Caso Almasri, Meloni: «Agito nell'interesse dello Stato». Ma vede «un disegno politico da parte della magistratura»
Gli atti dell’inchiesta sul generale libico rimpatriato, per i quali è stata chiesta l’autorizzazione a procedere nei confronti dei ministri Carlo Nordio, Matteo Piantedosi e del sottosegretario Alfredo Mantovano
«Lo stato di necessità legittima le condotte di tutti i rappresentanti del governo italiano coinvolti nel procedimento sulla vicenda Almasri». Di fronte ai documenti che accusano il governo, l’Esecutivo rivendica di aver agito nell’interesse dello Stato.
È questa la tesi difensiva giunta dopo la visione, da parte dell’avvocato Giulia Bongiorno, degli atti dell’inchiesta sul generale libico rimpatriato, per i quali è stata chiesta l’autorizzazione a procedere nei confronti dei ministri Carlo Nordio, Matteo Piantedosi e del sottosegretario Alfredo Mantovano.
In queste ore la stessa premier Meloni è intervenuta sulla vicenda con delle riflessioni più ampie: «A me non sfugge che la riforma della giustizia procede a passi spediti e ho messo in conto eventuali conseguenze», dice il presidente del Consiglio in una intervista al Tg5. E poi aggiunge: «Vedo un disegno politico intorno ad alcune decisioni della magistratura, particolarmente quelle che riguardano i temi dell’immigrazione come se in qualche maniera si volesse frenare la nostra opera di contrasto all’immigrazione illegale».
Ancora attriti con la magistratura dunque che nel caso Almasri portano ancora una volta allo scontro col procuratore di Roma, Francesco Lo Voi, il quale intervenendo sui malumori di ambienti di governo per i presunti ritardi nell’invio della documentazione giudiziaria nell’inchiesta sulla vicenda del generale libico precisa: «Gli atti sono stati inviati in 24 ore, se vi sembrano troppe…».
La memoria difensiva del governo, invece, era stata inviata agli inquirenti dall’avvocato Giulia Bongiorno una settimana fa e si faceva riferimento al codice di diritto internazionale sulla responsabilità degli Stati su atti illegittimi (articolo 25 del 'Responsability of State for Internationally Wrongful Acts 2001') che giustifica l’illiceità di una misura per salvaguardare un interesse essenziale dello Stato da un pericolo grave e imminente.
Del resto secondo gli stessi giudici - a quanto si legge dalla loro richiesta di autorizzazione a procedere - «appare verosimile che l’effettiva e inespressa motivazione degli atti e delle condotte tenute» da Nordio, Piantedosi e Mantovano siano legate alle «preoccupazioni palesate» dal direttore dell’Aise Giovanni Caravelli su «possibili ritorsioni per i cittadini e gli interessi italiani in Libia».
Nonostante la memoria, però, i giudici non si sono rivelati dello stesso parere. Dunque l’iter procede: entro la fine di settembre la Giunta per le autorizzazioni avrà pronta la relazione per l’Aula e alla Camera si voterà definitivamente entro ottobre, con un esito che appare scontato in favore della maggioranza di governo.
Il caso Bartolozzi
Non si voterà per un eventuale processo a Giusi Bartolozzi, la capo di gabinetto del ministero della Giustizia - non indagata - che secondo gli inquirenti avrebbe fornito versioni «contraddittorie e mendaci».
Per alcune fonti parlamentari, su di lei rischia di aprirsi un conflitto di attribuzione. Secondo le stesse fonti le incoerenze potrebbero emergere già nel corso dell’esame della Giunta per le autorizzazioni. In quella sede si potrebbe far notare una contraddizione nelle motivazioni della richiesta del Tribunale dei ministri che - mettendo in discussione la liceità del suo operato - avrebbe potuto includere la richiesta di autorizzazione anche per Bartolozzi, in quanto potrebbe aver commesso reati in concorso con il ministro Nordio (articolo 4 della legge costituzionale 219 del 1989).
In ogni caso, sulla base della stessa norma, non è ipotizzabile che Bartolozzi possa essere processata senza l'autorizzazione del Parlamento, perché nel caso Almasri eventuali reati sarebbero connessi a quelli di un ministro. Dunque, la considerazione finale è che la Procura, senza autorizzazione del Parlamento, non potrebbe indagarla per gli stessi reati. In caso contrario - concludono le fonti parlamentari - sarebbe inevitabile un conflitto di attribuzione.