IL VERTICE
Meloni a Berlino, l’asse europeo cerca la quadra: perché Roma frena su asset russi e “ingresso lampo” di Kiev nell’Ue
Una cena in Cancelleria per cucire pace e garanzie: l’Italia manda una bozza prudente, tra pressioni americane e dossier europei che dividono
La luce fredda del cortile della Cancelleria tedesca taglia il buio di dicembre quando le auto dei delegati imboccano il varco riservato. A pochi metri, il protocollo scorre come un orologio. Dentro, al tavolo lungo, il menu è breve e la lista degli ospiti lunghissima: il cancelliere Friedrich Merz, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, il segretario generale della Nato Mark Rutte, capi di governo europei, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, e gli emissari del presidente Usa Donald Trump – l’imprenditore Steve Witkoff e il consigliere informale Jared Kushner. L’obiettivo dichiarato: capire se un accordo di pace è possibile e a quali condizioni. L’obiettivo reale: stabilire quale prezzo politico, giuridico e strategico l’Europa è pronta a pagare. In questo quadro, la premier italiana Giorgia Meloni arriva a Berlino con una bussola precisa: sostegno a Kiev, sì, ma evitando passi irreversibili su due fronti sensibili – l’uso degli asset russi congelati e l’idea di un ingresso immediato dell’Ucraina nell’Unione europea.
Il segnale politico di Roma
Questa mattina, il governo ha fatto recapitare ai capigruppo della maggioranza una bozza di risoluzione che orienta il voto parlamentare dei prossimi giorni e, di fatto, definisce la posizione italiana al tavolo europeo. Il testo, secondo quanto ricostruito da Repubblica, sostituisce il lessico bellico con quello del “sostegno multidimensionale” e aggancia il negoziato alla cornice del “processo di pace” in gestazione tra Washington, Kiev e i maggiori partner Ue. È una scelta semantica che pesa: segnala il tentativo di tenere unita la coalizione, evitare spaccature con gli alleati e non anticipare mosse che potrebbero essere decise solo dai leader nelle prossime 48-72 ore.
A Berlino la “cena-vertice”
Sul piano internazionale, la giornata di oggiè scandita dalla cena-vertice in Cancelleria. A fianco di Merz e Zelensky siedono von der Leyen e Rutte, mentre da più capitali europee arrivano i leader o i loro inviati di Regno Unito, Italia, Paesi Bassi, Polonia e Svezia. Al tavolo anche gli emissari di Trump, Witkoff e Kushner, incaricati di tradurre in proposta politica il desiderio della Casa Bianca di “chiudere” il dossier Ucraina con un accordo rapido, possibilmente entro l’inizio del 2026. Le trattative sono complesse: nodo centrale, il perimetro territoriale del Donbass e la natura delle garanzie di sicurezza per Kiev in assenza di un ingresso nella Nato.
Il punto tedesco: un piano in 10 punti
Berlino presenta nella stessa giornata un piano in 10 punti per rafforzare l’industria della difesa ucraina con joint venture, ricerca congiunta, possibili garanzie pubbliche federali e l’esame di acquisti comuni di sistemi prodotti in Ucraina – inclusi intercettori droni – nell’ambito dell’European Sky Shield. Non solo armi: il documento insiste su consultazioni regolari tra ministeri della difesa, su un ufficio di collegamento a Berlino (“Ukraine Freedom House” per l’industria ucraina) e su misure anticorruzione, dopo gli scossoni interni a Kiev nei mesi scorsi. È il modo, per Merz, di dire che la Germania continuerà a investire su una Ucraina capace di difendersi nel medio periodo, a prescindere dai tempi del negoziato politico.
I due freni di Roma
Asset congelati: il sì al blocco non vale un sì all’uso
La posizione italiana sugli asset russi – circa 210 miliardi di euro bloccati nell’Unione, di cui 185 miliardi custoditi presso Euroclear a Bruxelles – è precisa. Italia, Belgio, Bulgaria e Malta hanno accettato la proposta Ue di congelamento a tempo indeterminato, ma hanno allegato una dichiarazione scritta per chiarire che quel voto “non pregiudica” la decisione sull’eventuale utilizzo dei beni: una scelta che, secondo Roma, deve spettare ai leader e non costituire un precedente in materia di Pesc. È una linea di principio e di cautela giuridica: usare i proventi o il capitale dei beni russi per finanziare Kiev può esporre l’Unione a ricorsi, danni reputazionali e ritorsioni. Non a caso Mosca ha già avviato azioni legali e minacciato contromisure.
Nella bozza italiana torna dunque l’idea, già avanzata in sede Ecofin, di cercare alternative con minori rischi legali: ad esempio uno strumento di prestito Ue garantito a livello europeo o soluzioni ponte che assicurino la continuità del sostegno a Kiev nel 2026-2027, mentre si definisce – se mai – un quadro giuridico inattaccabile per i beni russi. È un approccio coerente con i precedenti parlamentari italiani: anche in autunno, il centrodestra aveva subordinato “qualsiasi eventuale utilizzo” degli asset alla piena compatibilità con il diritto internazionale.
L’ipotesi di un ingresso “accelerato” nell’Ue
L’altro fronte è l’idea, circolata in questi giorni, di portare l’Ucraina nell’Ue con una tempistica straordinaria – persino indicata (da talune fonti anglosassoni) in gennaio 2027. La prospettiva ha incontrato scetticismo diffuso a Bruxelles: l’allargamento è un processo complesso, richiede unanimità in diversi passaggi e presuppone riforme su stato di diritto, giustizia e anticorruzione. La Commissione e il Parlamento europeo spingono per “cluster” negoziali e un approccio “unico” che consenta di avanzare anche con il veto ungherese, ma la strada politica resta irta. L’Italia, in questo contesto, evita formule che evochino un “ingresso immediato”: nel testo che circola si rafforzano i riferimenti al percorso di riforme e alla necessità di una consenso europeo sostanziale e non solo procedurale.
Realismo, non freddezza: la linea è sostenere Kiev a tutto campo e “al ritmo più veloce possibile”, ma senza costruire aspettative irrealistiche che si infrangerebbero sul muro delle procedure e della geopolitica. Anche perché, nel pacchetto in discussione a Berlino, l’adesione Ue è parte di un mosaico più ampio: sicurezza, ricostruzione e garanzie finanziarie. Presentarla come “premio” immediato rischia di spostare il focus dalle garanzie che servono già domani.
Washington spinge, Kiev calibra, l’Europa media
Gli emissari di Trump e il dossier garanzie
La presenza di Witkoff e Kushner a Berlino racconta l’impronta della Casa Bianca sul negoziato: cercare una intesa rapida che stabilizzi il fronte, limita i costi americani e ridisegna gli impegni occidentali. Tra le ipotesi allo studio, una garanzia di sicurezza “tipo Articolo 5” – formalizzata e approvata dal Congresso – che scatterebbe in caso di nuova aggressione russa. Per Kiev sarebbe il perno per accettare la rinuncia (temporanea o stabile) alla Nato. È la “grande compensazione” di cui si discute da settimane, e su cui Roma – come altre capitali – chiede parole chiare su vincoli, tempi e coperture.
Zelensky tra fermezza sul territorio e aperture tattiche
In pubblico Zelensky ribadisce il rifiuto di cessioni territoriali e lavora a un’intesa che congeli la linea del fronte senza sancire perdite definitive. Sul capitolo Nato, segnali di flessibilità emergono in cambio di garanzie legali robuste: una posizione che mira a disinnescare il veto strutturale di Mosca e ad ancorare il futuro ucraino a Ue e partner occidentali. Il braccio di ferro resta sul Donbass e su eventuali zone cuscinetto: qui l’Europa, Germania in testa, teme che concessioni unilaterali aprano a nuovi ricatti e spinge per incardinare l’intesa in un quadro multilaterale verificabile.
Cosa contiene la bozza italiana
Le parole chiave
Nella bozza recapitata ai capigruppo ricorrono alcuni concetti chiave: “sostegno multidimensionale” all’Ucraina, una pace “giusta e duratura” basata sulla Carta Onu e sul diritto internazionale, il rafforzamento delle capacità operative europee “nel quadro dell’Alleanza Atlantica”. Si evita, per ora, di evocare dispiegamenti o missioni sul terreno, e si preferisce insistere su cooperazione industriale, addestramento, difesa aerea, ricostruzione e aiuti finanziari prevedibili. È un lessico già adottato in precedenti risoluzioni di maggioranza e nelle comunicazioni di Palazzo Chigi alle Camere, aggiornato però al contesto della settimana berlinese.
I due paletti
Due i paletti testuali. Il primo: il congelamento degli asset russi non vale come avallo all’utilizzo; per quello, l’Italia chiede decisioni dei leader, massima aderenza al diritto Ue e internazionale, e la valutazione di strumenti alternativi per coprire il fabbisogno di Kiev nel biennio 2026-2027. Il secondo: si sostiene il percorso europeo dell’Ucraina, ma senza formule che promettano un’entrata automatica a data fissa. In controluce, l’idea è preservare l’unità della coalizione interna e quella con i partner europei, evitando di offrire bersagli a chi, in patria e fuori, attende un passo falso per accusare Roma di avventurismo o di remare contro.
Il peso del'Italia
La geometria variabile dei 27
Il dibattito sui beni russi e sull’allargamento fotografa una Ue a geometria variabile. Sul primo dossier, l’indefinite freeze deciso a Bruxelles neutralizza il rischio di veto periodico, ma lascia aperto il tema cardine: capitale o proventi? uso immediato o in garanzia? responsabilità legale di chi decide? L’Italia, insieme ad altri, spinge per un ancoraggio legale granito e per soluzioni finanziarie capaci di mobilitare decine di miliardi senza scavalcare il perimetro giuridico.
Sull’allargamento, il percorso tecnico può accelerare – con cluster di negoziato e un “approccio unico” per aggirare il veto ungherese – ma l’ingresso resta decisione politica. In questo quadro, una posizione italiana misurata può aiutare a costruire un consenso più ampio, specie se Parigi e Berlino terranno insieme il doppio binario: garanzie di sicurezza credibili subito, allargamento come destinazione finale, non come scorciatoia.
Il fattore americano e la variabile tempo
La pressione statunitense – accelerare, chiudere, “portare a casa” un accordo – è la vera variabile. Ma l’Europa ha imparato che i tempi brevi spesso generano problemi lunghi. Qui si gioca la scommessa di Berlino: definire garanzie che siano davvero vincolanti e sostenibili nel tempo, senza scambiare ambiguità per flessibilità. L’Italia chiede di fissare su carta chi fa che cosa, con quali fondi, quali triggers e quali verifiche. Solo così l’eventuale “pausa” dei combattimenti non diventa un congelamento instabile destinato a sciogliersi al primo disgelo geopolitico.
La posta in gioco per l’Italia
Per Meloni, la cena berlinese è più di un appuntamento diplomatico. È il test di una dottrina: tenere l’Italia in prima fila a sostegno dell’Ucraina, ma con una strategia che non esponga Roma – e la Ue – a rischi legali e politici ingestibili. Il messaggio della bozza ai capigruppo è chiaro: sì alla solidarietà, no agli automatismi. In altre parole, un europeismo responsabile che non scambia la fretta per la forza. Le prossime 72 ore diranno se l’Europa saprà fare propri questi paletti, trasformando la prudenza italiana in leva per un compromesso più solido. Se così sarà, la foto ricordo della Cancelleria non sarà solo l’istantanea di una cena: sarà la cornice di un metodo.