29 dicembre 2025 - Aggiornato alle 00:21
×

Trump, Zelensky e le telefonata con Putin e i leader Ue (Meloni compresa): il giorno in cui la pace in Ucraina sembra più vicina ma resta appesa a venti punti

A Mar-a-Lago l’incontro più delicato della guerra: una chiamata di oltre un’ora con il Cremlino e un collegamento con gli europei, si prova a cucire un cessate il fuoco. Ma le incognite restano, dai confini del Donbas alla sicurezza aerea

Redazione La Sicilia

28 Dicembre 2025, 22:37

Donald Trump e Volodymyr Zelensky seduti a pochi metri, cartelline di lavoro aperte, mentre dietro di loro – su uno schermo – i volti di leader europei a collegamento. Pochi minuti prima, dalla stessa stanza, il presidente americano aveva chiuso una conversazione di circa 75 minuti con Vladimir Putin, definendola “molto positiva e produttiva”. L’obiettivo dichiarato è ambizioso: un’intesa in 20 punti che fermi una guerra entrata nel suo quarto anno, mentre i missili russi continuano a colpire Kyiv. È il giorno in cui la parola “pace” rientra nel vocabolario della politica internazionale con una concretezza inedita, ma anche il giorno in cui tutte le fragilità di un negoziato tornano a galla.

Che cosa c’è sul tavolo a Mar‑a‑Lago

Al centro delle discussioni c’è un documento in 20 punti che, secondo entrambe le parti, sarebbe “al 90%” definito. È la versione snellita di una bozza in 28 punti circolata settimane fa, giudicata da Kyiv troppo sbilanciata sulle richieste di Mosca: l’aggiornamento incorpora più garanzie per l’Ucraina, pur lasciando aperti i nodi più duri. Il cuore del testo tocca quattro capitoli: la sicurezza dell’Ucraina, con garanzie “tipo NATO” pur senza adesione formale all’Alleanza; la gestione del Donbas e lo status dei territori sotto occupazione russa; il controllo e la sicurezza della centrale nucleare di Zaporizhzhia; un pacchetto economico per ricostruzione e normalizzazione commerciale, incluso un “ombrello” di sanzioni modulabile.A chiarirlo sono fonti convergenti statunitensi ed europee, che parlano di un testo “quasi ultimato” ma ancora dipendente da un assenso russo non scontato.

Secondo la ricostruzione di funzionari coinvolti, la sezione sulle garanzie di sicurezza propone un meccanismo multilivello: impegni bilaterali USA‑Ucraina e un quadro politico allargato all’Unione europea e ad alcuni partner NATO. L’idea – definita in alcune indiscrezioni come “garanzie tipo Articolo 5 senza Articolo 5” – punterebbe a dissuadere future aggressioni con mutui obblighi di assistenza, dalla difesa aerea all’intelligence, fino a forniture militari “a prestazione garantita”. Su questo punto, la posizione russa resta scettica: Mosca chiede che Kyiv rinunci definitivamente all’adesione NATO, mentre Washington e Kyiv lavorano a una formula che eviti l’umiliazione politica ucraina.

La telefonata con Putin: “molto positiva”, ma le condizioni restano

Prima di vedere Zelensky, Trump ha avuto una lunga conversazione con Putin. La durata – circa 75 minuti – e il tono definito “positivo e produttivo” dalla Casa Bianca alimentano il senso di una finestra negoziale. Ma sulla sostanza, il Cremlino non arretra: territori e neutralità sono ancora presentati come precondizioni, mentre Kyiv respinge cessioni unilaterali e propone soluzioni temporanee – come zone smilitarizzate – da sottoporre a verifiche e, solo in prospettiva, a consultazioni locali. In pubblico, il presidente americano ha detto di vedere “i presupposti di un accordo”, senza scoprirne i dettagli.

Sul piano procedurale, la telefonata è servita a definire i margini per un eventuale contatto trilaterale USA‑Russia‑Ucraina dopo il faccia a faccia di Mar‑a‑Lago. Ma qui emergono due limiti: il primo, militare, è che nelle stesse ore Kyiv subisce nuovi attacchi missilistici; il secondo, politico, è la riluttanza russa a riconoscere un ruolo paritetico all’Unione europea nel quadro delle garanzie. È per questo che lo sforzo americano di includere fin d’ora i partner europei, seppure da remoto, acquisisce peso.

L’Europa in video: il ruolo di Meloni e dei partner Ue

Alcuni leader europei – tra cui la presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni – sono stati coinvolti in videocollegamento, una scelta che risponde a due esigenze: legittimare il perimetro delle garanzie di sicurezza e impedire che il dossier resti confinato a uno scambio bilaterale USA‑Ucraina con un “veto russo” finale. Penalizzati dal fuso e dal calendario festivo, i collegamenti hanno avuto un taglio operativo: definire cosa l’Ue può mettere sul piatto in termini di difesa aerea, fondi per la ricostruzione e cornice legale per eventuali sanzioni condizionate. È una prosecuzione di un metodo già sperimentato a Washington e Parigi nei mesi scorsi, quando i leader europei hanno iniziato a sedere – in presenza o da remoto – attorno allo stesso tavolo con Trump e Zelensky per allineare posizioni e messaggi.

Per l’Italia, il dossier ha una valenza doppia. Da un lato, Meloni cerca di mantenere la postura di alleato affidabile nel sostegno all’Ucraina; dall’altro, lega il capitolo sicurezza alla tutela dell’industria nazionale coinvolta in forniture dual use e programmi europei di difesa. In più occasioni, la premier ha rivendicato contatti diretti con Trump sul tema ucraino e la disponibilità a “buoni sviluppi”, pur evitando di scoprirsi su eventuali concessioni territoriali.

I punti di convergenza e gli scogli

Confini e territorio. Il dossier più sensibile resta il Donbas. Mosca pretende il riconoscimento del controllo sulle aree occupate, oltre alla titolarità su Crimea. Kyiv propone una soluzione graduale: cessate il fuoco verificato, ritiro scaglionato delle forze, amministrazione provvisoria sotto supervisione internazionale e – solo in seguito – consultazioni locali in condizioni di sicurezza. Il compromesso, per ora, non c’è.

Sicurezza aerea e difesa. L’Ucraina chiede una “cupola” di difesa aerea più robusta per ridurre la pressione dei raid russi durante i negoziati. Sul tavolo c’è un mix di forniture, addestramento e coordinamento in tempo reale con partner NATO e UE. Gli europei, in particolare Francia e Germania, spingono per un meccanismo di risposta rapida sugli intercettori e sulle munizioni a guida.

Zaporizhzhia. Il controllo e la messa in sicurezza della più grande centrale nucleare d’Europa sono un capitolo a sé: si ragiona su un’operatività condivisa e sulla presenza di osservatori internazionali. L’ipotesi è inclusa tra i 20 punti, ma la cornice giuridica resta da scrivere.

Garanzie e sanzioni. Il disegno prevede garanzie di sicurezza progressive e un regime di sanzioni condizionate: alleggerimenti in cambio di passi verificabili verso il cessate il fuoco e l’implementazione degli accordi. Questa leva, sponsorizzata da alcuni partner europei, è guardata con sospetto da Kyiv, che teme di perdere pressione su Mosca prima di risultati tangibili.

Il significato politico della regia americana

Che la regia resti saldamente a Washington lo confermano non solo l’incontro in Florida, ma anche i precedenti vertici in città europee e statunitensi in cui Trump e Zelensky hanno elaborato progressivamente il testo. Il messaggio è duplice: agli ucraini, che la sicurezza a lungo termine avrà un patrocinio americano; ai russi, che l’unica strada per un allentamento delle sanzioni passa da concessioni verificabili. Per l’Europa, la sfida è rivendicare un ruolo strutturale nelle garanzie e nei fondi, evitando di essere solo “cassiere” del dopoguerra.

E' davvero l’inizio della fine?

La risposta, oggi, non può che essere prudente. C’è una bozza articolata in 20 punti, c’è una telefonata di 75 minuti tra Trump e Putin, c’è un coinvolgimento crescente dei partner europei, Meloni compresa, e c’è un calendario che spinge. Ma c’è anche una guerra che non ha smesso di farsi sentire neppure durante la foto di rito in Florida. La diplomazia ha riaperto una porta; per trasformarla in varco stabile servirà che ogni clausola trovi il suo contrappeso, che ogni concessione sia bilanciata da una garanzia, che ogni punto del piano sia legato a verifiche indipendenti. È la differenza tra un annuncio e la pace.