Garlasco: nuovi tasselli sugli ultimi giorni di Chiara Poggi: nella rubrica tutti i numeri di Ermanno Cappa
Aperitivi, chiamate “stonate” e un’agenda di numeri: cosa dicono oggi i documenti su una vicenda che continua ad appassionare l'Italia
Un telefono con cinque contatti salvati sotto lo stesso nome, “Ermanno Cappa”, e una serie di chiamate “fuori posto” nei giorni precedenti a quella mattina del 13 agosto 2007. È da dettagli come questi — minuscoli e insieme ingestibili — che, a distanza di anni, riaffiora la trama degli ultimi giorni di Chiara Poggi, uccisa nella villetta di via Pascoli a Garlasco. Atti e ricostruzioni restituiscono una fotografia in cui la routine si incrina all’improvviso: aperitivi, incontri veloci, telefonate che non tornano. Sullo sfondo, una scena del crimine rimasta nella memoria collettiva per la sua crudezza: pozze di sangue, oggetti scomposti, il corpo sulle scale che portano in cantina. E un processo lungo, approdato alla condanna definitiva a 16 anni per Alberto Stasi, l’allora fidanzato. Oggi, mentre la cronaca giudiziaria continua a produrre accertamenti e smentite, tornano in primo piano i frammenti che raccontano gli ultimi movimenti di Chiara. A cominciare dal suo telefono.
Via Pascoli, piano terra e cantina: la scena del crimine
Le ricostruzioni giudiziarie e le cronache dell’epoca hanno fissato alcuni elementi difficili da dimenticare. È la **mattina del 13 agosto 2007 quando Chiara viene trovata morta nella villetta di famiglia. Il corpo giace sui gradini che dal piano terra scendono verso la cantina, la testa appoggiata a un gradino più alto, le gambe orientate verso l’ingresso del vano scale. L’abitazione presenta tracce estese di sangue e disordine: la fotografia di una violenza rapida e concentrata. Nelle successive fasi d’indagine assume un rilievo particolare la traccia di suola registrata sul cosiddetto “gradino zero” e la compatibilità delle macchie lungo il percorso verso il bagno, dove l’aggressore potrebbe essersi lavato. Questi dati — rielaborati negli anni nelle sentenze d’appello e in Cassazione — hanno contribuito a restringere l’arco temporale dell’omicidio e a definire la dinamica essenziale del delitto.
Gli ultimi giorni: aperitivi, abitudini e quelle chiamate che stonano
Nelle ore e nei giorni che precedono l’omicidio, Chiara conduce una vita che, a tratti, sembra normalissima: aperitivi con gli amici, rientri programmati, contatti costanti con il suo giro di relazioni. Eppure, emergono elementi che gli investigatori definiscono “strani”: chiamate dalla registrazione poco chiara, numeri che non rientrano nella routine quotidiana, fino a una rubrica in cui compaiono ben cinque contatti registrati come “Ermanno Cappa”. Sono tasselli che, presi uno per uno, non fanno prova; ma nell’insieme restituiscono un contesto di attenzioni e movimenti che meritano di essere spiegati, o almeno allineati, nella timeline dell’ultima settimana. Questo quadro — proposto e aggiornato negli approfondimenti giornalistici — ha rimesso al centro la domanda più semplice e più difficile: chi stava cercando Chiara, e per quali motivi, nelle sue ultime 48 ore?
Il nodo dei telefoni: rubrica, chiamate “anomale” e cinque contatti “Ermanno Cappa”
Tra i materiali che hanno ritrovato attenzione nel 2025 c’è la rubrica del cellulare di Chiara. Secondo quanto ricostruito dalla stampa, figuravano cinque numeri salvati sotto lo stesso nome, “Ermanno Cappa”: una particolarità che ha riacceso l’interesse sugli ultimi giorni della giovane e sulle sue abitudini di contatto. A ciò si sommano chiamate ritenute strane nel giro di pochi giorni prima del delitto. È bene chiarirlo: la sola presenza multipla di un nominativo non equivale ad anomalia penale; può dipendere da aggiornamenti incompleti, duplicazioni o abitudini dell’utente. Ma, incrociata con altri dati (luoghi, orari, aperitivi e incontri), quella rubrica diventa una lente sul microcosmo che circondava Chiara nelle ultime 72 ore. Un microcosmo da leggere, oggi, alla luce delle verifiche su contatti e celle, e dentro il perimetro — spesso stretto — dei dati preservati dopo **oltre 18 anni.
La crono: un delitto in “pochi minuti”
Le sentenze hanno via via ridefinito la finestra oraria dell’aggressione. Dopo valutazioni medico-legali iniziali più ampie, l’Appello e la Cassazione hanno collocato l’omicidio in un intervallo molto stretto, tra le 9:12 e le 9:35, compatibile con l’ultimo disinserimento dell’allarme nella casa dei Poggi e con altri riscontri tecnici. Un’aggressione, dicono i giudici, consumata in pochi minuti. In quello stesso segmento si colloca la mancanza di un alibi verificabile per Alberto Stasi, uno dei tasselli considerati nel ragionamento indiziario che ha portato alla condanna. Nelle motivazioni della Cassazione (sentenza 25799/2016) si legge che il quadro probatorio — dal percorso delle macchie ai reperti, fino alle incongruenze del racconto di Stasi sulla scena del ritrovamento — è risultato coerente con l’ipotesi accusatoria, a fronte di alternative non sostenute da riscontri.
Le indagini, i processi, la “verità processuale”
Il percorso giudiziario è noto: assoluzione in primo grado (2009), conferma in appello (2011), quindi annullamento da parte della Cassazione con invito a riesaminare indizi e lacune motivazionali. Nella rinnovazione istruttoria, i giudici valorizzano nuovi approfondimenti tecnici (tra cui la compatibilità impronta-suola, i passaggi in bagno, gli elementi su bicicletta e scarpe), arrivando alla condanna in appello-bis (2014) a 16 anni, poi resa **definitiva il 12 dicembre 2015 dalla Corte di Cassazione. Da allora Stasi è in esecuzione pena: prima carcere a Bollate, poi lavoro esterno e, dall’**aprile 2025, la semilibertà concessa dal Tribunale di Sorveglianza e confermata dopo il ricorso della Procura generale. Si tratta, ricordiamolo, di una verità processuale: una conclusione oltre il ragionevole dubbio per i giudici, che resta però oggetto di attenzione pubblica per la natura indiziaria del quadro.
2025, l’anno dei nuovi accertamenti: il “DNA ignoto 3” e la contaminazione
Uno dei capitoli più discussi della recente riapertura degli approfondimenti è il cosiddetto DNA “Ignoto 3”, rilevato su una garza del tampone orale prelevato durante l’autopsia. Nell’agosto 2025, la Procura di Pavia comunica l’esito delle comparazioni genetiche affidate ai professori Carlo Previderè e Pierangela Grignani: quel profilo è “verosimilmente” il risultato di una contaminazione involontaria in sala autoptica, con concordanza degli alleli rispetto a un cadavere maschile esaminato negli stessi giorni (il soggetto indicato come “153E”). Contestualmente, la Procura affida alla professoressa Cristina Cattaneo ulteriori verifiche medico-legali sulle cause della morte, per una valutazione a 360 gradi dei materiali rimasti. È un punto importante: la pista del DNA ignoto, a lungo percepita come possibile “svolta”, viene ricondotta a un artefatto tecnico, riducendo il rischio di falsi positivi e riportando l’attenzione su ciò che della scena originaria è davvero riproducibile oggi.
Sempio e le tracce biologiche sotto le unghie
Resta in discussione — nell’alveo degli accertamenti tecnici — il capitolo delle tracce sotto le unghie di Chiara. Secondo una perizia consegnata alla Procura di Pavia nel 2025, alcune tracce sarebbero compatibili con il profilo genetico di Andrea Sempio, all’epoca vicino alla cerchia di conoscenze della vittima. È un terreno scivoloso, perché le valutazioni scientifiche sono state oggetto di repliche e perché gli inquirenti, dopo l’annuncio sulla contaminazione del DNA “ignoto 3”, hanno ribadito l’esigenza di ulteriori verifiche. In ogni caso, le notizie su questa compatibilità — che interessano specifiche unghie della mano di Chiara — hanno inciso sul clima attorno al fascicolo, alimentando richieste di approfondimento e discussioni sulla tenuta del quadro indiziario già giudicato. Qui, più che mai, è necessaria prudenza: le risultanze peritali vanno lette nel perimetro che le stesse autorità hanno indicato, quello di accertamenti in corso e non di verità alternative.
L’itinerario dell’assassino e le incongruenze del “ritrovamento”
Le motivazioni delle sentenze mettono in fila alcuni tasselli che, insieme, hanno pesato. In particolare: la traccia di suola sul primo gradino, l’assenza di trasferimento di sangue sulle scarpe che Stasi disse di aver calzato nel presunto ingresso nella cantina, il tappetino del bagno con segni coerenti con un passaggio per lavarsi, le impronte sul dispenser del sapone. Gli atti sottolineano anche la difficoltà, fisica e probabilistica, di “vedere” il corpo di Chiara senza scendere i gradini e senza imbrattarsi — come invece sostenuto da Stasi nel racconto del “ritrovamento”. Questo mosaico di microelementi, filtrato da perizie e controperizie, è stato considerato coerente con la ricostruzione accusatoria: un’aggressione rapida in un intervallo di 23 minuti, seguita da azioni di pulizia e da una messa in scena del successivo allarme.