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Trump-Zelensky, l’incontro a Mar-a-Lago scatta due ore prima: cosa cambia davvero nei negoziati sulla pace

Anticipato alle 19 ora italiana il faccia a faccia in Florida. Dossier “pace in 20 punti”, pressioni militari russe e diplomazia europea: una guida ragionata a una giornata che può ricalibrare gli equilibri

Redazione La Sicilia

28 Dicembre 2025, 16:30

Trump-Zelensky, l’incontro a Mar-a-Lago scatta due ore prima: cosa cambia davvero nei negoziati sulla pace

Il bilaterale tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky—atteso da giorni—non inizierà più alle 21 italiane, ma alle 19:00 (le 13:00 in Florida), due ore prima del previsto. Un dettaglio, si dirà. Eppure, nei negoziati di guerra, i dettagli sono spesso il messaggio. Il luogo resta lo stesso, il perimetro pure: Mar-a-Lago, la residenza privata del presidente americano. Ma l’anticipo orario comunica urgenza, e forse una volontà di imprimere ritmo a un confronto che arriva mentre i missili russi colpiscono l’Ucraina e sul tavolo prende forma un pacchetto di pace in “20 punti” oggetto di limature frenetiche nelle ultime settimane.

Secondo l’aggiornamento diffuso nella mattinata di domenica 28 dicembre 2025, il bilaterale è fissato alle 13:00 locali—le 19:00 in Italia—dopo che inizialmente figurava per le 15:00. La modifica è stata segnalata da diverse testate e pool stampa che monitorano l’agenda della Casa Bianca e della presidenza, e confermata da fonti ucraine e internazionali. In parallelo, è attesa—o in parte già in corso—a distanza, una call con leader europei per un coordinamento politico che dovrebbe aiutare a ridurre gli spigoli del negoziato. Il quadro è quello di una diplomazia accelerata che si confronta con una realtà militare in peggioramento sul fronte.

Perché l’anticipo conta: il significato geopolitico di un orologio che corre

Nel lessico dei vertici internazionali, cambiare l’orario di un incontro di due ore non è un capriccio logistico. L’anticipo suggerisce almeno tre letture operative: priorità politica attribuita al dossier, in un’agenda presidenziale già densa durante la permanenza in Florida; esigenza di sincronizzare il bilaterale con una finestra di consultazioni europee e con aggiornamenti dal campo; volontà di tenere margine utile per eventuali sessioni aggiuntive o per una comunicazione pubblica calibrata sugli sviluppi.

Il contesto è teso: nelle ultime 24-48 ore la Russia ha intensificato gli attacchi missilistici e con droni su Kyiv e altre città, con vittime civili e danni infrastrutturali. È lo sfondo peggiore per trattare, ma è anche quello in cui spesso nascono le intese—quando l’alternativa è la spirale dell’escalation.

Che cosa c’è nel “piano in 20 punti” e perché è diverso dal passato

Il dossier che Zelensky porta a Mar-a-Lago è un quadro in 20 punti rielaborato rispetto a versioni precedenti più ampie. L’architettura, per come emerge finora, comprende: riaffermazione della sovranità e integrità territoriale ucraina; garanzie di sicurezza “tipo NATO” fornite dagli Stati Uniti e da partner selezionati; definizione dello status e della sicurezza dell’impianto nucleare di Zaporizhzhiaipotesi di zone demilitarizzate e meccanismi di monitoraggio internazionale; capitoli economici e di ricostruzione con impegni finanziari pluriennali valutati in centinaia di miliardi di dollari; percorsi europei per l’integrazione con l’UE e tutela delle minoranze; un possibile meccanismo di enforcement dell’accordo con un Consiglio di Pace a composizione multilaterale.

È un impianto ambizioso, pensato per tenere insieme sicurezza, economia e governance del post-conflitto. Ma ci sono nodi non sciolti: il perimetro territoriale nel Donbas, la gestione di Zaporizhzhia (ipotesi di controllo congiunto o a prevalenza occidentale), la tempistica e il calibro delle garanzie americane, più volte oggetto di oscillazioni nella comunicazione politica di Washington. Restano inoltre sensibili la questione di un eventuale referendum su un cessate il fuoco in Ucraina—ipotesi discussa in via teorica da ambienti americani e ucraini, ma tutta da definire nelle modalità—e la forma di un eventuale impegno di neutralità che Mosca vorrebbe ottenere.

Un faccia a faccia che arriva dopo mesi di frizioni e tentativi di riavvio

Per capire il valore dell’incontro odierno, conviene ricordare almeno tre tappe nei rapporti Washington-Kiev: a fine febbraio 2025, un confronto aspro alla Casa Bianca tra Trump e Zelensky fece temere uno strappo, con minacce—riportate da più media—di riconsiderare gli aiuti militari se Kyiv non avesse mostrato apertura verso un accordo. Fu un episodio che irrigidì i canali, costrinse gli europei a un lavoro di cucitura e alimentò in Ucraina il timore di un calo della deterrenza; in primavera, a margine di impegni internazionali, i due leader ebbero contatti più positivi, con segnali—pubblici e riservati—di ripartenza del dialogo; in agosto, alla Casa Bianca, ripresero i colloqui in formato “riservato ai leader”, con interlocuzioni parallele tra Washington e Mosca, e una certa pressione di Francia e Germania per un cessate il fuoco immediato. La distanza tra le posizioni restò ampia, ma il canale non si chiuse.

Da allora la bozza in 20 punti è stata lavorata in modo più serrato: Kiev ha ribadito linee rosse su sovranità e giustizia, mentre Washington ha esplorato soluzioni creative sulle garanzie e sugli asset sensibili (energia, sicurezza nucleare, controllo dei confini).

Che cosa vogliono gli Stati Uniti oggi

La postura americana—personalissima nella stagione di Trump—mixa pragmatismo negoziale e obiettivi politici interni. Ecco i dossier che Washington verosimilmente considera “core” nel bilaterale di oggi: consegnare un cessate il fuoco verificabile che riduca il rischio di allargamento regionale; evitare che l’accordo venga percepito come una capitolazione—in Ucraina, in Europa e nell’opinione pubblica americana; definire garanzie di sicurezza modulabili nel tempo, tali da non assomigliare formalmente a un Articolo 5 della NATO, ma sufficienti a scoraggiare future aggressioni; trovare un accomodamento su Zaporizhzhia in grado di prevenire incidenti e strumentalizzazioni; impostare un pacchetto economico e di ricostruzione sostenibile, con leva privata e multilaterale, che mostri risultati rapidi e misurabili.

Sul piano della comunicazione, la Casa Bianca vorrà mostrare leadership e controllo del processo, anche a costo di comprimere la visibilità degli attori europei. Ma senza Europa il post-accordo non regge: logistica, finanza e governance richiedono una cerniera transatlantica.

Che cosa chiede Kiev

Per Zelensky, la giornata in Florida è un equilibrio di precisione tra fermezza e flessibilità: non cedere su sovranità e confini come principio, pur accettando meccanismi transitori (demilitarizzazione, monitoraggio, fasi progressive) che congelino la violenza e proteggano i civili; ottenere garanzie di sicurezza serie, che non siano solo dichiarazioni politiche ma creino costi tangibili per chi violasse l’intesa; blindare Zaporizhzhia con una soluzione che riduca al minimo la leva negoziale russa sull’energia e sulla paura atomica; assicurare un percorso europeo e risorse certe per la ricostruzione: senza crescita e stabilità, nessuna pace regge.

La pressione sul governo ucraino è elevata. La società, provata da quasi quattro anni di guerra larga scala, chiede sicurezza e giustizia. Al tempo stesso, l’opinione pubblica occidentale è sensibile al tema dei costi. Il risultato è che ogni riga del documento ha un costo politico in almeno tre capitali.

Russia, l’attore assente mai davvero assente

L’assenza di Mosca al tavolo odierno non significa assenza di influenza. Il Cremlino ha accompagnato la vigilia con nuove offensivi e rivendicazioni territoriali, modulando la pressione militare e informativa. Il messaggio è chiaro: se la trattativa si fa senza di noi, la leva resterà il campo di battaglia. La dinamica non è nuova—classico schema “negoziare con la forza”—ma in questa fase può incidere sul perimetro delle zone cuscinetto, sul calendario di un cessate il fuoco e sulle ispezioni.

L’Europa tra cabina di regia e rischio marginalizzazione

Nei momenti-chiave del dossier ucraino, Parigi, Berlino, Roma, Londra, Helsinki e altri partner hanno spinto per non ridurre la questione a un rapporto Washington-Kiev con l’ombra di Mosca. Non solo per principio, ma per necessità: dall’addestramento alle forniture, dal sostegno finanziario alla ricostruzione, l’Europa è il grande abilitatore del dopo-guerra. Le ultime ore indicano una partecipazione almeno da remoto di leader europei a consultazioni parallele: serve a evitare sovrapposizioni e a predisporre il terreno per un supporto coordinato qualora emergesse una bozza di intesa presentabile all’opinione pubblica.

Cosa può realisticamente uscire da Mar-a-Lago oggi

Difficile attendersi una firma. Più probabile: una dichiarazione congiunta che fotografi convergenze parziali e tasking tecnici ai gruppi di lavoro su sicurezza, energia, confini; l’annuncio di un secondo round—forse già entro gennaio 2026—magari in formato allargato con presenza europea più visibile; un pacchetto di misure umanitarie e di stabilizzazione immediata (difesa aerea, protezione infrastrutture, sostegno energetico) per ridurre l’impatto degli attacchi invernali.

In tutte le ipotesi, la comunicazione sarà calibrata. Trump vorrà mostrare “gestione” e capacità di chiudere deal; Zelensky dovrà rassicurare i connazionali sulla tenuta delle linee rosse, segnalando al tempo stesso che il canale con Washington è aperto e produttivo.