismo gonadico: non tutte le cellule del donatore la portavano, ma una quota delle cellule germinali sì. In più, alcuni esperti ipotizzano un meccanismo noto come “selezione spermatogoniale egoista”: alcune mutazioni, comparendo nelle cellule staminali dei testicoli, conferiscono un vantaggio proliferativo alla linea cellulare che le possiede, facendole aumentare di frequenza tra gli spermatozoi nel tempo. Risultato: il sangue del donatore appare “normale”, ma una frazione significativa degli spermatozoi veicola l’errore. È il motivo per cui lo screening ematico non può rilevare mutazioni de novo limitate al compartimento germinale, e per cui “anche lo screening degli spermatozoi non è semplice”, come sottolinea il professor Jackson Kirkman-Brown.

I numeri del caso

Secondo l’inchiesta, i concepimenti attribuibili a questo donatore hanno riguardato almeno 197 bambini, distribuiti in 14 Paesi europei; i bambini sono nati, tra gli altri, in Danimarca, Belgio, Spagna, Grecia, Germania; campioni sono stati venduti anche in Irlanda, Polonia, Albania, Kosovo, e donne svedesi hanno ricevuto trattamenti con quel seme. In Belgio, un singolo donatore ha generato 52 bambini in 37 donne tra 2007 e 2018, malgrado il “six-women rule” (limite di 6 famiglie) previsto dalla legge nazionale: l’anonimato e la frammentazione del sistema hanno impedito ai centri di accorgersi che stavano usando ripetutamente lo stesso codice donatore.

La banca coinvolta, la European Sperm Bank, afferma di rispettare i limiti per Paese e di aver introdotto da tempo un tetto “globale” volontario al numero di famiglie per donatore (tipicamente 75), con opzioni più restrittive (25, 15, 5, 1 famiglia) per chi desideri ridurre al minimo i consanguinei genetici. Tuttavia, la tracciabilità dipende dalle segnalazioni di gravidanza e dalla cooperazione transfrontaliera: ritardi nelle notifiche e trattamenti all’estero possono far sforare i tetti. La stessa ESB ha espresso “profonda vicinanza” alle famiglie e sostiene che la mutazione specifica non fosse “prevenibilmente” rilevabile con lo screening dell’epoca; il donatore è stato “bloccato” appena emerso il problema.

Le voci degli esperti

Per Clare Turnbull (The Institute of Cancer Research), il caso nasce dall’allineamento di due eventi rarissimi: una mutazione che causa una condizione estremamente rara e l’uso straordinariamente ampio dello stesso donatore. Ma la rarità statistica non assolve le regole: laddove non è possibile prevenire biologicamente tutti i rischi, è la politica dei limiti – quante famiglie può aiutare un singolo donatore, e per quanto tempo – a costituire la rete di sicurezza. Jackson Kirkman-Brown richiama l’attenzione proprio su questi argini regolatori.

Le differenze europee

L’Europa è tutt’altro che uniforme. Alcuni Paesi limitano i bambini per donatore (1 a Cipro, 10 in Francia, Grecia, Italia, Polonia), altri le famiglie (per dare possibilità di fratelli biologici): Danimarca consente fino a 12 famiglie, Svezia e Norvegia fino a 6; in Belgio la regola delle 6 famiglie esiste ma, finora, l’anonimato ha ostacolato l’applicazione. In 16 Paesi la donazione resta anonima; altrove l’identità del donatore può essere rivelata al compimento della maggiore età o in presenza di gravi ragioni sanitarie. La mancanza di un tetto internazionale apre la strada alla migrazione per trattamenti e a “super-donatori” con decine di figli biologici in giurisdizioni diverse.

Queste disparità sono note da anni nel dibattito europeo: la spinta di alcuni governi (tra cui Svezia e Belgio) è verso limiti condivisi a livello UE, per ridurre sia il rischio genetico aggregato, sia quello sociale (il timore, non teorico, di inconsapevole consanguineità tra coetanei). Nel giugno 2025, un gruppo di ministri della salute ha proposto di fissare standard comuni su numero massimo di concepimenti per donatore, tracciabilità e trasparenza.

Chi informa chi, e quando?

Il caso ha evidenziato un altro nodo: la comunicazione. Chi deve avvisare le famiglie quando emerge un rischio genetico ex post? La banca, il centro clinico, l’autorità nazionale? La HFEA (Regno Unito) ha confermato che un “numero molto piccolo” di donne britanniche trattate in Danimarca è stato informato, ma l’esperienza dei genitori in altri Paesi è disomogenea. La frammentazione dei sistemi di notifica – e la dipendenza da test genetici eseguiti successivamente sui figli – rallentano l’azione di sanità pubblica. L’inchiesta giornalistica ha funzionato, di fatto, come un trigger internazionale.

Cosa cambia per le banche del seme

Le banche serie già oggi applicano un processo di selezione multistadio: anamnesi familiare, esami infettivologici, valutazioni genetiche per patologie più comuni, controlli di qualità seminale e un periodo di quarantena con ripetizione dei test. Tuttavia, il mosaicismo gonadico di nuove mutazioni – per definizione presente solo in una parte delle cellule germinali – è un bersaglio scivoloso: non basta un prelievo di sangue “normale”. Per intercettarlo, servirebbero approcci oggi non standard e di dubbia fattibilità routinaria, come l’analisi su pannelli ampi direttamente sugli spermatozoi e su più campioni nel tempo, con costi, tempi e questioni etiche notevoli (quanti embrioni o blastocisti testare? fino a che punto l’analisi rimane “proporzionata”?). In questo quadro, molti esperti indicano la riduzione del numero di famiglie per donatore come misura a massima costo-efficacia: se non si può eliminare il rischio biologico zero, si può limitarne la diffusione su scala di popolazione.

Perché questa storia tocca tutti

La riproduzione assistita vive di fiducia: tra chi dona, chi riceve, chi gestisce e chi controlla. Quando un singolo codice donatore si traduce in decine di nati in più Paesi, e quando una mutazione non rilevata semina diagnosi pesanti tra i bambini, quella fiducia si incrina. È qui che “coincidenza” e “falla di sistema” si incontrano. Le prossime decisioni – su limiti, tracciabilità, anonimità, sorveglianza – diranno se l’Europa saprà trasformare un caso drammatico in prevenzione efficace.

Intanto, il messaggio pratico è chiaro:

  1. per i decisori: fissare standard minimi comuni e canali di notifica rapidi;
  2. per le banche: rendere pubblici i limiti, rafforzare verifica e reporting, migliorare la trasparenza con le famiglie;
  3. per i clinici: promuovere la consulenza genetica e l’accesso a protocolli di sorveglianza dedicati;
  4. per le famiglie: chiedere informazioni precise su limiti, tracciabilità, protocolli post-nascita, e – se necessario – attivare percorsi di testing e follow-up.

Solo così la prossima cannuccia congelata tornerà a essere un atto di fiducia, non un salto nel buio.