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IL DELITTO DI CHIARA POGGI

Garlasco, il ritorno di Stasi in aula: tra nuova perizia sul Dna e vecchie ferite che non si rimarginano

A Pavia un’udienza che riapre domande mai sopite: la presenza di Alberto Stasi, il lavoro dei periti sul Dna dopo 11 anni e il confronto serrato fra accusa e difese

Alfredo Zermo

18 Dicembre 2025, 16:28

Garlasco, il ritorno di Stasi in aula: tra nuova perizia sul Dna e vecchie ferite che non si rimarginano

Entrata laterale del Tribunale di Pavia, mattina presto del 18 dicembre 2025: un uomo in giacca scura abbassa lo sguardo, stringe le labbra, evita i microfoni che lo attendono da più di 18 anni. È Alberto Stasi, condannato in via definitiva a 16 anni per l’omicidio della fidanzata Chiara Poggi. Oggi, però, non è lui l’indagato su cui si concentra l’udienza dell’incidente probatorio: la scena ruota attorno ad Andrea Sempio, amico del fratello di Chiara, indagato per omicidio in concorso. Stasi c’è perché ha ottenuto un permesso dal Tribunale di Sorveglianza: può assistere, non può parlare. Accenna qualche parola ai cronisti, poi si allontana con i difensori. Una presenza silenziosa che pesa più di qualunque dichiarazione.

Il permesso speciale e la posizione di Stasi oggi

Secondo quanto riferito dai suoi legali, il Tribunale di Sorveglianza ha autorizzato Alberto Stasi a presenziare all’udienza, chiedendogli però di non rilasciare dichiarazioni. La misura si inserisce nella cornice della sua attuale condizione: la semilibertà, concessa nel 2025 e confermata dopo il rigetto da parte della Corte di Cassazione del ricorso della Procura generale di Milano. Una decisione arrivata il 1° luglio 2025, che ha respinto la richiesta di revoca del beneficio avanzata alcune settimane prima.

L’attenzione su Stasi resta altissima: è il condannato definitivo, ma nel frattempo si è riaperto un capitolo investigativo su Sempio, in un fascicolo dove il capo d’imputazione è “omicidio in concorso” — con Stasi o con ignoti. Un paradosso giuridico solo apparente: il nostro ordinamento contempla la convivenza tra un giudicato e nuove indagini su possibili concorrenti. La sua scelta di presentarsi a Pavia — spiegano i legali — ha un valore personale oltre che processuale: “Voleva esserci perché lo riguarda”.

La scena in aula: chi c’era e perché

Davanti alla gip Daniela Garlaschelli, si sono confrontati periti e consulenti su due grandi assi: le tracce genetiche e le impronte. Sul versante dattiloscopico, secondo quanto è filtrato nelle scorse settimane, non emergono impronte riconducibili a Sempio tra quelle repertate nella villetta di via Pascoli nel 2007. Sul versante genetico, invece, l’udienza è il punto di approdo di un lungo lavoro: la perizia disposta sull’originario materiale biologico prelevato sotto alcune unghie della vittima. Al centro, l’aplotipo del cromosoma Y e il dibattito — anche metodologico — sulla sua forza probatoria.

La perizia sul Dna dopo 11 anni

Il cuore dell’incidente probatorio è la relazione della perita Denise Albani (polizia scientifica), che ha rianalizzato le tracce trovate sotto due unghie di Chiara Poggi. Secondo le anticipazioni e i documenti condivisi alle parti, l’analisi biostatistica segnala una disponibilità di dati “alta” a sostegno della compatibilità dell’aplotipo Y con la linea maschile della famiglia Sempio. La compatibilità è stata descritta in più passaggi come “elevatissima”, con una concordanza di 12 marcatori su 16 secondo i kit utilizzati. La stessa Albani, però, ha sottolineato i limiti epistemologici dell’aplotipo Y: non identifica una persona in modo univoco, ma una linea paterna; inoltre, la ricostruzione del “come” quelle tracce siano finite lì (contatto diretto o trasferimento indiretto, sopra o sotto le unghie) resta tema controverso.

Le conclusioni della perita — spiegano i consulenti della difesa di Stasi, i genetisti Ugo Ricci e Pasquale Linarello — hanno una base “chiara e scientifica”: la valutazione primaria ha ritenuto le tracce comparabili e attribuibili alla linea Sempio, e la biostatistica è stata utilizzata per corroborare il quadro; contestualmente, la perita ha escluso Stasi come fonte di quel profilo. Elemento non secondario: dalle stesse carte risulta che il Dna repertato “non è degradato” — in contrasto con letture risalenti al 2014.

Sul fronte della Procura di Pavia, le risultanze convergono con quanto già messo a verbale nei mesi scorsi dai consulenti Carlo Previderé e Pierangela Grignani: “sovrapponibilità” del profilo Y con la linea maschile Sempio, tracce particolarmente significative sul mignolo della mano destra e sul pollice della mano sinistra di Chiara — fra i reperti che, all’epoca, non erano stati pienamente sfruttati. L’orientamento accusatorio si è dunque rafforzato nel 2025, al punto da reggere l’urto del contraddittorio tecnico.

Le obiezioni della difesa Sempio

La difesa di Andrea Sempio — avvocati Liborio Cataliotti e Angela Taccia, con i consulenti Armando Palmegiani e Marina Baldi — sostiene che il dato genetico non sia “probante” in senso giuridico: non è stato replicato con uguale esito, il profilo è “parziale”, “misto” e resta plausibile il “trasferimento mediato” da oggetti presenti in casa Poggi, frequentata dall’indagato prima del delitto. Inoltre, il ricorso a banche-dati con numeri limitati o non perfettamente aderenti alla popolazione di riferimento renderebbe scivolosa la quantificazione probabilistica. È la linea di contrasto che la difesa ha spinto fino alla soglia mediatica, ribadendo l’innocenza di Sempio.

Nella cornice biostatistica, un dato resta oggettivo: i database “locali” italiani per gli aplogruppi Y sono numericamente ridotti, mentre i calcoli su basi “western european” allargano la platea ma introducono ulteriori variabili; l’effetto, sottolineato da più parti, è un’incertezza residua sulla forza dell’inferenza in un caso con campioni datati.

L’impronta “33” e gli altri tasselli: cosa vale nel mosaico

Parallelamente al Dna, i riflettori investigativi si sono posati su una vecchia traccia: la “papillare 33”, un’impronta di palmo repertata vicino al corpo di Chiara e rimasta a lungo “illeggibile”. Il suo recupero forense ha riaperto discussioni su possibili attribuzioni, inclusa la richiesta — avanzata in passato dalla difesa Stasi — di ulteriori accertamenti, ritenendo quella traccia “densa di materiale biologico”. Ma sul fronte dattiloscopico, al momento, la bussola degli ultimi esami ufficiali non indica Sempio. Un capitolo ancora in evoluzione, che mostra quanto sia difficile trasformare vecchi reperti in prove nuove e affidabili dopo 18 anni.

Il ruolo e la voce della difesa Stasi: “Oggi conta il metodo”

All’esterno dell’aula, a parlare sono gli avvocati. La legale Giada Bocellari — insieme all’avvocato Antonio De Rensis — sottolinea da mesi l’importanza del percorso peritale, che arriva a distanza di 11 anni dalle prime contestazioni sullo stesso Dna: il valore di questa udienza, ha ribadito, è prima di tutto personale per Stasi, che continua a dirsi estraneo all’omicidio. È una linea coerente con precedenti dichiarazioni della difesa: non chiedere per ora nuove estensioni di prelievi genetici, ma pretendere rigore nella gestione dei reperti e delle analisi. Nel frattempo, i consulenti della difesa hanno consegnato osservazioni tecniche a sostegno della solidità metodologica del lavoro della perita e della non riconducibilità delle tracce a Stasi.

La lunga storia processuale: assoluzioni, annullamenti, condanna definitiva

Per capire il peso simbolico della presenza di Stasi in aula bisogna riandare al percorso processuale: assolto in primo grado nel 2009 e in appello nel 2011, l’assoluzione fu annullata dalla Cassazione nel 2013 con rinvio a un nuovo appello, concluso nel 2014 con la condanna a 16 anni. Il 12 dicembre 2015 la Cassazione ha reso definitiva la sentenza. Da allora Stasi ha scontato la pena nel carcere di Bollate, ottenendo nel tempo misure di ammorbidimento del regime, fino all’attuale semilibertà confermata nel 2025. Una traiettoria giudiziaria complessa, che rende ogni sviluppo delle nuove indagini su Sempio inevitabilmente dirompente sul piano pubblico, ma giuridicamente “parallelo” al giudicato.

Le nuove indagini e l’ombra lunga sulle prime inchieste

Il fascicolo su Sempio non si ferma al Dna: al centro anche i contatti telefonici, gli spostamenti di quella mattina di Ferragosto 2007 e alcuni reperti trascurati o non valorizzati all’epoca. Una ricognizione che ha inevitabilmente rimesso sotto lente le prime attività investigative, i loro limiti e — per quanto oggetto di accertamenti separati — persino il comportamento di chi quelle indagini le coordinava. Negli scorsi mesi è finito sotto inchiesta l’ex magistrato Mario Venditti (all’epoca alla Procura di Pavia) per ipotesi di corruzione in atti giudiziari legate all’archiviazione di Sempio nella prima inchiesta: un capitolo autonomo e ancora tutto da provare, che la difesa Stasi ha definito “gravissimo”, parlando di “errori e orrori” nelle origini del caso. Va ribadito: si tratta di accuse in corso di verifica, e ogni valutazione spetta ai giudici.