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L'ombra lunga di Putin sul vertice tra Trump e Zelensky: obiettivo spaccare l'Europa e smontare il piano di pace

Il Cremlino prova a condizionare l'esito dell'incontro: telefonate e gruppi di lavoro per sabotare i colloqui, mentre sanzioni, droni ucraini e fragilità economica mettono alla prova Mosca

Redazione La Sicilia

28 Dicembre 2025, 20:26

20:30

L'ombra lunga di Putin sul vertice tra Trump e Zelensky: obiettivo spaccare l'Europa e smontare il piano di pace

Il Cremlino interviene con decisione sul vertice tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky. Ripetendo lo schema di ottobre, il tycoon e lo zar si sarebbero sentiti prima dell’incontro con il presidente ucraino, con una telefonata che, a quanto riferito, sarebbe stata richiesta “dalla parte americana”.

Il consigliere per la politica estera di Vladimir Putin, Yuri Ushakov, ha poi lanciato due messaggi destinati a fare rumore: secondo lui, i leader di Russia e Stati Uniti concorderebbero sul fatto che la tregua invocata da Kiev e dalle capitali europee “prolungherebbe il conflitto” e avrebbero deciso di istituire “due gruppi di lavoro” per affrontare le crisi, uno dedicato alla “sicurezza” e l’altro alle “questioni economiche”.

La mossa, dall’evidente intento di interferenza, si inserisce nella linea tracciata dal ministro degli Esteri Serghei Lavrov, secondo cui l’Unione Europea sarebbe il “principale ostacolo alla pace”, mentre il “partito della guerra”, composto dall’Ucraina e dai Volenterosi, sarebbe disposto “ad andare fino in fondo” con la sua agenda anti-russa.

L’obiettivo è far deragliare il piano di pace, faticosamente ricalibrato da ucraini ed europei, spostare l’asse verso posizioni favorevoli a Mosca e attribuire a Bruxelles la responsabilità di un eventuale fallimento dei negoziati. Una cortina fumogena a tutti gli effetti, utile a celare la postura massimalista del Cremlino, ferma all’idea di assoggettare l’Ucraina e ridisegnare a proprio vantaggio l’architettura della sicurezza europea.

Nel mirino, questa volta, anche le garanzie di sicurezza verso Kiev, che Trump ha assicurato saranno “forti” e con il coinvolgimento dell’Europa. Se il traguardo auspicato è un’intesa tra Washington e Mosca a scapito del Vecchio Continente, facendo leva sulle componenti più oltranziste del mondo MAGA, potrebbe bastare anche un parziale disimpegno di Trump, a patto che si interrompano le forniture di armi e si blocchi l’escalation delle misure restrittive, meglio ancora con una loro revoca.

Del resto il 2026, secondo diversi analisti e funzionari europei e alleati consultati dall’ANSA, potrebbe essere l’anno in cui molti nodi verranno al pettine. Da parte loro, gli ucraini sostengono che, con adeguati finanziamenti e rifornimenti, non avrebbero difficoltà a contenere l’esercito russo. Anzi: la produzione domestica di nuovi droni a lungo raggio sta entrando nel vivo e la campagna di attacchi contro le raffinerie russe è destinata a intensificarsi, con l’obiettivo di comprimere le entrate fiscali di Mosca.

Una strategia che si affianca al regime sanzionatorio europeo e americano. Il recente giro di vite statunitense contro Lukoil e Rosneft ha fatto scendere i prezzi del greggio russo, l’indice Urals, ben al di sotto dei 40 dollari al barile, la soglia considerata cruciale per sostenere il bilancio federale. Al Cremlino corrono ai ripari, potenziando la “flotta ombra” e ricorrendo a una fitta rete di società di comodo per aggirare i divieti, in una corsa contro il tempo.

È su questo terreno che si concentra ormai il confronto. Quest’anno la crescita del Pil russo fino al terzo trimestre si è fermata allo 0,6%, trainata quasi esclusivamente dai comparti alimentati dalla spesa pubblica, in particolare la difesa. Ma diversi indicatori mostrano come anche questo motore stia perdendo spinta: secondo una presentazione del ministro della Difesa Andrei Belousov, la spesa militare ammonta al 7,3% del Pil, un livello paragonabile alla fine dell’era sovietica.

L’inflazione, stando ai dati ufficiali, resta intorno al 6%, accompagnata da tassi d’interesse molto elevati, al 16%. Per sostenere il sistema, il governo ha fatto ricorso al debito interno: obbligazioni acquistate dalle banche, poi rifinanziate dalla Banca Centrale. Un “deficit fantasma” che non gonfia direttamente il debito pubblico (per il 2025, secondo le proiezioni, attorno al 20% del Pil, dunque contenuto) ma aggiunge fragilità all’insieme, esponendolo a shock rilevanti in caso di eventi imprevisti.

In sintesi, il quadro appare meno solido di quanto racconti la narrativa ufficiale russa. Mosca ha una capacità di sopportazione sconosciuta in Occidente, ma esistono limiti — finora non superati — e la strategia resta quella di allentare la pressione scompaginando il fronte transatlantico e dividendo quello europeo, erodendo la coesione interna dell’Unione. Con i Brics chiamati a garantire linfa vitale.