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Tutti i dubbi sull’immunità di gregge, la controversa strada inglese contro il virus

Di Redazione |

ROMA – Dal mondo scientifico piovono critiche sulle dichiarazioni del premier britannico Boris Johnson di promuovere misure di contenimento parziali fino al punto in cui il virus tocchi il 60% della popolazione e favorire in questo modo la cosiddetta “immunità di gregge”, ossia lasciar andare i contagi fino alla comparsa di un grande numero di persone immuni. Una scelta definita «cinica» da alcuni, come Gloria Taliani, del dipartimento di Medicina Traslazionale e di precisione dell’Università Sapienza di Roma: «é palese – ha rilevato – che nel caso della Covid-19 le curve di mortalità coinvolgono persone più fragili e anziane» e la scelta di puntare sull’immunità di gregge «finirebbe per falcidiare le persone che per il sistema produttivo del Paese costano».

Senza contare il fatto che «per raggiungere l’immunità di gregge il 60% non basta». Questo perché, ha osservato ancora la ricercatrice, «l’immunità di gregge ha sue regole: quando vogliamo creare una protezione per cui si ottiene effettivamente un beneficio, bisogna raggiungere il 95%». Si ha l’impressione, ha aggiunto Taliani, che con un’impostazione del genere l’epidemia «sia vissuta come una falcidia naturale».

In condizioni non straordinarie come quella generata dalla pandemia di coronavirus, l’immunità di gregge si raggiunge grazie al vaccino nel caso delle piccole epidemie di varicella, morbillo e rosolia. E’ accaduto recentemente, per esempio, che la scelta di non vaccinare i bambini «abbia ridotto il numero delle persone protette, rendendo di fatto impossibile l’immunità di gregge».

Decisamente critico anche Walter Ricciardi, consulente del ministero della Salute e membro del Comitato di esperti della Protezione civile, che in un’intervista a Repubblica in merito alle dichiarazioni di Johnson sul coronavirus ha rilevato che “non è assolutamente etico accettare che si ammalino le persone per creare una immunità di gregge, che peraltro non è neanche sicura. Perché si tratta di un virus nuovo e non ci sono ancora conferme scientifiche su una immunità duratura dopo la malattia. Chi è stato contagiato potrebbe anche riprenderlo per quanto si sa al momento». In questo modo, ha aggiunto, il Regno Unito «corre il rischio di essere investito in modo più violento rispetto agli altri».

Ma la Gran Bretagna va per la sua strada, anche se almeno in parte si prepara a correggere il tiro, mentre il contatore dei casi di contagio sull’isola segna un nuovo picco e quello del numero di morti un raddoppio secco in 24 ore. Preso di mira dalle polemiche e dalle perplessità di una parte dell’opinione pubblica, ma soprattutto della comunità scientifica interna e internazionale, il governo di Boris Johnson non modifica al momento la sua strategia, eccentrica rispetto alla maggioranza degli altri Paesi, di un tentativo di diffusione controllata e diluita del virus. Apre tuttavia le porte al blocco di tutti gli eventi pubblici.

Il professor Chris Whitty, chief medical officer britannico e consigliere scientifico principe di Johnson accanto all’accademico ed ex numero uno del colosso farmaceutico Glaxo, sir Patrick Vallance, ha precisato che i morti in più di queste ultime ore erano tutti «a rischio», cioè anziani e persone con patologie gravi pregresse, anche se nelle ultime ore si registra la prima infezione di un neonato. E, pur dicendo di «comprendere le preoccupazioni di molti», ha insistito sulle raccomandazioni di base suggerite finora dalle autorità del Regno in assenza di provvedimenti radicali. Cautele di minima, improntate all’idea di poter spalmare il contagio nel tempo, rinunciando all’ambizione di cercare di contenerlo con restrizioni-shock e limitandosi ad assistere «i più vulnerabili» nelle parole di Vallance. Con una speranza di fondo: quella d’innescare la cosiddetta «immunità di gregge» una volta che «il 60% della popolazione» sarà stato contagiato, e sarà in gran parte guarito, diluendo auspicabilmente l’impatto sul sistema sanitario verso la stagione estiva e attenuando in parallelo i contraccolpi sull’economia nazionale in tempi di Brexit.

Disegno la cui attendibilità molti tuttavia contestano. E che non impedisce intanto al governo Tory d’apprestarsi a varare la prossima settimana in Parlamento una legislazione d’emergenza ad hoc (destinata a restare in vigore per due anni, con poteri speciali d’intervento alla polizia) cui dovrebbe seguire il bando formale dei grandi eventi pubblici anche nel Regno. Una mossa i cui effetti Johnson e i suoi consiglieri avevano liquidato sino a venerdì come trascurabili, pur senza escluderla per motivi di «ordine pubblico». E che invece, secondo una fonte governativa, scatterà alla fine dal prossimo weekend, con conseguenze su eventi quali il torneo di Wimbledon, il festival musicale di Glastonbury o le corse ippiche del Royal Ascot e del Grand National. Per i media si tratta del segnale di «una svolta», se non di «una retromarcia», di Downing Street. Ma comunque una svolta parziale, tenuto conto che ad oggi non risulta alcun ordine di chiusura di scuole o università, ad esempio, a dispetto del fatto che alcune istituzioni abbiano deciso lo stop per conto loro, che la Premier League calcistica abbia già sospeso il campionato e che – almeno da ieri sera – pure numerosi pub e ristoranti si siano spontaneamente svuotati.

Intanto un centinaio d’italiani residenti nel Regno Unito ha scritto al premier per chiedere un cambio di passo. Mentre diversi specialisti polemizzano sulla teoria dell’immunità di gregge: giudicata «fantascienza» allo stato del poco che si sa sul coronavirus dall’italiano Roberto Burioni; e vista con perplessità anche da studiosi che pensano possa funzionare, come Martin Hibberd, professore d’infettivologia alla London School of Hygiene and Tropical Medicine, stando al quale il target vero dovrebbe essere quello d’avere una fetta di popolazione contagiata ancor più alta, il 70% e oltre, in un contesto in fin dei conti (decine di milioni di persone) incontrollabile. Senza tralasciare i moniti dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms), che per bocca del suo numero uno, Tedros Adhanom Ghebreyesus, insiste a indicare la strada del contenimento rigoroso come la più ragionevole al momento. E nelle parole della portavoce Margaret Harris non esita a definire «dubbia la risposta» britannica alla pandemia. COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA