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la guerra

“O soldi oggi o sangue domani”: l’ultimatum di Zelensky all’Europa sui beni russi congelati

Il presidente ucraino spinge per una decisione entro fine anno: usare i beni sovrani bloccati di Mosca come garanzia di un maxi piano di prestiti all’Ucraina. Tra timori legali del Belgio, la regia della Commissione e la corsa contro il tempo per evitare un buco di cassa in primavera.

Redazione La Sicilia

19 Dicembre 2025, 00:05

“O soldi oggi o sangue domani”: l’ultimatum di Zelensky all’Europa sui beni russi congelati

Dentro l’Europa Building circola una frase che taglia l’aria come una lama: «O soldi oggi o sangue domani». L’ha scandita il premier polacco Donald Tusk mentre il presidente ucraino Volodymyr Zelensky attraversava la galleria di vetro diretto in sala Consiglio. L’obiettivo è chiaro e urgente: convincere i leader dell’Unione europea a sbloccare, o meglio a usare, i circa 210 miliardi di euro di beni sovrani russi congelati in Europa per garantire un piano di prestiti a Kyiv da almeno 90-210 miliardi, a seconda delle opzioni sul tavolo. Senza quella rete di garanzie, ha avvertito Zelensky, l’Ucraina rischia di trovarsi a corto di liquidità già entro la primavera del 2026, con conseguenze dirette sulla capacità di produrre droni e sostenere lo sforzo bellico.

Il cuore del dossier: Euroclear e i 210 miliardi “immobilizzati” in Europa

Il nodo tecnico–politico è custodito a Bruxelles, nei conti di Euroclear, il grande depositario centrale di titoli dove si concentra la fetta maggiore — circa €183–185 miliardi — degli asset della Banca centrale russa congelati dopo l’invasione del 2022. Con il passare dei mesi, molti titoli sono andati a maturazione trasformandosi in cassa immobilizzata, che genera proventi reinvestiti e, in parte, trasferiti a strumenti europei per l’Ucraina. Il “principale” rimane di proprietà russa ma non è accessibile; i “frutti” sono già in parte impiegati per Kyiv.

Dal 2024 l’UE ha introdotto un meccanismo di “contributo straordinario” sui profitti maturati da questi asset: Euroclear ha versato circa €1,55 miliardi a luglio 2024 e si prepara a un secondo trasferimento di circa €2 miliardi relativo al secondo semestre, mentre il Belgio ha incassato €1,7 miliardi di imposte su quegli interessi nel solo 2024. Numeri importanti, ma non risolutivi rispetto alle esigenze di bilancio di Kyiv: servono volumi ben maggiori e soprattutto certezza pluriennale.

Dal “profitto” al “collaterale”: la proposta del prestito di riparazione

Per colmare il gap, la Commissione europea — con l’appoggio della presidente Ursula von der Leyen — ha messo a punto un’architettura definita “reparations loan”: un prestito straordinario, potenzialmente fino a €140 miliardi nella versione intermedia e fino a €210 miliardi in quella più ambiziosa, erogato all’Ucraina e garantito dal valore del “gruzzolo” russo congelato nell’UE. Kyiv lo ripagherebbe solo quando e se Mosca verserà le riparazioni per i danni di guerra. Nel frattempo, il rischio sarebbe “assorbito” da garanzie comuni e da un quadro legale che punta a evitare la “confisca” diretta del patrimonio sovrano, agganciandosi invece a una gestione temporanea del suo rendimento e alla funzione di collaterale.

L’opzione-ponte già attiva è la linea G7 ERA (Extraordinary Revenue Acceleration), un pacchetto da 50 miliardi di dollari finanziato dai proventi dei beni russi immobilizzati. Gli Stati Uniti hanno già erogato 20 miliardi nel dicembre 2024 e l’UE ha effettuato più tranche nel 2025. Ma i tassi in calo ridurranno gli interessi generati dagli asset, rendendo la sola “rendita” insufficiente. Da qui l’esigenza di passare all’uso del “principale” come garanzia di un prestito molto più capiente.

Il freno belga: leggi, rischi e il “paracadute” chiesto da Bruxelles 

Il bastone tra le ruote è la richiesta di garanzie legali e finanziarie avanzata dal Belgio — dove ha sede Euroclear — per evitare che un’eventuale ondata di cause (o ritorsioni) lasci il Paese esposto in solitaria. Il premier Bart De Wever insiste su un “paracadute” che ripartisca il rischio tra tutti i 27 e mette in guardia sulle possibili responsabilità connesse a trattati bilaterali e alla posizione giuridica degli asset sovrani. La Commissione, dal canto suo, sostiene che l’architettura proposta eviti la confisca e rispetti il diritto internazionale, preservando la proprietà russa del capitale pur utilizzando i rendimenti e l’“immobilizzazione” come leva finanziaria.

Sul piano strettamente legale, diversi esperti ritengono che Mosca abbia poche vie efficaci per ribaltare la misura in tribunale, soprattutto entro la giurisdizione UE. La Banca di Russia ha annunciato e avviato azioni legali — inclusa una causa a Mosca contro Euroclear — ma la loro esecutività in Europa è preclusa dal quadro sanzionatorio. Resta la possibilità di tentativi in altri ordinamenti, ma implicherebbero rinunciare a immunità sovrane o affrontare ostacoli processuali significativi.

La finestra temporale: perché “entro l’anno” non è solo un simbolo

In conferenza stampa a Bruxelles il 18 dicembre 2025, Zelensky ha chiesto esplicitamente di «decidere entro la fine dell’anno», ricordando che circa il 90% dei 210 miliardi europei è concentrato in Belgio e che l’incertezza logora la pianificazione militare e di bilancio. Le stime del Fondo monetario e dei partner indicano per il 2026 un fabbisogno estero elevato — con un deficit che potrebbe toccare il 18–19% del PIL — e spese per la difesa oltre il 27% del PIL: senza un ancoraggio finanziario europeo, Kyiv rischia di entrare nel nuovo anno in affanno, comprimendo produzioni cruciali — come i droni — già dalla primavera.

“Morale, giusto e legale”: l’argomento politico-morale di Kyiv

Per piegare le resistenze, Zelensky ricorre a un’analogia destinata a far discutere: «Come si confiscano i soldi ai trafficanti di droga e si sottraggono le armi ai terroristi, così i beni della Russia devono essere usati per difenderci e ricostruire ciò che è stato distrutto». È, nelle parole del presidente ucraino, una scelta «morale, giusta e legale» perché collegata direttamente all’aggressione e alla riparazione del danno. Sul piano politico, l’argomento punta a trasformare il tema degli asset in una questione di responsabilità: “questi soldi appartengono alle vittime, non agli alleati”, ripete da mesi Kyiv.

Non sfugge che il linguaggio urti la sensibilità di alcuni governi e di parte dell’opinione pubblica europea, preoccupata dal precedente che riguarderebbe asset sovrani. Ma il controargomento — sostenuto anche da economisti di primo piano — è che la giustizia riparativa e la deterrenza futura richiedono esattamente un passaggio di questo tipo: se l’aggressore paga, si riduce l’incentivo alla guerra e si condividono meno oneri sui contribuenti europei.

Cosa c’è davvero in gioco per l’UE

Il profilo di sicurezza europea: diversi leader — da Kaja Kallas a Donald Tusk — legano la solidità del fronte ucraino alla sicurezza degli Stati membri confinanti e alla credibilità della NATO. Un’Ucraina sottofinanziata sul campo equivale, dicono, a più rischio ai confini dell’Unione.

La tenuta giuridica: evitare la confisca “piena” è la leva scelta per reggere al controllo di legalità. L’idea è: il capitale resta a Mosca, l’Europa utilizza i proventi e l’“immobilizzazione” per finanziare Kyiv; il rimborso del maxi-prestito avverrà quando la Russia pagherà le riparazioni.

La coesione politica: il nuovo regime di congelamento a tempo indeterminato evita la roulette del rinnovo semestrale delle sanzioni (e dei veti), ma sulle garanzie per Belgio ed eventuali paesi esitanti (tra cui l’Italia, preoccupata per il fondamento legale) si gioca la partita della fiducia reciproca.

Il quadro attuale dei numeri

Asset sovrani russi immobilizzati in Occidente: $300–350 miliardi; in Europa circa €210 miliardi, di cui €183–185 miliardi in Euroclear (Belgio).

Proventi 2024 dai beni immobilizzati presso Euroclear: circa €6,9 miliardi; imposta belga correlata €1,7 miliardi; contributo UE (windfall) per l’Ucraina nel 2024 di €3,55 miliardi (prima tranche €1,55 mld, seconda attesa circa €2 mld). Tendenza 2025: proventi in calo con i tassi.

Linea G7 ERA: $50 miliardi totali; $20 miliardi erogati dagli USA (dicembre 2024); più tranche UE nel 2025 (es. €1 mld a maggio; €4 mld a ottobre), con l’obiettivo UE di €18,1 mld di contributo dentro ERA.

Fabbisogno Ucraina: per il 2026 stime IMF indicano circa €135 miliardi complessivi di aiuti, con difesa sopra il 27% del PIL e un deficit intorno al 18,5%.

Cosa chiedono le capitali esitanti

Il Belgio vuole tre cose: un inventario trasparente del totale degli asset per Paese (per capire come si “spalma” il rischio), garanzie vincolanti di risk-sharing tra gli Stati membri, una base legale inattaccabile che protegga Euroclear e lo Stato belga da cause multimiliardarie. Altri Paesi — come l’Italia — reclamano chiarezza su competenze e rischi, mentre Ungheria minaccia veti su alternative come il nuovo debito comune. Nel mezzo, Germania e altri spingono sul prestito di riparazione come soluzione più sostenibile rispetto a nuovi oneri sui contribuenti.

La variabile USA e il tempo che stringe

L’Europa discute mentre a Washington il dibattito sull’assistenza a Kyiv si è fatto più incerto e transazionale. È anche per attenuare questa incertezza americana che Bruxelles prova a costruire un ombrello finanziario europeo di lungo periodo. La logica è doppia: stabilità per le casse ucraine e segnale deterrente a Mosca. Se l’architettura regge, l’Ucraina evita di tagliare capacità essenziali (come i droni), soprattutto nella finestra critica tra fine inverno e primavera.

Le obiezioni di Mosca e la risposta europea

Il Cremlino parla di «furto» e minaccia ritorsioni, sostenendo che l’uso dei beni congelati minerebbe la fiducia nel sistema finanziario europeo. Ma il punto della Commissione è che il progetto evita l’esproprio: non si tocca la proprietà del capitale, si gestiscono i frutti e si immobilizza un controvalore a garanzia del prestito. Giuridicamente, il confine è sottile ma decisivo: l’UE mira a restare dentro la cornice del diritto internazionale, ancorando l’operazione al principio di riparazione per un danno riconducibile a un atto illecito internazionale. Politicamente, la scelta separa chi teme il precedente e chi legge qui l’occasione per far pagare all’aggressore.

Cosa succede se l’UE non decide

Se il summit si chiudesse senza accordo, l’ERA continuerebbe a funzionare, ma con proventi in calo e tempi incompatibili con le esigenze di bilancio 2026 di Kyiv. L’FMI e altri partner condizionano nuovi pacchetti a una boa europea credibile. Nei corridoi si stima che l’Ucraina possa “galleggiare” con risorse interne nel primo trimestre 2026, ma senza un commitment europeo presto formalizzato scatterebbero tagli e ritardi su spese prioritarie. È lo scenario che Zelensky vuole evitare reclamando una decisione “entro la fine dell’anno”.

Il lede politico: dal Belgio all’Europa, tutti dentro o tutti fuori

Tra i leader gira una massima che riassume il senso di questa trattativa: «Se ci si lancia, ci si lancia tutti insieme». Il Belgio non vuole essere l’unico “custode” a pagare se le cose vanno storte; molti altri Paesi non vogliono ritrovarsi a pagare comunque, con nuove tasse o nuovo debito, ciò che potrebbero invece far pagare alla Russia. Da qui lo sforzo della Commissione nel rendere il paracadute abbastanza robusto per convincere De Wever e chi teme ricorsi, senza trasformare il pacchetto in un federalismo fiscale che una parte dell’UE non è pronta ad accettare.

L’ultima carta di Zelensky: l’analogia che sposta l’asse del dibattito

L’immagine dei narcotrafficanti e dei terroristi non è un’esagerazione retorica casuale. Serve a spostare il dossier dal piano “tecnico” a quello “etico”: i beni di chi commette un crimine non possono finanziare altro se non la riparazione del crimine stesso. È l’argomento con cui l’Ucraina prova a compattare il fronte europeo e a superare la paura del precedente. Di fronte alla prospettiva di una primavera con meno risorse, il presidente ucraino gioca la carta più politica: legare diritto, morale e sicurezza in un’unica catena logica. La pioggia su Bruxelles può attendere; a bagnarsi, semmai, rischia la credibilità europea.