le manovre militari
AWACS decollato da Trapani fino ai confini d’Europa: il “radar volante” che ha vegliato su Kiev mentre piovevano missili
Un Sentry è volato dalla Sicilia alla Polonia nelle stesse ore dei raid sulla capitale ucraina: viaggio dentro l’architettura di allerta della NATO e il ruolo crescente della base di Birgi
Sono passate da poco le 20:30 di sabato 20 dicembre quando un Boeing dall’inconfondibile cupola rotante scivola lungo la pista del 37° Stormo di Trapani-Birgi: Sulla fusoliera, sotto il cielo di Sicilia, un numero di matricola e in radio, un nominativo secco: NATO05. La rotta traccia un’ansa verso nord-est, poi stringe: Italia, Austria, Repubblica Ceca, quindi Polonia. Nel buio, l’AWACS — l’“aeroplano che vede prima degli altri” — sale in quota e comincia a sorvegliare. Poche ore dopo, su Kiev si scatena una nuova ondata di attacchi russi: missili e droni che obbligano la capitale ucraina a un’altra notte di sirene, scie luminosissime e traccianti. Il sincronismo, se non è prova, è un indizio forte del modo in cui l’Alleanza Atlantica sta saldando i pezzi del suo scudo aereo sull’ala orientale.
Quel velivolo è un Boeing E‑3A Sentry, uno dei 14 “occhi volanti” della flotta AWACS in dotazione alla NAEW&CF — NATO Airborne Early Warning & Control Force. L’E‑3A è un’icona: un 707 militarizzato con un radome da 9,1 metri che ruota una volta ogni 10 secondi. Non lancia missili, non sgancia bombe. Fa qualcosa di più prezioso: mette in rete il cielo. Individua, classifica, “vede” oltre l’orizzonte radar dei sensori a terra, “parla” con i caccia e con le reti di difesa aerea nazionali, anticipa le traiettorie di droni, missili da crociera e balistici, orchestra la risposta in tempo reale. È il preallarme che diventa comando e controllo. E quel decollo da Trapani — forward operating base storica dell’AWACS — racconta perché la Sicilia è tornata un nodo della sicurezza europea.
Un volo e una guerra: come si intrecciano le traiettorie
La missione partita da Trapani-Birgi ha raggiunto la Polonia dopo aver sorvolato Austria e Repubblica Ceca, entrando in un’area che — dallo scoppio della guerra su larga scala in Ucraina nel 2022 — è diventata una sorta di “corridoio radar” dell’Alleato. Non è la prima volta. Tra primavera e autunno 2025 gli AWACS hanno intensificato le sortite verso nord e nord-est, in tandem con gli assetti SIGINT (i “raccolgitori” d’intelligence elettronica) di USA, Regno Unito, Svezia e Italia, spesso in risposta a violazioni o incursioni di droni russi lungo i margini dello spazio aereo polacco e baltico.
Il dato che rende quella sera di dicembre diversa dalle altre è la forte correlazione temporale con una nuova ondata di bombardamenti su Kiev: tra la notte e la mattina del 27 dicembre 2025, la capitale ucraina ha subìto un attacco combinato di missili e droni; una sequenza che le autorità ucraine e molte testate internazionali hanno definito tra le più intense degli ultimi mesi. Il “momento” conta: quando i cieli si affollano di minacce, gli AWACS dell’Alleanza lasciano le basi e vanno a “mettere ordine” nello spazio aereo, cucendo tra loro radar a terra, unità navali e pattuglie di caccia. Non significa — va chiarito — che da quelle orbite si “diriga” l’Ucraina in combattimento: significa che la situational awareness, la consapevolezza condivisa del quadro, si espande e si rafforza ai confini dell’articolo 5.
Perché proprio Trapani
Il FOB Trapani è uno dei quattro avamposti avanzati dell’E‑3A Component con Konya (Turchia), Aktion (Grecia) e la forward operating location di Orland (Norvegia). La scelta non è casuale: una base in Sicilia consente di “spingere” rapidamente verso le aree di interesse nel Mediterraneo, nei Balcani e, con un rifornimento in volo o una sosta, anche lungo l’arco che va dal Mar Nero al Baltico. È ciò che è accaduto in più occasioni dalla metà del 2024 in avanti, quando la NATO ISR Force ha certificato la piena capacità di diversione operativa proprio su Trapani. Il flusso logistico funziona, le squadre integrate con l’Aeronautica Militare — 37° Stormo ed 82° Centro CSAR — assicurano supporto, la catena di comando fa il resto.
In parallelo, l’Italia sta investendo sull’ammodernamento radar delle basi più esposte — a cominciare dalla stessa Trapani — per integrare meglio sorveglianza civile e difesa aerea nazionale: un tassello che non riguarda direttamente gli AWACS, ma che fa capire come la “pelle sensibile” del Paese si stia irrobustendo lungo le dorsali che contano.
Che cosa fanno davvero gli AWACS
Per capire perché un E‑3A vale tanto in guerra quanto in deterrenza, bisogna entrare nel suo “cervello”. Il radar in banda S con tecnologia pulse‑Doppler permette di separare i bersagli dal “rumore” del terreno e di vedere anche i profili a bassa quota: la linea d’orizzonte fisica che limita i radar a terra non è un problema per un sensore portato a 9–10 km di quota. Un singolo AWACS, a 30.000 piedi, copre oltre 312.000 km² — grosso modo l’area della Polonia — con raggio utile superiore a 400 km su obiettivi medio‑alti e fino a circa 520 km in alcune condizioni. Gli E‑3A modernizzati distribuiscono in tempo quasi reale i propri tracciati via datalink a land, sea e air forces; all’occorrenza dirigono intercettazioni multiple, gestendo il “traffico” di decine di caccia e la priorità degli ingaggi. Con tre AWACS in orbite sovrapposte si ottiene una copertura di allerta continua su un’area grande come l’Europa centrale. L’assenza di armamento non è un limite, è una scelta: l’E‑3A è un nodo di comando e controllo, non una piattaforma d’attacco. La sua “arma” è la rete.
In un conflitto dove il cielo è affollato di vettori di varia quota e velocità — dalle munizioni circuitanti ai cruise a profilo radente, fino ai Kinzhal ipersonici — la capacità di “vedere” prima, “capire” meglio e coordinare più in fretta fa la differenza. Gli AWACS sono il ponte tra sensori e shooter, tra allerta e risposta.
La notte di Kiev e il cielo della NATO
Se c’è un filo che collega la missione NATO05 da Trapani con quello che accade sopra Kiev, è l’architettura di difesa aerea che gli Alleati stanno consolidando dal Baltico al Mar Nero. Quando mosse e contromosse si intensificano, la regola è semplice: si alza la sorveglianza, si tiene in caldo la catena di reazione, si “stringe” la rete di comando.
Nelle ore in cui su Kiev echeggiavano i lanci e i contrattacchi delle batterie ucraine, lungo il confine polacco hanno orbitato piattaforme di sorveglianza e guerra elettronica della NATO, compresi gli AWACS. È un copione visto più volte nei mesi precedenti: dopo le intrusioni di droni oltre la frontiera polacca, Varsavia ha innalzato i livelli di allerta, mentre gli Alleati hanno intensificato la presence con velivoli da SIGINT/AEW e caccia in prontezza. Sul piano operativo, significa avere una “mappa dinamica” più nitida: vie d’accesso, catene di comando, profili di missione, lacune nella copertura.
È cruciale sottolinearlo: la correlazione temporale non implica un rapporto di causa‑effetto diretto tra l’orbita AWACS e il singolo abbattimento su Kiev. Implica però che, quando la pressione sale, la NATO vuole vedere di più e prima. E per farlo impiega sistematicamente i suoi “occhi in cielo”.
Dalla Germania alla Sicilia, e ritorno: la logistica di una sorveglianza senza pause
La “casa” degli E‑3A è la base di Geilenkirchen (Germania), dove hanno sede Quartier Generale, MSEC (ingegneria di missione) e la E‑3A Component con una forza di circa 1.400 tra militari e civili. Da lì partono le rotazioni verso le forward bases, con team snelli — intorno alle 20–30 unità — dedicati a garantire l’essenziale: pianificazione, manutenzione, rifornimenti, security, turni dell’equipaggio.
È qui che il FOB Trapani torna strategico. Per le missioni dirette verso l’est l’opzione più “corta” resta spesso il decollo dal centro Europa, ma Trapani consente flessibilità: decongestionare Geilenkirchen, distribuire gli aeromobili, reagire agli imprevisti meteorologici o tecnici, sostenere campagne prolungate sul fianco sud quando le priorità (dal Medio Oriente al Nord Africa) lo richiedono. Non a caso, l’avamposto siciliano è «pronto» ed esercitato anche con la più ampia NATO ISR Force, che integra droni, aerei da pattugliamento e piattaforme di sorveglianza elettronica.
La traiettoria italiana: cosa significa per Roma
Per l’Italia, il ritorno di Trapani al centro del gioco ha almeno tre implicazioni: una operativa, e cioè l’integrazione tra AWACS, G550 CAEW nazionali e Typhoon in servizio di sorveglianza dimostra una capacità di “sistema” che rende credibile il contributo italiano alla difesa collettiva. In notti come quelle di settembre — quando droni russi hanno oltrepassato i confini polacchi e più alleati hanno alzato i propri aerei — la rete ha funzionato. Una industriale‑tecnologica perché il piano di ammodernamento dei sistemi radar militari, che comprende Trapani, indica un investimento a lungo termine sulla sorveglianza integrata e sull’interoperabilità con gli standard NATO e una politica: sostenere gli AWACS in FOB Trapani significa accettare l’onere e l’onore di essere una base avanzata dell’Alleanza in un momento in cui il confine tra Mediterraneo e Fronte Est è più poroso che mai, con crisi che si alimentano a vicenda.
Una conclusione prudente
C’è una tentazione, nei giorni in cui la cronaca impone date, percentuali e mappe, di trasformare ogni correlazione in causalità. Resistere a quella tentazione è un dovere. Di quella missione Trapani‑Polonia sappiamo con buona certezza la matricola, il callsign, la rotta, la finestra temporale. Sappiamo che ha orbitato nei cieli polacchi proprio mentre Kiev affrontava l’ennesimo attacco. Sappiamo, soprattutto, che è così che la NATO opera: si alza in volo per vedere, ascoltare, mettere in rete. È il modo più concreto per dire agli alleati che non sono soli — e per ricordare a chi li minaccia che, nel buio, qualcuno sta guardando. Dalla Sicilia al Baltico, senza stacchi.