la guerra
“Siamo a un passo dall’intesa”: la scommessa di Ryabkov sulla pace in Ucraina e la partita (aperta) tra Mosca, Kiev e l’Europa
Nel salotto televisivo più seguito della Russia, il viceministro degli Esteri Sergei Ryabkov scandisce una data – 25 dicembre 2025 – come “pietra miliare”. Ma dietro l’annuncio di un accordo “vicinissimo” si agitano dossier irrisolti, pressioni incrociate e una fitta rete di interlocuzioni con Washington e Bruxelles
È la sera del 26 dicembre 2025 quando Sergei Ryabkov, volto di lungo corso della diplomazia russa, pronuncia a “60 Minuti”, talk politico dell’emittente statale russa, una frase destinata a rimbalzare nelle capitali europee: “Una soluzione è vicina, serve l’ultimo sforzo”. Poi aggiunge un inciso che pesa come un macigno: “Kyiv e l’Europa raddoppiano gli sforzi per affossare l’accordo”. E consegna alla cronaca una data simbolica: “Il 25 dicembre 2025 rimarrà nella memoria come una pietra miliare”. Parole misurate, ma calibrate per occupare l’agenda.
Cosa ha detto Ryabkov, e perché adesso
Il messaggio del viceministro ruota attorno a tre assi: la prossimità di un’intesa, la natura ancora fragile del possibile compromesso e la denuncia di un presunto ruolo “ostruzionistico” di Kyiv e di partner europei. Il riferimento temporale – la data del 25 dicembre 2025 – viene presentato come un punto di svolta “psicologico” e procedurale: secondo Ryabkov, nelle ultime ore le parti sarebbero “davvero” arrivate a lambire una bozza di soluzione, ma il passaggio finale richiederebbe “volontà politica” anche dall’altro lato del tavolo.
Il contesto è quello di una diplomazia multilivello che, nelle ultime settimane, ha visto intensificarsi i contatti indiretti tra Mosca e Kyiv attraverso canali statunitensi, mentre l’Unione europea ribadiva i propri principi-chiave: nessun cambiamento dei confini con la forza, sovranità e integrità territoriale dell’Ucraina come bussola, sostegno finanziario e di sicurezza nel medio periodo.
Washington come snodo, l’Europa sullo sfondo
Negli stessi minuti in cui da Mosca arrivava la dichiarazione, da Kyiv giungeva la conferma di un passaggio cruciale: Volodymyr Zelensky ha annunciato un prossimo incontro in Florida con Donald Trump per discutere una piattaforma in 20 punti che gli ucraini definiscono “quasi finalizzata”, anche se su nodi sensibili restano distanze marcate. A seguire, una possibile partecipazione “in remoto” di leader europei. L’architettura che si delinea è quella di un negoziato a più livelli con Washington nel ruolo di hub – e con Mosca che, ufficialmente, continua a escludere concessioni territoriali.
Sul tavolo, secondo più fonti, restano irrisolti almeno tre capitoli: garanzie di sicurezza per l’Ucraina; il futuro della centrale nucleare di Zaporizhzhia; la questione dei territori occupati e dello status amministrativo del Donbass. Per Kyiv, la linea pubblica è costante: niente cessioni di territorio e un’impostazione che preveda deterrenza e verifiche robuste degli impegni. Per Mosca, la narrativa è speculare: le pretese sulla Crimea e su Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Kherson sono presentate come “non negoziabili”, in coerenza con le affermazioni ripetute da Ryabkov nelle ultime settimane.
Che cosa significa “pietra miliare” del 25 dicembre
La scelta di Ryabkov di scolpire la data del 25 dicembre 2025 ha valore simbolico e operativo. Fonti russe l’hanno descritta come il giorno in cui la trattativa avrebbe registrato un cambio di passo, forse dopo nuovi scambi attraverso canali statunitensi; la stessa televisione russa ha ripreso le parole del viceministro sottolineando l’idea di un “avvicinamento reale” alla composizione del conflitto. Resta tuttavia indefinito che cosa, nella pratica, sia stato messo per iscritto e con quale grado di consenso reciproco. La prudenza, qui, è d’obbligo: nessun testo ufficiale è stato pubblicato, e gli stessi protagonisti parlano di dossier tuttora aperti.
L’Europa tra sostegno a Kyiv e linea rossa sul diritto internazionale
Mentre Mosca evoca un presunto ostruzionismo europeo, i Ventisette hanno appena confermato una doppia direttrice: sostegno politico, militare ed economico a Kyiv e riaffermazione dei principi del diritto internazionale come cornice di qualunque intesa. Il Consiglio europeo del 18-19 dicembre 2025 ha approvato un sostegno fino a 90 miliardi di euro per il biennio 2026-2027, con l’idea – politicamente significativa – che il rimborso da parte ucraina scatti soltanto quando Mosca avrà pagato le riparazioni di guerra. Nello stesso documento, i leader europei ribadiscono che i confini non possono essere modificati con la forza e invocano un cessate il fuoco pieno, immediato e incondizionato da parte russa.
In parallelo, l’UE rimarca la richiesta di fermare ogni attività militare intorno agli impianti nucleari ucraini e chiede la restituzione dei minori deportati e degli altri civili trasferiti illegalmente, inserendo anche la responsabilità penale internazionale nella cassetta degli attrezzi di una pace “giusta e duratura”. È un lessico che racconta il perimetro politico nel quale Bruxelles si muove e che spiega, al netto della propaganda incrociata, perché sia difficile che l’Europa avalli formule che normalizzino acquisizioni territoriali avvenute con la forza.
I “paletti” russi e il nodo dei territori
Oltre alla dichiarazione di queste ore, Ryabkov aveva già fissato con nettezza i “paletti” di Mosca: nessuna concessione territoriale e una richiesta di garanzie strutturali sulla posizione internazionale dell’Ucraina, a cominciare dalla NATO. Nei giorni scorsi, organi di stampa europei e russi hanno rilanciato affermazioni del viceministro secondo cui Donbass, Novorossija e Crimea non sarebbero oggetto di compromesso. Messaggi coerenti con la postura del Cremlino e difficilmente compatibili con la piattaforma ucraina.
A complicare il quadro, Kyiv continua a segnalare che su ogni eventuale ipotesi che tocchi territori o status amministrativi sarà necessaria una legittimazione popolare: si è parlato di referendum e di percorsi costituzionali interni per qualunque formula “speciale”. Un terreno scivoloso, specie in un Paese in guerra, ma politicamente inevitabile se si trattasse di assumere decisioni di sovranità di lungo periodo.
La centrale di Zaporizhzhia e le garanzie di sicurezza: i dossier tecnici
Il secondo fascicolo che continua a generare attrito è la centrale nucleare di Zaporizhzhia, sotto controllo russo ma con personale e catena di sicurezza ucraini de facto limitati. Kyiv chiede da mesi la smilitarizzazione del sito e il ripristino di un accesso pieno del personale ucraino, sotto supervisione internazionale. Nelle discussioni con gli Stati Uniti si sono affacciate ipotesi di gestione congiunta o di regimi speciali di monitoraggio, ma si tratta – allo stato – di esplorazioni tecniche, non di accordi.
Ancora più complesso il capitolo garanzie di sicurezza. Kyiv lavora a un meccanismo “vincolante” – sul modello di articolo 5 ma su base di accordi ad hoc – che impegni partner chiave a intervenire in caso di nuove aggressioni. È, di fatto, il cuore del “paracadute strategico” cui punta l’Ucraina per rendere sostenibile qualunque cessazione delle ostilità. Su questo punto, l’UE e diversi Paesi europei hanno segnalato disponibilità politica, ma i dettagli operativi – tempi, soglie di intervento, interoperabilità, verifiche – restano materia di negoziato.
La dimensione militare: tregua lontana, ma finestre di contatto
Le parole pronunciate in tv da Ryabkov cozzano con una realtà sul terreno che, nelle stesse ore, registra ancora raid russi su infrastrutture e aree urbane ucraine e contrattacchi di Kyiv contro obiettivi logistici in territorio russo. La dinamica “diplomazia in pubblico, conflitto in continuità” non è nuova in questa guerra e rappresenta un fattore di rischio: ogni picco di violenza può trasformarsi in un detonatore politico, chiudendo la finestra negoziale che si è appena aperta.
Non è un caso che l’Unione europea abbia rimarcato – ancora una volta – la richiesta di un cessate il fuoco immediato e che abbia legato le sue decisioni economiche e sanzionatorie alla prosecuzione delle ostilità. Il messaggio a Mosca è lineare: il sostegno a Kyiv non verrà meno, anzi verrà strutturato in orizzonte pluriennale. Un’informazione che non sfuggirà ai negoziatori russi quando peseranno costi e benefici di un accordo.
Le accuse di “sabotaggio” all’Europa: propaganda o timore reale?
L’accusa di Ryabkov – “gli europei stanno provando ad affossare l’accordo” – si inserisce nella guerra delle narrazioni. Negli ultimi mesi, il vice ministro aveva già evocato un ruolo “ostile” dell’Europa nella definizione di un possibile assetto post-bellico. Dall’altra parte, i Ventisette replicano con il principio per cui “il percorso verso la pace non può essere deciso senza l’Ucraina” e che un’intesa potrà dirsi “giusta e duratura” solo se rispetterà indipendenza e integrità territoriale di Kyiv. Due linee retoriche difficilmente compatibili, che spiegano la distanza percepita da Mosca e l’atteggiamento di sorveglianza attiva di Bruxelles.
Quale spazio per un compromesso?
Se davvero il 25 dicembre ha segnato un “punto di non ritorno” – come lascia intendere Ryabkov – la domanda è quale possa essere la geometria del compromesso. Dai resoconti disponibili emergono alcune idee in circolazione: dalla creazione di zone demilitarizzate in porzioni del Donbass a regimi speciali per siti sensibili come Zaporizhzhia; dalla definizione di garanzie di sicurezza multilivello per Kyiv a nuove intese economiche che facilitino ricostruzione e flussi energetici. È un mosaico di ipotesi – alcune prospettate in modo informale – sul quale pesano due zavorre: la non negoziabilità dei territori proclamata da Mosca e la linea rossa di Kyiv sul rifiuto di cessioni. Il margine di manovra, dunque, se esiste, potrebbe trovarsi nell’ingegneria delle garanzie e nella sequenza degli adempimenti, più che nello scambio territoriale.
Un equilibrio ancora precario
L’affermazione “siamo mai stati così vicini” suona potente nel breve periodo, ma giudicare la sostanza di un accordo richiede ben più di una dichiarazione televisiva. La diplomazia russa ha spesso alternato aperture tattiche a rigidità strategiche; l’Ucraina, dal canto suo, deve tenere insieme resistenza sul campo, coerenza giuridica e consenso interno per eventuali scelte difficili. In mezzo, gli Stati Uniti provano a orchestrare una sequenza di garanzie e monitoraggi che riducano l’azzardo morale di una pace mal congegnata, mentre l’Europa investe capitale politico e risorse per ancorare l’esito al diritto internazionale.
Se il 25 dicembre 2025 diventerà davvero la data che Ryabkov promette di ricordare, lo diranno gli atti, non gli annunci. Per ora, l’unica certezza è che il lessico della pace è rientrato con forza nel discorso pubblico. Ma la strada tra una “pietra miliare” e una firma resta lunga, disseminata di condizionalità, verifiche e, soprattutto, della realtà di un conflitto che – mentre si negozia – non ha ancora smesso di colpire.