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l'indagine

Il caso Hannoun, il leader palestinese si difende in Tribunale. Dossier dell'accusa firmato da un misterioso funzionario d'Israele

I legali in Italia parlano di aiuti umanitari e trasparenza in aeroporto. L’accusa vede invece una rete che avrebbe veicolato milioni a Hamas

Redazione La Sicilia

30 Dicembre 2025, 15:41

hannoun

Nel carcere genovese di Marassi Mohammad Hannoun ha negato tutto. E ha ribadito un punto che, in questa storia fatta di bonifici, sigle associative e carte d’oltreconfine, suona quasi anacronistico: «Gli aiuti? Con i conti bloccati da anni li raccoglievamo in contanti. E quei contanti, quando serviva portarli fuori, venivano dichiarati in uscita in aeroporto». Niente valigette clandestine, assicurano i difensori. L’accusa, invece, parla di una macchina finanziaria capace di convogliare verso Hamas una quota ingente delle donazioni per la causa palestinese. Nel mezzo, un’ordinanza di oltre trecento pagine, intercettazioni, sequestri per oltre 8 milioni di euro, cooperazioni giudiziarie europee e un dossier arrivato da Israele firmato da un funzionario identificato solo con tre lettere: “Avi”.

Il fulcro del caso: chi è Hannoun e perché è in carcere

Il 27 dicembre 2025 scatta l’operazione coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia e Antiterrorismo di Genova. Nove persone vengono arrestate in Italia, due risultano irreperibili all’estero, e i provvedimenti riguardano anche tre sigle associative attive nella raccolta di fondi per la popolazione palestinese. In cima alla lista degli indagati c’è Mohammad Hannoun, architetto, figura di spicco del mondo pro-palestinese italiano e presidente dell’Associazione dei Palestinesi in Italia e, secondo l’accusa, responsabile anche dell’Associazione Benefica di Solidarietà con il Popolo Palestinese (ABSPP).

Per la procura, Hannoun sarebbe «il vertice della cellula italiana» di Hamas, incaricato di convogliare risorse finanziarie al movimento, che Unione Europea, Stati Uniti e Regno Unito classificano come organizzazione terroristica. Gli arresti sono eseguiti dalla Digos e dalla Guardia di Finanza di Genova, con misure patrimoniali su conti e beni per oltre 8 milioni di euro e la stima, alla base dell’impianto accusatorio, di flussi destinati a soggetti «controllati o collegati a Hamas» pari a circa 7 milioni di euro in un arco recente dell’indagine. Le fonti di prova citate includono tracciamenti finanziari, sequestri di oltre 1 milione di euro in contanti e supporti informatici, oltre a cooperazioni operative con autorità di altri Paesi europei e con strutture israeliane deputate al contrasto del finanziamento del terrorismo.

La versione della difesa: conti congelati e contanti dichiarati

All’indomani dell’arresto e nell’interrogatorio di garanzia del 30 dicembre 2025 davanti alla gip Silvia Carpanini, Hannoun sceglie la via delle dichiarazioni spontanee. «Nessun finanziamento diretto o indiretto a Hamas», sostengono i legali Emanuele Tambuscio e Fabio Sommovigo, rilanciando un elemento che ritengono decisivo: i conti correnti delle associazioni e di Hannoun sarebbero stati bloccati “da anni”, costringendo – questo il quadro difensivo – a privilegiare la raccolta in contanti per far fronte a «numerosissime richieste di donazioni».

E quei contanti, insistono i difensori, «sono sempre stati dichiarati in uscita in aeroporto» ogni volta che fosse necessario trasferire i fondi per progetti umanitari. Hannoun, aggiungono, «ha rivendicato una attività di beneficenza iniziata nei primi anni ’90 e destinata a Gaza, Cisgiordania e ai campi profughi», contando di chiarire «come funzionava la raccolta e la distribuzione dei fondi prima e dopo il 7 ottobre 2023». La scelta delle prossime mosse – ricorso al Riesame o richiesta di attenuazione della misura – è in valutazione.

Quando i legali escono dal penitenziario, raccontano che Hannoun ha visto in tv il presidio di solidarietà sotto le mura del carcere genovese e ne sarebbe rimasto «confortato».

Che cosa contesta l’accusa: numeri, ruoli e percorsi del denaro

Secondo gli inquirenti della DDA di Genova, l’Associazione Benefica di Solidarietà con il Popolo Palestinese e altre sigle – tra cui l’associazione La Cupola d’Oro – avrebbero veicolato fondi raccolti in Italia verso organizzazioni localizzate in Gaza, Cisgiordania, Turchia e in altri Paesi, ritenute da Israele collegate a Hamas. Il quadro ricostruito dagli investigatori parla di una quota superiore al 71% delle donazioni deviata «a sostegno dell’organizzazione», mentre solo la parte rimanente sarebbe rimasta su scopi umanitari. Una stima che poggia su analisi di flussi bancari, su intercettazioni e su materiali sequestrati, fra cui supporti digitali. In una delle perquisizioni, riferiscono fonti giornalistiche, sono stati recuperati oltre 1 milione di euro in contanti e memorie Usb con contenuti inneggianti a Hamas; dettagli che la difesa invita a non confondere con la prova del reato di finanziamento. La procura insiste anche sulla presenza di due latitanti: uno in Turchia e uno a Gaza.

La dimensione internazionale: Eurojust, Olanda e il misterioso funzionario di Israele

L’inchiesta ha un raggio europeo. Le autorità italiane parlano apertamente di cooperazione con altri Paesi UE, in particolare i Paesi Bassi, per tracciare movimenti e “triangolazioni” di fondi; fonti di stampa internazionale citano anche un contributo informativo da parte di servizi israeliani e dell’Agenzia Nazionale per il Contrasto al Finanziamento del Terrorismo dello Stato ebraico.

Un passaggio dell’ordinanza che fa discutere è l’ingresso nelle carte di un funzionario indicato come “Avi”, la cui identità sarebbe rimasta riservata per ragioni di sicurezza, ma di cui un’ufficiale di polizia israeliana certifica ruolo e attendibilità, spiegando che i materiali condivisi con l’Italia derivano da copie forensi di supporti recuperati “sul campo” e trasmessi come “informazioni spontanee”. Un elemento che la difesa potrà contestare su terreno processuale, chiedendo al giudice di valutarne origine, catena di custodia e rilevanza rispetto ai fatti contestati.

Il precedente americano: le sanzioni OFAC e l’effetto in Italia

Ad allargare lo sguardo c’è un altro capitolo: il 7 ottobre 2024 l’Office of Foreign Assets Control (OFAC) del Dipartimento del Tesoro USA inserisce Mohammad Hannoun e la sua associazione nella lista dei soggetti legati a Hamas, accusandoli di avere alimentato nel tempo le casse del movimento attraverso una rete internazionale di raccolta fondi mascherata da attività benefica.

In quell’occasione, il Tesoro statunitense quantifica in almeno 4 milioni di dollari i trasferimenti riferibili a un decennio, individuando nella Cupola d’Oro una sigla funzionale a proseguire le attività nonostante i vincoli. È un quadro che, per Washington, si inscrive in un rischio strutturale: l’uso distorto delle organizzazioni non profit per mascherare flussi verso gruppi terroristici. Queste valutazioni americane non equivalgono a una sentenza italiana, ma hanno fatto da contesto e, secondo gli inquirenti, da spunto investigativo anche per chi indagava a Genova.

Dentro l’ordinanza: frasi intercettate, password “ripulite” e la linea sottile tra opinioni e reato

Le carte giudiziarie – per ora conosciute attraverso stralci e ricostruzioni giornalistiche – attribuiscono agli indagati conversazioni in cui si manifesterebbe una piena adesione all’ideologia di Hamas e la consapevolezza di indirizzare i fondi a suo sostegno. In un passaggio citato, emerge un confronto sulla necessità di “ripulire” i computer per evitare che materiali compromettenti potessero finire nelle mani degli inquirenti. Sono elementi che, se confermati in aula, peseranno nell’argomentazione dell’accusa.

Ma il processo dovrà anche distinguere tra propaganda, opinioni o attivismo politico e condotte penalmente rilevanti di finanziamento di attività con finalità di terrorismo. È un crinale sottile, che in casi analoghi in Europa ha richiesto valutazioni serrate sul nesso causale tra raccolte fondi e destinatari finali, sulla tracciabilità del denaro e sulla consapevolezza degli organizzatori riguardo a eventuali deviazioni verso apparati militari.

Il punto della procedura: custodia, Riesame e tempi del diritto di difesa

Per ora, la custodia cautelare di Hannoun resta in piedi: «Il provvedimento è già eseguito», spiega il collegio difensivo. Davanti alla gip Silvia Carpanini, l’indagato ha depositato dichiarazioni spontanee e ha preferito non sottoporsi a un controesame pieno in assenza della visione integrale degli atti. Gli avvocati valuteranno se ricorrere al Tribunale del Riesame per contestare gravi indizi di esigenze cautelari (pericolo di fuga, inquinamento probatorio, reiterazione del reato). Gli altri arrestati saranno sentiti in videocollegamento, salvo i due latitanti. Intanto, nell’alveo dell’indagine risultano oltre 20/25 indagati a vario titolo: tra questi, anche familiari di Hannoun, che secondo l’accusa avrebbero in alcuni casi trasportato denaro o mantenuto contatti per i trasferimenti. Sarà il processo – se e quando verrà disposto il rinvio a giudizio – a stabilire ruoli, responsabilità e grado di consapevolezza.

Il nodo dei “conti bloccati”: perché è cruciale

La linea difensiva insiste su un presupposto: «da anni» i conti sarebbero stati bloccati. Se ciò verrà documentalmente provato, la circostanza aiuta a spiegare l’opzione dei contanti e la tesi dei “contanti dichiarati in aeroporto” come unico canale per far arrivare aiuti umanitari in contesti soggetti a sanzioni e restrizioni bancarie. È chiaro, però, che la legalità della raccolta in contanti non esaurisce la questione: la norma penale non si ferma alla forma del trasferimento, ma indaga destinazione e scopo. Dunque, anche contanti dichiarati possono diventare illegali se dimostrato che alimentano strutture organizzative di un gruppo terroristico. La controversia, in concreto, ruota su due cardini: se le somme siano state realmente impiegate per beni e servizi umanitari, come sostiene la difesa; se una quota significativa sia stata invece dirottata verso l’ala militare di Hamas, come ipotizza l’accusa, che quantifica la deviazione in oltre il 71%.Il bilanciamento probatorio su questi due profili farà la differenza tra assoluzione e condanna.