11 dicembre 2025 - Aggiornato alle 10 dicembre 2025 23:52
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I NEGOZIATI

Kiev aggiorna il piano di pace e lo invia a Washington: cosa c’è davvero sul tavolo

Una bozza riscritta, limata in Europa e spedita agli Stati Uniti. Dentro, sicurezza e ricostruzione; fuori, le «clausole impossibili». Ma Mosca resta un’incognita.

Alfredo Zermo

10 Dicembre 2025, 23:31

Kiev aggiorna il piano di pace e lo invia a Washington: cosa c’è davvero sul tavolo

All’ora di cena, in una Kiev scossa dai blackout e dai droni, una cartellina digitale parte verso Washington: è la bozza aggiornata del piano ucraino per mettere fine alla guerra. A invio avvenuto, non ci sono fanfare: solo la conferma, asciutta, di due funzionari ucraini all’agenzia AFP e il silenzio sui contenuti. Ma dietro quel file ci sono settimane di riscritture, una trattativa che ha cambiato forma dalla versione in 28 punti circolata negli scorsi giorni a una cornice da 20 punti, e un pressing diplomatico che intreccia Londra, Parigi, Berlino e la Casa Bianca. Lo scenario è questo: Kiev prova a incollare la parola “pace” a tre concetti chiave — garanzie di sicurezza, ricostruzione, sovranità — e punta l’ago della bussola verso Washington, dove si decide la traiettoria dei prossimi mesi.

Ma gli Usa «non vogliono perdere il loro tempo» sull'Ucraina: «Zelensky deve essere realista», torna a mettere in chiaro Donald Trump che fa sapere di aver discusso «in termini piuttosto forti» nella telefonata con Emmanuel Macron, Keir Starmer e Friedrich Merz. «Gli europei vogliono un incontro con noi e Zelensky nel fine settimana in Europa», fa sapere il presidente Usa.

Cosa sappiamo per certo

Pochi fatti, ma solidi. Primo: l’Ucraina ha trasmesso agli Stati Uniti una bozza aggiornata del suo piano per fermare la guerra con la Russia. A riferirlo sono due funzionari ucraini informati del dossier, che hanno parlato con AFP; la notizia è stata diffusa in Italia dall’ANSA nella tarda serata di oggi. Nessun dettaglio ufficiale sul contenuto, se non la conferma che il documento è partito. Secondo: il testo “aggiornato” nasce dopo un intenso giro di consultazioni in Europa e mira a sostituire o correggere un schema preliminare statunitense giudicato in varie capitali troppo indulgente verso Mosca. Lo ha detto esplicitamente il presidente Volodymyr Zelensky: dai 28 punti iniziali si è passati a circa 20, e “alcuni punti manifestamente anti‑ucraini” sono stati rimossi. La riscrittura è avvenuta anche con il contributo dei leader di Regno Unito, Francia e Germania. Terzo: al pacchetto politico-diplomatico si affianca un percorso economico. Nelle stesse ore, Zelensky ha fatto sapere di aver concordato con alti esponenti statunitensi le “fondamenta” di un piano di ricostruzione, con un principio guida: niente crescita senza sicurezza reale. Tra gli interlocutori americani figurano il segretario al Tesoro Scott Bessent, Jared Kushner e l’AD di BlackRock, Larry Fink.

Perché ora

La tempistica non è casuale. Quattro elementi hanno accelerato la dinamica: il pressing della Casa Bianca per chiudere un accordo in tempi rapidi, anche a costo di forzare dossier sensibili; una cornice europea più coesa di quanto apparisse due settimane fa, dopo il vertice lampo a Downing Streetla convocazione di una call della cosiddetta “coalizione dei volenterosi” — una trentina di Paesi pro‑Kiev — per allineare posizioni su cessate il fuoco, garanzie e aiutil’urgenza di ancorare la ricostruzione a un quadro di sicurezza credibile e finanziabile, evitando che la guerra “sospesa” si trasformi in un conflitto congelato destinato a riesplodere.

Il perno: sicurezza prima della politica

Se il cuore del vecchio dibattito era “quali concessioni”, l’impianto nuovo rimette la sicurezza al centro. Lo schema che Kiev e i partner europei sottopongono agli USA ruota intorno a tre documenti: una cornice in 20 punti, un testo sulle garanzie di sicurezza e un piano di ricostruzione. È una trilogia che ricorda la Dichiarazione congiunta del G7 varata a Vilnius nel 2023, poi tradotta in una costellazione di accordi bilaterali tra Ucraina e singoli alleati: difesa aerea, munizioni, addestramento, industria bellica, intelligence. L’idea è semplice: rendere troppo costosa — e dunque improbabile — una “terza invasione” russa.

A differenza del passato, la garanzia non è più solo un impegno politico ma un set operativo: sistemi di difesa pronti, finanziamenti pluriennali, linee di produzione dedicate, meccanismi di risposta rapida in caso di nuove offensive. Sono i mattoni senza i quali la parola “pace” rischia di restare astratta.

I nodi che restano: territorio, tempi, verifiche

Il punto più scivoloso rimane immutato: la territorialità. Zelensky lo ha ripetuto in queste ore: nessuna cessione dei territori occupati, perché incostituzionale e moralmente inaccettabile. È il “veto” che separa Kiev da alcune letture americane, ancora convinte che una qualche forma di aggiustamento territoriale sia il prezzo per fermare i combattimenti.

  1. Territorio. Per Kiev, qualunque intesa deve rispettare la sovranità e i confini internazionalmente riconosciuti. Il precedente delle garanzie del G7, pur non equivalendo all’ombrello NATO, punta proprio a blindare nel tempo questa architettura.
  2. Tempi. L’orizzonte indicato dalla diplomazia è rapido — si parla di settimane, non mesi — ma il calendario dipende da due variabili: la risposta russa e la traduzione tecnica delle garanzie in protocolli attuativi.
  3. Verifiche. Senza meccanismi di verifica — ispezioni, monitoraggio indipendente, sanzioni automatiche — ogni cessate il fuoco rischia di collassare. La lezione del Donbass nel periodo 2015‑2021 è ben presente a Kiev e nelle capitali europee. (Qui le fonti ufficiali sono più caute; è un punto in discussione).

Da dove siamo partiti: la bozza “americana” e le correzioni europee

Per capire la svolta servono due flashback. Il primo: a fine novembre, l’ufficio del presidente ucraino ha confermato di aver ricevuto dagli USA un progetto di piano. Nessun dettaglio ufficiale, ma molte ricostruzioni giornalistiche concordavano su un impianto considerato a vantaggio di Mosca: ridimensionamento dell’esercito ucraino, stop a determinate categorie d’armamento, rinuncia implicita alla NATO, discussione sui confini. Kiev rispose senza scomuniche, ma con freddezza.

Il secondo: negli ultimi dieci giorni, la stessa bozza è stata limata in una serie di incontri a Ginevra e Londra, fino ad approdare ai 20 punti odierni. In parallelo, leader europei hanno segnalato che il testo “nuovo” è “più digeribile” per Ucraina e UE, benché Mosca abbia già fatto trapelare ostilità.

Un dettaglio non secondario: fonti mediatiche europee e ucraine hanno scritto che la bozza iniziale avrebbe avuto contatti indiretti con ambienti russi, a partire dal nome di Kirill Dmitriev, e il coinvolgimento dello special envoy americano Steve Witkoff. La Casa Bianca ha ammesso genericamente che si lavorava “in silenzio” a una proposta; Kiev ha preferito guidare il testo in sede europea, prima di rimandarlo a Washington. È in questo percorso che i 28 punti sono diventati 20.

Cosa c’è nella bozza “Kiev 2.0” (e cosa non c’è)

Ufficialmente, nulla è stato pubblicato. Eppure, incrociando fonti qualificate, emergono elementi coerenti con la strategia ucraina dell’ultimo anno:

  1. una sezione su garanzie di sicurezza multilivello, che ricalca e amplia gli impegni G7: difesa aerea, munizioni, addestramento, intelligence, industria;
  2. una parte economica con piano di ricostruzione e strumenti per mobilitare capitali privati (qui il dialogo con BlackRock e il Tesoro USA è dichiarato);
  3. clausole su energia e protezione delle infrastrutture critiche, con l’ipotesi di un cessate il fuoco energetico se Mosca interrompe gli attacchi contro rete elettrica e impianti;
  4. un capitolo sui meccanismi di verifica e sulle sanzioni automatiche in caso di violazioni, da definire insieme a UE, G7 e NATO (qui la convergenza è politica, i dettagli restano in bozza).

Cosa non c’è, secondo quanto ripetuto da Zelensky e dai partner europei: cessioni territoriali come premessa dell’accordo. È il punto‑chiave che Kiev rivendica come linea rossa, motivandolo con la Costituzione ucraina e il diritto internazionale.

La variabile russa

L’altro grande assente, per ora, è la posizione ufficiale di Mosca su questo testo aggiornato. In modo informale, figure vicine al Cremlino hanno definito le proposte europee “non costruttive”. Sul terreno, l’offensiva russa continua, specie nel Donbass e lungo l’asse Pokrovsk–Myrnohrad, e questo rende delicata qualsiasi discussione sul cessate il fuoco. Nelle prossime ore, una prima lettura russa potrebbe filtrare attraverso i canali diplomatici a Ginevra.

Gli Stati Uniti tra due pulsioni

Da Washington arrivano segnali anche divergenti: la volontà di chiudere in fretta e la necessità di non spaccare l’alleanza occidentale. In pubblico, la linea è che “qualsiasi accordo deve garantire una pace giusta e sostenibile”, rispettando la sovranità ucraina. In privato, non mancano pressioni su Kiev per “valutare opzioni” che includano una pausa dei combattimenti con condizioni di verifica. Gli incontri a Ginevra tra delegazioni USA e Ucraina sono stati descritti da entrambe le parti come “sostanziali” e “produttivi”, con il risultato di un “framework aggiornato e affinato”.

Sul fronte economico, l’amministrazione americana guarda alla ricostruzione come moltiplicatore strategico: solidità finanziaria interna per Kiev, ritorni industriali per gli alleati, dissuasioni per Mosca. Per questo l’inclusione di attori come BlackRock nel dialogo operativo non è un dettaglio decorativo ma un segnale: la ricostruzione non verrà dopo la pace, ne è una condizione.

Il ruolo dell’Europa: dal bordo al centro

Il mini‑vertice di Londra — con Keir Starmer, Emmanuel Macron, Friedrich Merz e Zelensky — ha rimesso l’Europa in cabina di regia almeno su due dossier: scrittura politica della cornice e messa a terra delle garanzie. Nei corridoi diplomatici, il messaggio è duplice: sostenere Kiev nella trattativa con Washington e prevenire una pace sbilanciata che lasci l’Europa più esposta domani. In termini concreti, Londra, Parigi e Berlino hanno concorso alla riduzione e pulizia del documento, togliendo passaggi ritenuti inaccettabili per Kiev. La versione finale, prima di volare a Washington, porta anche la loro firma politica.

Non partono da zero: la dichiarazione G7 del 12 luglio 2023 e i patti bilaterali firmati da Ucraina con vari Paesi europei nel 2024‑2025 sono la cassetta degli attrezzi già pronta. Il salto richiesto oggi è scalare quegli impegni: quantità, tempi, finanziamenti.

La “coalizione dei volenterosi”: a cosa serve davvero

La riunione — virtuale — della coalizione dei volenterosi ha una funzione operativa: sincronizzare impegni militari, scorte e produzione con la roadmap negoziale. Se si arrivasse a un cessate il fuoco verificato, servirà un pacchetto immediato di misure: sorveglianza aerea, difesa dei corridoi energetici, sminamento, supporto alla Polizia e alla Guardia nazionale ucraine in aree critiche. Alcuni Paesi spingono per inserire da subito un capitolo giustizia — raccolta prove, cooperazione con Corte penale internazionale, sanzioni automatizzate — per evitare che un congelamento del fronte si traduca in impunità.

Le parole che pesano: “giusta”, “sostenibile”, “verificabile”

Le formule tornano, ma oggi hanno un contenuto più concreto:

  1. Pace giusta: non significa pace “punitiva”, ma rispetto della sovranità ucraina e ritiro delle forze di occupazione;
  2. Pace sostenibile: garanzie che dissuadano una nuova invasione (qui entra la dissuasione industriale e militare);
  3. Pace verificabile: monitoraggio indipendente, sanzioni automatiche, clausole che non dipendano dalla buona fede russa.

Sono gli stessi tre aggettivi che ritornano nei comunicati americani ed europei quando si parla di Ucraina. E sono il filtro con cui leggere ogni riga della bozza spedita a Washington.

Il fronte interno ucraino: elezioni e legittimazione

Nel dibattito internazionale è rientrato anche il tema elezioni in Ucraina. Zelensky ha segnalato apertura a un voto entro tre mesi se saranno garantite sicurezza e adeguamenti normativi, ma la discussione resta sensibile: la legge marziale vieta consultazioni, l’apparato statale è sotto stress, milioni di cittadini sono sfollati. Kiev lega l’eventuale calendario a garanzie concrete da parte dei partner.