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Lavoro, Sicilia in emergenza da ben 35 anni e l’occupazione continua a calare

Di Michele Guccione |

Palermo – Da 35 anni ormai seguo la festa del Primo Maggio e, con rammarico, nel tirare un bilancio devo concludere, modificando una massima di Tomasi di Lampedusa, che in Sicilia “cambia tutto per cambiare in peggio”. L’Italia, secondo gli ultimi dati Istat, ha superato la crisi e ha recuperato lo stesso tasso di occupazione che registrava nel 1962, cioè il 58%, riprendendo così la corsa per avvicinarsi all’obiettivo della Strategia di Lisbona di un indice di occupati al 70%. Invece la Sicilia nell’ultimo quarto di secolo, pur avendo creato 43mila posti di lavoro in più (occupati saliti da un milione e 490mila del 1990 a un milione e 533mila del 2018), ha visto crollare il tasso di occupazione dal 42,5% del 1993 al 40% del 2018, cioè diciotto punti in meno del valore nazionale, in quanto la popolazione nel frattempo è cresciuta di 40mila unità, a 5 milioni e 41mila residenti. Inoltre, i disoccupati lo scorso anno hanno segnato il nuovo record storico di 372mila soggetti (tasso al 21,5%) perchè tanti Neet hanno ripreso a cercare un impiego.

Quindi è un palese fallimento. Proviamo a rileggere questi 35 anni di storia, caratterizzati da un crescendo di emergenze mai risolte. Il Primo Maggio del 1984, durante la tradizionale marcia di Portella della Ginestra, i sindacati lanciavano l’allarme per l’urgenza di trovare un lavoro a 350mila siciliani disoccupati. Nel 1993 l’Isola toccò quello che allora sembrò il minimo storico di occupati, pari al 42,5% della forza lavoro, quando le persone in cerca di occupazione erano arrivate a 359mila (20,1%). Tant’è che, dopo una prima Finanziaria di maggio ’93 già improntata allo sviluppo, il governo regionale, guidato da Giuseppe Campione, e l’Ars, presieduta da Paolo Piccione, per fronteggiare l’emergenza approntarono in tempi brevissimi una Finanziaria-bis, la legge 25 dell’1 settembre ’93, dal roboante titolo “Interventi straordinari per l’occupazione produttiva in Sicilia”.

Servì a poco: nel 1996 la congiuntura nazionale stroncò l’economia siciliana, fra un’inflazione sopra il 4%, il governatore di Bankitalia Antonio Fazio che accusò gli industriali di tenere alti i prezzi per aumentare i profitti, la morte del leader della Cgil Luciano Lama e lo scontro interno ai sindacati sulla proposta di abbassare i salari minimi al Sud per favorire nuove assunzioni. Le drammatiche conseguenze furono subito visibili nel primo trimestre del 1997: sei suicidi e due tentati suicidi di disoccupati. Quello che suscitò più clamore fu il gesto di Giovanni La Mantia, che si cosparse di benzina e si diede fuoco nella stanza del sindaco di Caltagirone, comune che allora contava ben 8mila disoccupati. Morì il 23 marzo e quello stesso giorno, Domenica delle Palme, il presidente della Regione, Giuseppe Provenzano, convocò una seduta straordinaria di Giunta con i prefetti dell’Isola per individuare misure speciali al fine di sbloccare il mercato del lavoro. Fu il corpo della legge 30 dell’agosto ’97, un insieme di automatismi che azzeravano l’onere Inps sulle nuove assunzioni fino a 9 anni. Per accanimento del destino, il figlio di La Mantia, Riccardo, si suicidò a Torino nel 2008, temendo di perdere il lavoro.

Gli effetti della legge 30 furono immediati: scattarono 39mila assunzioni, ma dopo due anni la politica, resasi conto che gli automatismi non consentivano di filtrare le assunzioni, fece pollice verso e la Regione non finanziò più quegli incentivi alle imprese. L’occupazione tornò subito giù, addirittura al di sotto dei livelli precedenti. Infatti, nel ’99 la disoccupazione toccò il record di 450mila unità, il 24,5%.

Prima della grande crisi, nel 2006, l’Istat ci dice che gli occupati erano un milione e 677mila, l’anno più prolifico di lavoro in Sicilia, con un indice mai visto del 45%. I disoccupati erano al minimo, 231mila (13,4%). Ma fu un fuoco di paglia. La crisi e l’incapacità dei vari governi di affrontarla hanno riportato l’Isola più in basso di quando questa storia è cominciata, 35 anni fa: il 2018 si è chiuso con un milione e 363mila occupati a tempo indeterminato, un tasso di occupazione al 40% (inferiore di 18 punti a quello nazionale) e ben 372mila disoccupati da impiegare, pari al 21,5%. Eravamo partiti dal 42,5% di occupati e dal 20,1% di disoccupati. Tante leggi e parecchi miliardi investiti, per un risultato evidentemente fallimentare, frutto di una mancanza di strategia e della miope volontà politica di preferire il precariato clientelare che garantisce il consenso elettorale agli investimenti strutturali che sviluppano meritocrazia e lavoro duraturo.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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