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La scalata di Danilo: da cameriere a manager che a Catania cerca giovani pasticceri

Di Maria Ausilia Boemi |

Umiltà e sacrificio, voglia e passione, competenza ed analisi: sono i tre step della storia del catanese Danilo Imbrogiano, 35 anni a giugno, sposato, che da cameriere dall’età di 13 anni nei locali importanti di Catania, da 8 anni è a Mestre dove oggi è Food and beverage manager nel locale di Mestre di BEFeD, oltre che essere startupper e business planner per nuove realtà. E in questa veste torna a Catania per proporre un’opportunità professionale importante a giovani pasticceri siciliani che vogliano crescere nell’ambito di un nuovo progetto.

«Nasco – racconta Imbrogiano – come cameriere dall’età di 13 anni nei locali importanti di Catania dell’epoca (Costa Azzurra, Galatea, Sheraton), iniziando un percorso con Enzo Mosca per quanto riguarda il catering di lusso. Da lì sono passato al ristorante I Quattro Venti, poi Bellatrix, Pititto e Marè, spinto sempre dalla voglia di crescere e migliorare». E proprio in quest’ultimo locale, la casuale svolta di vita: «Un giorno viene a mangiare al Marè un imprenditore friulano, Franco Rigo, che mi propone di andare a lavorare per lui come manager, vedendo in me delle qualità». L’attività di Rigo (fondata insieme con altri soci) è BEFeD, una catena di locali in tutta Italia sorta nel 1994 e il cui prodotto di base è la birra artigianale da degustare assieme al Galletto Vallespluga. «Gli ho risposto che volevo continuare il mio percorso nella ristorazione e che in quel momento stavo valutando una proposta manager dello Sheraton a Roma. Mi ha allora invitato a recarmi per un mese nella sua azienda: il mio primo stipendio è stato 2.500 euro, mentre in Sicilia avevo fino a quel momento ricevuto tantissime pacche sulla spalla ma nessuna gratificazione. Così ho iniziato questo percorso con lui».

E da lì la svolta, con la gestione del primo locale a Lignano, con un boom di fatturato in soli sei mesi «ho avuto la possibilità di portare in quello che era sostanzialmente un birrificio in cui si serviva pollo, la mia esperienza lavorativa di passione, emozione e gestione del cliente, dettagli che tante volte vengono trascurati e che per me sono invece punti di forza». Visti gli ottimi risultati conseguiti, al giovane catanese viene affidato il locale più importante della catena, quello di Mestre, anche lì con un boom di fatturato «in un anno in cui la crisi era forte e nascevano anche nuove catene. Quindi, questa crescita aveva un ulteriore valore aggiunto». A quel punto, a Danilo Imbrogiano viene affidata la formazione del personale di tutti i 30 locali in Italia di BEFeD.

«Io però avevo una grande voglia di crescere – racconta il manager -: sapevo che avevo una grande passione, ma la passione non è competenza. Ho quindi deciso, in parallelo al lavoro, di studiare all’Alma, l’università di Gualtiero Marchesi a Padova, dove mi sono laureato come Food and beverage manager, e in seguito in Svizzera alla Swiss Hotel Management School in business».

Da allora, continua il lavoro con BEFeD nella posizione di food and beverage manager nel locale di Mestre, ma realizza i progetti anche di altri investitori e imprenditori. Ad esempio, ha riportato in auge, insieme con il presidente dell’Udinese, Pozzo, il ristorante “La vecchia finanza” a Lignano Sabbiadoro in Friuli Venezia Giulia, dove «faccio arrivare la materia prima dalla Sicilia (gambero rosso, scampi reali, tonno rosso) in questo ristorante completamente rinnovato con la mia ottica. È stato un altro progetto importante, perché ho preso un locale fallito e l’ho trasformato in quello più importante del Friuli, creando una storia perché era proprio lì, di fronte al Tagliamento, che Ernest Hemingway ha scritto “Di là dal fiume e tra gli alberi”. Il cliente è felice di sentire la storia, noi siamo felici di raccontarla e poi si può gustare una materia prima diversa rispetto a quella del Friuli, che è quella nostra siciliana, che ha sì dei costi importanti, ma anche un valore immenso».

Oggi nasce invece un nuovo progetto che è l’allargamento della pasticceria di Bagigiò. «Il nome Bagigiò, impresa finanziata da Franco Rigo (il mio mentore tra i proprietari di BEFeD), deriva dall’unione di BEFeD e dei bagigi, le arachidi in Veneto. Abbiamo già un talento veneto, Nicolò Trovò, che fa una pasticcera internazionale, perché ha lavorato in Francia, a Singapore e in altre parti del mondo. Finora abbiamo investito su di lui per la pasticceria. Oggi vogliamo fare un ulteriore passo, trovando talenti siciliani e creando con loro una pasticceria siciliana. Secondo il progetto vogliamo creare 10 location in tutto il mondo – la prima a Cittadella (Padova) c’è già, tra due mesi ne aprirà una a Mestre, fra un anno ne vogliamo inaugurare una a Londra e una a New York e poi andare anche altrove nel mondo – per consentire a pasticceri siciliani talentuosi di esprimersi al massimo. Sappiamo infatti che abbiamo tanti talenti in Sicilia animati da passione, ma con poche gratificazioni. Noi vogliamo invece dare loro la gratificazione, facendoli crescere, migliorandoli e rendendo il loro un percorso di successo».

Di qui l’idea di selezionare in Sicilia dei pasticceri da inserire nel progetto (dal momento in cui a breve uscirà l’annuncio – per questo è consigliabile tenere d’occhio il sito di Bagigiò – ci saranno circa 4 mesi di tempo per inviare i curricula): «Sappiamo che la pasticceria siciliana ha delle grandi potenzialità: vogliamo prendere la tradizione e innovarla, cercando di esprimere al massimo la materia prima, il prodotto, che in Sicilia è di altissima qualità».

Danilo Imbrogiano con Franco Rigo

I requisiti richiesti per i 6 pasticceri di questa prima selezione (alla fine dovrebbero diventare 10) sono un’esperienza professionale di pasticceria siciliana da almeno 5-6 anni e la frequentazione di corsi sulla nuova pasticceria e sull’innovazione, «dopodiché saremo noi a investire sul professionista per formarlo. Siamo alla ricerca in sostanza di qualcuno che abbia tanta voglia di esprimersi, che abbia passione, come quella che ho avuto io e che mi è stata data l’opportunità di esprimere. Il nostro intento è creare una linea di pasticceria siciliana e l’obiettivo finale è integrare all’interno di una stessa pasticceria diverse linee: la linea Sicilia, Napoli, Friuli, Piemonte e così via, ognuna con la propria specificità. Oggi tocca alla Sicilia, perché io vengo da qui». Lo stipendio sarà intorno ai 1.700-1.800 euro al mese, cui si aggiungeranno vitto e alloggio pagati e premi di produzione che dipenderanno dalla crescita del locale.

Un’opportunità interessante, quindi, anche economicamente. «Per noi oggi è importante raccontare chi siamo davvero, cosa siamo e cosa vogliamo fare. Anche nella pasticceria di Bagigiò noi presentiamo il prodotto davanti al cliente, all’interno della sala non ci saranno camerieri, ma pasticceri che racconteranno i prodotti ai commensali. Non è la classica pasticceria: i pasticceri girano nel locale, finiscono il prodotto davanti al cliente, la pasticceria è totalmente dal vivo, si fanno delle serate a tema sulle materie prime. Il cliente lì può non solo degustare il prodotto, ma anche farsi una cultura personale sul prodotto che va a degustare. Creiamo così valore aggiunto al prodotto».

E si porta inoltre la materia prima, in questo caso siciliana, in giro per l’Italia e poi per il mondo, partendo dalla colazione classica siciliana (brioche, cornetti, panzerotti, iris) «perché la colazione è la base, il valore aggiunto della pasticceria: infatti, se vado in un locale dove faccio una cattiva colazione, sicuramente mangerò anche un cattivo dolce». Il tutto puntando sulla Sicilia perché, come ricorda Imbrogiano, «come diceva il buon Gualtiero Marchesi, la Sicilia ha tutto, il problema è che sono i francesi bravi a raccontarlo. In Italia, grazie al clima diverso nelle varie zone riusciamo ad avere delle materie prime importantissime. La Sicilia ha ancora più fortuna, perché riesce a creare un prodotto invidiato da tutti e inoltre ha avuto varie contaminazioni di diverse etnie nei secoli: grazie a ciò, abbiamo prodotti unici come ad esempio il pistacchio di Bronte». Peccato che in Sicilia sia difficile valorizzarli: «Proprio perché siamo in Sicilia. Non sarei andato via e la Sicilia crescerebbe di più se questa fosse una terra dove le persone credono nelle cose che fanno e non si calpestano i piedi l’uno con l’altro: in questa Isola, purtroppo, tutti ti dicono bravo e poi ti usano, ti spremono alla fine non ti danno niente».

Anche per questo Imbrogiano non ha «nostalgia della Sicilia dal punto di vista professionale. I miei genitori mi rimproverano per questo. Ho avuto in realtà tante proposte, ma non ci ho creduto o ci credo sempre troppo poco». Anche se qualcosa comincia a cambiare, soprattutto sul fronte della valorizzazione dei prodotti: «C’è chi sta iniziando a capire la potenzialità dei prodotti siciliani. Ad esempio il “rosso di Mazara” (il gambero rosso di Mazara del Vallo) oggi tira molto in tutti i ristoranti più importanti e stellati d’Italia e anche all’estero. E poi c’è il vino, che è diventato sempre più prestigioso. Tante cose si stanno muovendo, però non dobbiamo dimenticare che è in Sicilia, in Italia che dobbiamo presentare, sponsorizzare e realizzare il prodotto per poi venderlo anche altrove».

Impossibile non chiedergli della star di Masterchef, Joe Bastianich: «Grazie ad Alma, ho fatto un percorso nel loro locale sulla Fifth Avenue a New York occupandomi della gestione dei costi di questa grande azienda che produce 40 milioni di dollari all’anno. Lì ho imparato le tecniche dei costi, fondamentale nella ristorazione, anche se tanti non lo capiscono. In realtà a New York della famiglia Bastianich è la madre a essere famosa. Joe lì è una persona normalissima, è più famoso in Italia perché ha investito in Friuli sulla produzione del vino e Masterchef gli ha dato una grande notorietà, però negli Usa è la madre a essere forte: è lei che ha scritto da sempre ricette di cucina italiana in cui raccontava l’italianità all’estero, è lei che ha creato diversi ristoranti importanti dove andavano a mangiare i più importanti attori americani».

Nessun rimpianto, per Imbrogiano, in questa scalata al successo iniziata dai gradini più bassi: «Fortunatamente non ho subito fallimenti. Ho cercato infatti sempre di prevedere in prospettiva le conseguenze di ogni azione, cercando così di fare le scelte più giuste: per me, un cliente deve mangiare bene e stare bene. Sono queste le due cose fondamentali: se dai queste due cose, il cliente sarà contento. Sono cresciuto grazie a tutte le mie esperienze lavorative e per me crescere significa avere la possibilità di imparare. Forse i ragazzi oggi dovrebbero capire che nel momento in cui si fa qualcosa, o si esce da scuola con un titolo, non si è già arrivati».

Se un cruccio proprio lo si vuole cercare, Imbrogiano ha magari quello di non avere seguito «il mio sogno a 20 anni di girare il mondo per conoscere altre culture e civiltà, che è quello che sto facendo negli ultimi anni, ma con più fatica. Ad esempio, quando sono andato due anni fa a Londra per imparare l’inglese – e venivo dalla posizione che ho oggi (ben retribuita, macchina e cellulare aziendali, ascoltato in una azienda con 230 dipendenti) – i primi due mesi sono andato a lavorare in un ristorante. E cosa ho fatto? Ho lavato bagni. I supervisor erano ragazzini più giovani di me che mi facevano lavare il bagno. E io con umiltà, siccome volevo imparare l’inglese, lo facevo. Poi sono passato in un hotel importante su Oxford Circus passando a fare lo chef de rang, ma i primi due mesi ho lavato bagni perché volevo imparare qualcosa che non sapevo». Come dire, mai sedersi sugli allori: «No, quando sei arrivato, è finita. Io ho paura quando non sto imparando e non posso raccontare domani agli altri quello che ho imparato. E siccome il mio lavoro è raccontare ai ragazzi cercando di sviluppare in loro una passione per una crescita migliore, lo posso fare solo se le ho provate quelle cose. Se non le ho provate, cosa racconto?».

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