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Covid, spostamenti a Natale tra Comuni: la decisione entro il 16 dicembre

Di Matteo Guidelli e Luca Laviola |

ROMA – Sì a modifiche per consentire la mobilità tra comuni confinanti sotto i 5mila abitanti. Ma deve essere il Parlamento ad assumersi la responsabilità di derogare ai divieti a Natale e Capodanno. Con l’Italia sempre più gialla e l’Rt nazionale sceso a 0,82, il governo non chiude a possibili cambiamenti del decreto ma avverte: «aprire tutto sarebbe da irresponsabili». Perché, dicono gli esperti dell’Istituto superiore di Sanità, l’incidenza del virus e l’impatto sui servizi sanitari non consentono di allentare le misure, “comprese quelle sulla mobilità”.

Diviso tra chi, come i ministri Roberto Speranza e Francesco Boccia che anche oggi ribadiscono la netta contrarietà a qualunque deroga, e chi invece ritiene necessario concedere la possibilità di spostarsi, Italia Viva in testa ma anche parte del Pd, l’esecutivo decide dunque di portare in Parlamento la questione degli spostamenti. Non saranno quindi le Faq di Palazzo Chigi a sciogliere i nodi – anche perché non sarebbe possibile aggirare una norma con una risposta ad un quesito – né un nuovo decreto, come era stato ipotizzato in un primo momento: la via «più percorribile», dice una fonte di governo, è un emendamento al decreto Natale. E’ molto probabile che già a inizio della prossima settimana si metta mano al provvedimento e si possa arrivare ad una soluzione entro mercoledì 16. Quel giorno il presidente del Senato Elisabetta Casellati ha infatti calendarizzato la mozione delle opposizioni proprio sul decreto, sbloccando così i lavori delle commissioni Bilancio e Finanze del Senato sul pacchetto Ristori che erano stati rinviati per l’ostruzionismo delle opposizioni, che chiedevano come “contropartita” di poter accelerare i tempi del confronto sui divieti per Natale.

I limiti agli spostamenti, ha ammesso il presidente del Consiglio Giuseppe Conte da Bruxelles, «possono creare un problema oggettivo», perché si viene a determinare una disparità tra chi vive nelle grandi città e può vedere familiari e parenti e chi, invece, vivendo nei piccoli comuni non può raggiungere chi magari abita a pochi chilometri di distanza ma in un altro paese. Ecco perché, conferma il premier, «se il Parlamento, assumendosene tutta la responsabilità, vuole introdurre eccezioni sui comuni più piccoli, in un raggio chilometrico contenuto, torneremo su questo punto. Il Parlamento è sovrano, ma serve grande cautela in qualsiasi eccezione». L’idea, come ribadisce Boccia, è dunque quella di effettuare «piccole modifiche» che consentano di muoversi tra «piccoli comuni confinanti» con una popolazione di 5mila abitanti. Per tutti gli altri resteranno i divieti, così come non sarà consentita la mobilità tra le province. «No agli allentamenti. Avviare un dibattito per arrivare ad aprire i confini tra province è da irresponsabili. Chi vuole aprire tutto se ne assuma la responsabilità», dice Boccia forte anche dell’analisi contenuta nel monitoraggio settimanale dell’Iss: «l’incidenza ancora troppo elevata e l’attuale forte impatto sui servizi sanitari richiedono di attendere prima di considerare un rilassamento delle misure di mitigazione, ivi comprese quelle della mobilità, oltre alla necessità di mantenere elevata l’attenzione nei comportamenti».

Al coro di coloro che vogliono aprire non si associa Vincenzo De Luca, che, anzi, chiede provvedimenti ancora più rigorosi ed è contrario «a tutte le manfrine a cui stiamo assistendo». In due settimane «ci giochiamo il futuro del nostro paese, dobbiamo avere il coraggio di dire che quest’anno Natale e Capodanno non esistono» dice il governatore della Campania, regione rimasta in fascia arancione dove approderà da domenica anche l’Abruzzo dopo che il Tar ha accolto il ricorso del governo sospendendo l’ordinanza del presidente Marco Marsilio che aveva introdotto di fatto un regime da zona arancione. Il paradosso di tutto ciò sarà che oggi i negozi hanno aperto, sabato resteranno chiusi poiché la Regione è ancora rossa e domenica potranno aprire nuovamente.

Dopo un mese tornano invece in fascia gialla Lombardia, Piemonte e Calabria, le prime a diventare zone rosse, e la Basilicata: ora sono 15 le Regioni gialle, oltre alla provincia di Trento. Ma questo non significa che si può abbassare la guardia e i dati del monitoraggio sono lì a ricordarlo: in sedici regioni c’è ancora un sovraccarico delle terapie intensive e dei ricoveri in area medica e 4 regioni – Puglia, Sardegna, Veneto, Emilia Romagna – oltre alla provincia di Trento sono a rischio alto e dovrebbero dunque adottare “rapidamente» nuove misure restrittive. COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA