LA MODIFICA
Fratelli d’Italia senza il “sì”: come un decreto silenzioso ha cambiato il nostro inno e perché il grido finale non si può più pronunciare
Dalla Gazzetta Ufficiale alle caserme: che cosa prevede davvero il D.P.R. del 14 marzo 2025 e perché adesso quel grido finale non si può più pronunciare
La scena è di quelle note a memoria: fanfare in assetto, sguardi al tricolore, il coro che sale su “l’Italia chiamò”… e poi nulla. Nessun “sì!” liberatorio. Solo musica. Non è una svista dei musicisti né un eccesso di rigore del maestro. Dal 7 maggio 2025, giorno di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, l’assenza dell’esclamazione è la conseguenza di una regola formale: un Decreto del Presidente della Repubblica (D.P.R.) del 14 marzo 2025 disciplina le modalità di esecuzione del nostro inno, e lo fa ancorandolo al testo di Goffredo Mameli e allo spartito di Michele Novaro. A valle, una disposizione interna dello Stato Maggiore della Difesa ha imposto la stessa linea nelle cerimonie militari. Da prassi condivisa, quel “sì” è diventato un fuori programma. E ora non si dice più, almeno nelle esecuzioni ufficiali.
Che cosa dice il decreto: la cornice giuridica
Il D.P.R. 14 marzo 2025, adottato “sulla proposta del Presidente del Consiglio dei ministri” e pubblicato sulla G.U. n. 104 del 7-5-2025, non è un atto qualunque: attua la legge 4 dicembre 2017, n. 181, che ha riconosciuto in via definitiva il testo di Mameli e lo spartito originale di Novaro come Inno nazionale. Il decreto stabilisce che, nelle cerimonie alla presenza del Presidente della Repubblica, o di una bandiera di guerra/d’istituto, nonché nelle festività nazionali, l’Inno è eseguito ripetendo “due volte di seguito le prime due quartine e due volte di seguito il ritornello” come previsto dallo spartito originale. Niente di più, niente di meno: nessun’appendice urlata, nessuna coda aggiunta. In altre parole, il decreto non “cancella” espressamente il “sì”, ma fissando la forma conforme agli autografi di testo e musica, di fatto lo esclude dall’esecuzione di riferimento.
In parallelo, il Dipartimento per il Cerimoniale di Stato ricorda sul proprio sito che, in attuazione della legge n. 181/2017, il 14 marzo 2025 è stata emanata la disciplina delle modalità di esecuzione; e rende disponibili la partitura e la registrazione di riferimento eseguita dalla Banda interforze, oltre alle copie digitali degli autografi di Novaro e Mameli. È un ulteriore tassello che conferma l’impostazione: aderenza filologica alle fonti, uniformità delle esecuzioni istituzionali.
Il “foglio” militare: quando la regola entra nelle caserme
Se la norma generale sta nel decreto, l’applicazione rigida nelle Forze Armate arriva con un atto interno. Secondo documentazione richiamata dalla stampa nazionale, lo Stato Maggiore della Difesa ha diramato il 2 dicembre 2025 una disposizione (n. MDA0D32CC REG20250229430) che ordina: “ogniqualvolta venga eseguito ‘Il Canto degli Italiani’ nella versione cantata non dovrà essere pronunciato il ‘sì!’ finale”. Il provvedimento – citato anche con l’indicazione della firma del generale di divisione Gaetano Lunardo – prescrive la “scrupolosa osservanza” della regola in tutte le cerimonie militari. In calce, come allegato, compare proprio il D.P.R. 14 marzo 2025. È la cinghia di trasmissione che porta la scelta filologica sul terreno operativo delle parate e degli onori.
Va precisato che il testo integrale della disposizione non risulta pubblicato nei canali istituzionali aperti al pubblico al momento in cui scriviamo; la sua esistenza e i contenuti sono stati tuttavia ripresi in modo coerente da più testate, con il medesimo numero di protocollo e la stessa data. Una verifica indipendente della catena di comandi è resa verosimile sia dall’aggancio al D.P.R. sia dalla prassi, in ambito militare, di tradurre le norme di cerimoniale in istruzioni esecutive standardizzate.
Il precedente: dal provvisorio al definitivo
Per comprendere la portata – giuridica e simbolica – della stretta, bisogna fare un passo indietro. Il Canto degli Italiani è stato inno della Repubblica dal 12 ottobre 1946 solo de facto; la piena ufficialità è arrivata con la legge 4 dicembre 2017, n. 181, entrata in vigore il 30 dicembre 2017. In quel testo, composto da due commi, il Parlamento ha riconosciuto il “testo del ‘Canto degli italiani’ di Goffredo Mameli” e “lo spartito musicale originale di Michele Novaro” come inno nazionale, rimettendo a un D.P.R. la definizione delle “modalità di esecuzione”. Quel D.P.R. è appunto quello del 14 marzo 2025. Dalla provvisorietà prassiologica si è così passati alla normazione di dettaglio.
L’esecuzione di riferimento: Del Monaco e le tracce sul sito del Quirinale
C’è un altro indizio che aiuta a capire perché il “sì” sia finito sotto la lente. Sul sito del Quirinale, tra i “Simboli della Repubblica”, sono proposte più versioni dell’Inno, tra cui una “registrazione storica del 1961” (spesso indicata nel dibattito mediatico come del 1971) con il tenore Mario Del Monaco, e l’esecuzione diretta da Riccardo Muti. In entrambe le tracce di riferimento, dopo “siam pronti alla morte / l’Italia chiamò” non c’è alcuna esclamazione finale: solo la chiusura musicale. È coerente con l’orientamento filologico che si vuole ribadire e con il materiale che lo Stato offre come “modello” d’ascolto e studio.
Diversi media hanno collegato questa scelta sonora al “nuovo corso” sancito dal D.P.R. e dall’atto dello Stato Maggiore della Difesa, sottolineando come la versione “senza ‘sì’” sia quella di riferimento sul Colle. L’argomento è stato ripreso il 23 dicembre 2025 da più testate, con particolare richiamo all’impatto nelle cerimonie militari.
Il nodo del “sì”: prassi popolare o tradizione musicale?
Chi abbia familiarità con gli stadi, con le adunate e con certe liturgie civiche sa che il “sì!” finale è entrato nell’orecchio degli italiani da decenni. Ma è un’aggiunta “popolare” o ha radici musicali? Qui la discussione si fa più sottile.
Sul piano dei testi, i manoscritti autografi di Mameli non riportano il “sì”. Sul piano musicale, lo spartito di Novaro – nelle sue redazioni storiche – non codifica quell’esclamazione come parte integrante della partitura. È vero tuttavia che, nella prassi esecutiva, l’apice retorico del ritornello si è spesso chiuso con un grido collettivo, in coerenza con l’energia patriottica del brano. Una filologia rigorosa porta a non includerlo; una tradizione d’uso lo ha interiorizzato. Il D.P.R. del 2025 ha scelto la prima via, almeno per l’ambito pubblico-istituzionale.
Sull’argomento, la stampa ha raccolto anche richiami a studi critici degli ultimi anni (tra cui quelli del musicologo Maurizio Benedetti), che sottolineano l’importanza di attenersi al testo di Mameli e alla partitura di Novaro nelle esecuzioni formali e didattiche. È un richiamo all’“edizione critica” dell’Inno: prima di essere slogan, è una pagina musicopoetica dell’Ottocento.
Che cosa cambia per eventi, scuole e sport
Il D.P.R. non si limita alle parate. L’art. 2 prevede che, al di fuori dei casi “alti” (bandiera di guerra, Capo dello Stato, festività nazionali), l’Inno possa essere eseguito anche integralmente, con eventuale introduzione, variazioni di tonalità, voci diverse, altri complessi strumentali o basi registrate. È un passaggio importante: nella sfera civile e sportiva la flessibilità resta ampia, purché si mantenga il rispetto del valore storico del brano. Tuttavia, il riferimento al testo di Mameli e allo spartito di Novaro diventa la bussola per scuole, cori, orchestre. Per gli organizzatori, dunque, la raccomandazione prudente è: attenersi alla partitura e alle versioni di riferimento rese disponibili dallo Stato, evitando aggiunte non previste, specie in contesti istituzionali o patrocinati.
Ricordiamo anche che il decreto lascia salve le “disposizioni concernenti le forme e le modalità di esecuzione” nel comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico: è lo spazio dentro cui si colloca la disposizione dello Stato Maggiore della Difesa del 2 dicembre.
Perché proprio ora: la politica dei simboli
La tempistica non è casuale. Negli ultimi anni il legislatore ha investito sui simboli repubblicani: dalla definizione della Giornata dell’Unità nazionale, della Costituzione, dell’Inno e della Bandiera al rafforzamento dell’insegnamento dell’Inno nelle scuole. Il D.P.R. 2025 è un tassello di questa strategia: codifica l’esecuzione, evita oscillazioni cerimoniali, sintonizza la prassi al patrimonio documentale conservato negli archivi e nei musei (dalla Casa di Mazzini a Genova al Museo Nazionale del Risorgimento di Torino). Anche le mostre e gli allestimenti recenti – come la nuova “Sala dell’Inno” al Museo del Risorgimento di Genova – testimoniano un’attenzione rinnovata al “canto” come oggetto storico, musicale e civile.