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«La paura puo’ portare a difendere “carnefice”»

Di Carmela Marino |

ROMA – È un meccanismo di negazione e al tempo stesso di difesa, per poter tollerare e giustificare l’aggressione subita, quello che alcune donne mettono in atto proteggendo chi ha fatto loro del male, in qualche modo il loro “carnefice”. A muoverlo può essere molto spesso la paura. A spiegarlo ROMA, 9 GEN – È un meccanismo di negazione e al tempo stesso di difesa, per poter tollerare e giustificare l’aggressione subita, quello che alcune donne mettono in atto proteggendo chi ha fatto loro del male, in qualche modo il loro “carnefice”. A muoverlo può essere molto spesso la paura. A spiegarlo Claudio Mencacci, presidente della Società italiana di psichiatria. È forse il meccanismo che potrebbe essere scattato anche in Ylenia Grazia Bonavera, una ragazza di 22 anni di Messina, ustionata, un gesto per il quale è stato fermato il suo ex fidanzato, un 24enne, con l’accusa di tentativo di omicidio, mentre lei lo difende.

«Quello che possiamo dire, fatte salve le verifiche che dovranno essere fatte sul caso, è che esiste un meccanismo di adattamento all’abuso – spiega Mencacci – una sorta di condizione in cui la vittima mette in atto meccanismi di negazione e difesa per tollerare e giustificare l’aggressione subita. È’ una variante del proteggere ad esempio il proprio carnefice nell’abuso subito da un bimbo o adolescente o della più conosciuta sindrome di Stoccolma», cioè quello stato di dipendenza di tipo psicologico o affettivo che si manifesta in alcuni casi in vittime di episodi di violenza (psicologica, fisica o verbale). «Molte volte ciò che muove è la paura, anche per le conseguenze delle denunce e il timore di essere uccise. È importante attivarsi per capire se di base vi è un meccanismo di paura, diverse donne non denunciano, ma vanno incoraggiate e fatte parlare con degli esperti».

«Il meccanismo che si mette in atto – conclude Mencacci – è un tentativo di dare una ragione, per quanto assurda, ad una violenza subita. Molte donne ad esempio si colpevolizzano, si convincono che è il proprio comportamento ad essere inadeguato». “Casi come quello accaduto a Messina sono comunque drammatici- conclude- e sono da approfondire, l’auspicio è che la ragazza sia messa in condizione, come occorre fare dopo dei traumi, di sentirsi molto al sicuro». COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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