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Gli scenari

Pace, ricostruzione ed equilibri geopolitici: perché Usa e Ue sull'Ucraina non marciano allo stesso passo

Tra prestiti agganciati agli asset russi, piani da “20 punti” e un conto della ricostruzione che supera i 500 miliardi, Washington e Bruxelles cercano un’intesa su come chiudere la guerra e riaprire i cantieri dell’Ucraina. Ma le crepe — politiche, legali e strategiche — restano aperte

Redazione La Sicilia

11 Dicembre 2025, 10:06

10:08

Volodymyr Zelenskyy; il nuovo segretario al Tesoro USA, Scott Bessent, l’emissario presidenziale Jared Kushner e il numero uno di BlackRock, Larry Fink hanno discusso di un “documento economico” e un piano in “20 punti” che lega sicurezza e business: ricostruire si può — dicono — solo se prima si difende. È l’istantanea che racconta la fase più delicata dal 24 febbraio 2022, quando la guerra è riesplosa: l’Europa ha messo sul tavolo una Facility da 50 miliardi di euro per il 2024-2027, il G7 ha varato l’idea di un maxi prestito da 50 miliardi di dollari agganciato ai profitti degli asset russi congelati, e ora Washington spinge per un pacchetto di pace e ricostruzione “a geometria variabile”. Kyiv, intanto, fa i conti: l’ultima stima congiunta di Governo ucraino, Banca Mondiale, Commissione europea e ONU parla di 524 miliardi di dollari necessari in dieci anni. Numeri che pesano come macigni e che spiegano il nervo scoperto: chi decide il “come” e il “quando” della pace e della ripartenza?

Un piano in 20 punti: sicurezza prima di tutto

Negli ultimi giorni Kyiv ha affinato e condiviso con gli USA una versione aggiornata del proprio quadro negoziale: 20 punti organizzati in tre blocchi — sicurezza, economia, governance — secondo le anticipazioni filtrate da interlocutori statunitensi ed europei. Il principio cardine è semplice: senza difesa aerea, garanzie di sicurezza credibili e continuità degli aiuti militari e di bilancio, non si attira capitale privato né si riaprono le fabbriche. La stessa interlocuzione tra Zelenskyy e i vertici finanziari statunitensi ha confermato l’architettura: un documento base più due allegati su garanzie di sicurezza e strategie economiche, con la ricostruzione come sbocco naturale di un cessate il fuoco “verificabile”.

Dietro le quinte, però, le sfumature contano. Esponenti europei hanno fatto trapelare irritazione quando bozze iniziali di un “accordo rapido” sponsorizzato da Washington sono circolate senza un pieno allineamento con Bruxelles e le principali capitali. Anche a Kyiv non tutti i passaggi sono apparsi digeribili, specie laddove si immaginavano compromessi territoriali o “congelamenti” prolungati delle linee del fronte. Da allora, il testo è stato limato in un formato che Zelenskyy definisce “più aderente agli interessi ucraini”, ma che resta in evoluzione.

Il conto della ricostruzione: 524 miliardi

La fotografia aggiornata dei danni e dei fabbisogni — la Rapid Damage and Needs Assessment (RDNA4) — stima in 524 miliardi di dollari il costo complessivo su 10 anni. Solo nel 2025 il Governo ucraino ha stanziato 7,37 miliardi per priorità come energia, alloggi, trasporti, acqua, istruzione e sminamento, ma resta un “buco” di 9,96 miliardi da coprire. Settori chiave: housing (circa 84 miliardi), trasporti (circa 78 miliardi), energia (circa 68 miliardi), industria e commercio (oltre 64 miliardi), agricoltura (più di 55 miliardi). Con un dato sociale spesso ignorato: il 13% dello stock abitativo è danneggiato o distrutto e oltre 2,5 milioni di famiglie sono direttamente colpite.

Il messaggio che arriva da ONU e Banca Mondiale è netto: senza capitale privato e strumenti robusti di de-risking non si colmerà il gap. Ed è qui che entrano in scena i grandi fondi, le banche di sviluppo e i veicoli europei.

Europa: la “Ukraine Facility” da 50 miliardi e i primi esborsi

Sul fronte europeo, il pilastro è la Ukraine Facility: 50 miliardi di euro tra prestiti (33 mld) e sovvenzioni (17 mld) per il periodo 2024-2027, con erogazioni condizionate alle riforme del “Piano Ucraina”: amministrazione pubblica, gestione degli asset, concorrenza, green transition, digitalizzazione, agroalimentare, materie prime critiche. Tra ponte finanziario, pre-finanziamenti e le prime tre-quattro rate, Bruxelles ha già sbloccato complessivamente oltre 15 miliardi tra il 2024 e il 2025, confermando pagamenti legati al raggiungimento di target misurabili. La struttura include audit indipendenti e un potenziale canale per i proventi straordinari degli asset russi immobilizzati.

Accanto al rubinetto “di bilancio”, l’UE ha moltiplicato gli strumenti per il settore privato: al Ukraine Recovery Conference sono stati annunciati pacchetti per 2,3 miliardi di euro in nuove intese e un European Flagship Fund capace, nelle intenzioni, di mobilitare fino a 10 miliardi in investimenti. La logica è quella del “crowding-in”: garanzie pubbliche per sbloccare capitale privato in energia, trasporti, manifattura e municipalità, inclusa l’efficienza energetica degli edifici e la ricostruzione di ospedali e scuole.

G7: il prestito “ERA” da 50 miliardi, agganciato ai profitti degli asset russi

Nel giugno 2024, i leader G7 hanno concordato il varo dei cosiddetti “Extraordinary Revenue Acceleration (ERA) Loans” per circa 50 miliardi di dollari, garantiti dai flussi futuri dei profitti maturati sugli asset sovrani russi immobilizzati. Non è una confisca — tema giuridicamente controverso — ma un meccanismo ponte che anticipa risorse oggi, ripagate domani con i rendimenti dei beni congelati, in gran parte custoditi in Europa. I dettagli tecnici hanno continuato a essere negoziati, specie sul rischio residuo a carico dei contribuenti e sul ruolo di Euroclear. Ma il segnale politico è chiaro: “la Russia deve pagare”, e l’Occidente cerca strade legali per avvicinare quel principio alla pratica.

Proprio l’uso dei proventi degli asset russi è la faglia su cui si misurano le diverse sensibilità europee: Germania e Commissione spingono, Belgio — sede di Euroclear — solleva cautele legali e di ritorsione. Nel dicembre 2025 il tema è tornato caldo, con un fronte di sette Paesi UE che ha sollecitato decisioni rapide e il richiamo della presidente della BCE, Christine Lagarde, a non varcare linee rosse del diritto internazionale. Il dibattito, qui, è tanto politico quanto tecnico: sfruttare i “rendimenti straordinari” sì, ma come e quanto?

Washington: tra aiuti, realpolitik e “piani di pace”

Gli Stati Uniti hanno garantito la più massiccia iniezione d’emergenza nel 2024 con il pacchetto da 95 miliardi di dollari, di cui 61 miliardi per l’Ucraina, approvato dal Congresso e firmato il 24 aprile 2024. Quella legge ha rifornito arsenali, sostenuto il bilancio di Kyiv e previsto anche margini giuridici per agire su asset russi. Ma con il passare dei mesi la politica di Washington ha assunto sfumature più “transazionali”: spingere Kyiv a un compromesso “ordinato”, blindare garanzie di sicurezza e al tempo stesso riordinare i rapporti con Mosca e con gli alleati europei su energia e investimenti. Da qui i contatti ad alto livello sulla ricostruzione — con protagonisti del settore privato — e la pressione per avere sul tavolo un testo di pace “compatibile” con la sensibilità americana.

Fonti statunitensi e articoli di stampa hanno descritto in più riprese ipotesi controverse — dalla governance della centrale di Zaporizhzhia a scenari di “non allargamento NATO” — che hanno irritato sia Kyiv sia partner europei. Le versioni più recenti, però, appaiono “euro-compatibili”: Ucraina e USA avrebbero allineato un quadro di 19-20 punti, tenendo fuori dossier “NATO ed Europa” e rimandando la chiusura del testo ai presidenti. Segno che la sostanza è ancora nel crocevia fra garanzie di sicurezza, timeline elettorali e condizionalità economiche.

Il ruolo del capitale privato: BlackRock, IFC, EBRD

La ricostruzione ucraina non sarà “solo” spesa pubblica. Il perno è spostare il rischio dal singolo investitore al sistema, tramite garanzie, assicurazioni politiche e first-loss. E qui l’architettura si va componendo:

IFC e Commissione europea hanno annunciato garanzie ed equity per catalizzare oltre 1 miliardo di euro in fondi di private equity e venture capital, con un focus su energia, infrastrutture e startup tecnologiche.

EBRD ha portato a 4,5 miliardi di euro la finanza dispiegata in tempo di guerra, con nuovi strumenti di risk-sharing oltre 600 milioni e un target di 1,5-2 miliardi/anno di investimenti, dal credito alle PMI alle rinnovabili, fino a garanzie per il commercio estero.

Il settore privato “puro” si muove a ondate: intese quadro su energia distribuita, rinnovabili, digitalizzazione, con l’ambizione — nelle parole della ministra dell’Economia Yuliia Svyrydenko — di attirare 500-700 milioni di euro per il primo GW di nuova capacità elettrica.

Non è un caso che BlackRock sia stabilmente al tavolo: già nel 2023-2024 aveva lavorato con il governo ucraino a una piattaforma per canalizzare investimenti istituzionali; oggi quel flusso di lavoro rientra nella partita più ampia del “dopo-guerra”, con l’idea di un fondo multi-asset che entri in housing, energia, manifattura e logistica quando le condizioni di sicurezza lo consentiranno.

Le linee di faglia transatlantiche

Ma ci sono divergenze tra USA e UE sull'uso degli asset russi: Washington spinge per soluzioni rapide e creative (prestiti garantiti dai profitti); l’UE si muove, ma è frenata dal timore di contenziosi e ritorsioni finanziarie. La scelta di agganciare i 50 miliardi del G7 ai rendimenti è una mediazione, ma l’implementazione dipende anche da Belgio/Euroclear e da una base giuridica inattaccabile. Differenze anche sull'aArchitettura della pace: la Casa Bianca punta a una “chiusura politica” che stabilizzi il fronte e apra la stagione economica; l’UE teme scorciatoie che ignorino il diritto internazionale o “premino l’aggressione”. Per questo i partner europei hanno rivendicato un ruolo negoziale diretto e hanno chiesto che ogni intesa rispetti la sovranità ucraina e sia accompagnata da garanzie reali.

Cosa chiedono gli ucraini: tre priorità nette

Dal lato ucraino, le priorità operative, ribadite nei vari consessi e nei documenti RDNA, sono tre: Difesa aerea e resilienza energetica: senza Patriot, IRIS-T, Gepard, droni e munizionamento, ogni centrale riparata rischia di essere nuovamente colpita. Anche la spinta su energia distribuita (solare, biogas, piccoli impianti a gas) è letta come scudo anti-blackout. Alloggi e servizi di base: con il 13% del patrimonio abitativo danneggiato e milioni di sfollati, il capitolo housing è la singola voce più costosa. Qui contano tanto i grant quanto i mutui agevolati/garantiti per il rebuilding locale. Capitale per le imprese: PMI e mid-cap lamentano scarsità di equity e credito a medio termine; i nuovi veicoli IFC/EBRD/UE e il possibile ingresso di investitori istituzionali possono riaprire filiere e export.

Le incognite politiche: Europa divisa, America in bilico

Sul versante europeo pesano i veti incrociati e i calendari interni: il sostegno “quanto serve, finché serve” resta la bussola, ma su asset russi e bond comuni la discussione è apertissima. Una parte del Nord Est spinge, alcuni governi temono i tribunali e le reazioni dei mercati. In USA, dopo lo sforzo bipartisan del 2024, il clima è diventato più condizionato dalla politica interna: l’idea di “chiudere” con una pace entro una data simbolica — si è parlato di fine anno — riflette anche l’esigenza di fissare una narrazione di successo.

Intanto, sul terreno, Kyiv ha segnalato disponibilità a condividere con Washington una versione “revised” del piano (si è parlato in diverse fasi di 19 e poi 20 punti), mentre Paesi chiave europei hanno chiesto di non essere spettatori. Il risultato? Un percorso “a tre”: Ucraina-UE-USA, con il G7 a garantire il salvadanaio e le IFIs a costruire i corridoi finanziari.

Cosa significa per gli italiani (e per le imprese europee)

Per le imprese di energia, costruzioni, mobilità, sanità, digitale e agritech, l’Ucraina post-bellica non è un Eldorado facile, ma un mercato dove il rischio sarà “assicurato” dallo Stato e dalle banche multilaterali. Gli appalti municipali per acqua, trasporti urbani, riqualificazione edilizia si moltiplicheranno via via che i progetti supereranno il vaglio tecnico. Gli operatori più pronti a legare la supply chain locale, investire in resilienza (magazzini ridondanti, energia off-grid) e accettare un orizzonte a 10 anni potranno posizionarsi prima degli altri. Le parole chiave: garanzie MIGA/EBRD/IFC, cofinanziamento UE, PPP con enti locali, compliance anticorruzione.