17 dicembre 2025 - Aggiornato alle 18:27
×

Il report

Occupazione e qualità della vita in picchiata a Caltanissetta: «Non diamo illusioni ai giovani, si valorizzino le competenze»

Tra tasso migratorio ai massimi livelli, invecchiamento della popolazione e denatalità, la testimonianza di un giovane imprenditore di San Cataldo su come tentare di arginare disagio sociale e occupazione, come il caso Telecontact: «L’idea del posto fisso non esiste più»

Enrico De Cristoforo

17 Novembre 2025, 02:00

Occupazione e qualità della vita in picchiata a Caltanissetta: «Non diamo illusioni ai giovani, si valorizzino le competenze»

Fabrizio Lipani, imprenditore del settore tecnologico originario di San Cataldo

Ci sono riflessioni che vanno affrontate più volte nel corso della settimana per scuotere le coscienze, soprattutto di chi può incidere sul destino di una terra emarginata e in forte depressione. Come abbiamo già scritto noi de «La Sicilia», il disagio sociale nel Nisseno è palpabile a causa dei dati preoccupanti rilevati da Istat e Inps soprattutto sulle partenze obbligate dei nostri figli, nipoti, amici, inglobati nel tasso migratorio che va di pari passo con il raddoppio in 20 anni (dal 2005 al 2025) del numero di anziani ogni 100 giovani (da 100,2 a 193,5). Un esodo, il primo, che ovviamente incide anche sulla denatalità, al punto che il rapporto di figli per ogni famiglia è di 1 a 1. Anche per il report di «Italia Oggi», notizia recentissima, Caltanissetta è in fondo alla classifica nazionale (107^) per qualità della vita: dotazione di servizi, reddito, gestione delle infrastrutture, vitalità del tessuto produttivo.

In questo quadro - tanto per renderlo più credibile e concreto agli occhi di non vuole vedere cosa sta accadendo in questa territorio - inseriamo anche il tasso di occupazione nel Nisseno che è 41,7%, rispetto al 46,8% della Sicilia e al 62,2% dell’indice Italia: gli abitanti inattivi sono il 51,5% (136mila), con un dato sensibilmente superiore all’indice Sicilia (46,0%) e molto più alto del 33,4% che è l’indice Italia.
E certamente la vertenza Telecontact, infligge una mazzata dirompente alla tragica situazione occupazionale nissena: ricordiamo che entro dicembre sarà completata l’«operazione di aggregazione» tra Tim e Dna srl di Roma - anche questa nel settore delle telecomunicazioni - che ha scatenato le preoccupazioni di 1.591 lavoratori del colosso telefonico, 336 dei quali solo della sede di Caltanissetta, incerti sul loro futuro in azienda. Sulla vicenda sono già in campo i sindacati e per quanto possibile - sulla base delle ricadute che avrebbe una nuova ondata di disoccupati - le amministrazioni comunali di Caltanissetta e San Cataldo.
Ora, di fronte a una flessione così evidente dei principali indici del benessere collettivo - che non c’è, purtroppo - dopo aver sentito finora politici, sindacalisti, analisti di settore e opinionisti, vogliamo raccontare anche la testimonianza di un giovane imprenditore del settore tecnologico, Fabrizio Lipani, 37 anni, di San Cataldo. Dopo vari anni in aziende informatiche, ha fondato «Ppk Innovation», un gruppo che progetta e sviluppa soluzioni digitali per aziende e organizzazioni, e che conta oltre 40 collaboratori.
Lipani si sposta tra Milano e San Cataldo, ma ha mantenuto un forte legame con la sua città d’origine dove vivono la moglie e i due figli: Dante ha 2 anni e mezzo, Itaca 9 mesi. Fabrizio, seguendo su «La Sicilia» i report su migrazione e occupazione, e poi il caso Telecontact, dice: «Per i lavoratori coinvolti la solidarietà è sacrosanta, e va espressa senza esitazioni. Ma c’è una parte del dibattito politico che manca: la comprensione di ciò che sta accadendo davvero».
Partecipando al Web Summit di Lisbona - una conferenza annuale in cui aziende di tutto il mondo si confrontano su tecnologia Internet, tecnologie emergenti, marketing - Lipani aggiunge: «Qui a Lisbona sento parlare di intelligenza artificiale, automazione dei processi, trasformazione del lavoro. Nel frattempo mi arrivano le notizie dalla mia terra sulla vicenda Telecontact. Al Web Summit non si parla di “scelte aziendali” o “riorganizzazioni”: parlano del fatto che l’intelligenza artificiale sta assorbendo una parte enorme dei lavori ripetitivi. Call center, catene di montaggio, data entry, processi standardizzati, sono i primi settori investiti dall’ondata. La tecnologia che vedo presentata qui non è futuristica, è già in produzione. E questo non significa che i lavoratori siano inutili o “da sostituire”, nessuno lo pensa. Significa che il mondo del lavoro è in trasformazione, e che la difesa delle persone non può basarsi sulla negazione di ciò che succede».
Fabrizio proviene da una famiglia come tante nel Nisseno e ricorda: «Quante volte abbiamo sentito frasi come “lascia perdere il mestiere di parrucchiere, vai al Nord in fabbrica”, “meglio un lavoro fisso che un mestiere manuale”. Generazioni di ragazzi sono stati convinti a rinunciare a competenze manuali preziose - elettricisti, idraulici, parrucchieri, falegnami - per cercare stabilità in settori che oggi sono proprio i più fragili. E questo messaggio continua, ancora oggi, a circolare. Senza spirito polemico, penso che se c’è un momento in cui dovremmo scendere in piazza, non è quando un giovane trova lavoro in un call center, ma è quando viene spinto ad abbandonare la sua competenza autentica per un lavoro che l’automazione sta già erodendo».
E prosegue: «Vorrei che i miei figli vivessero in un territorio che guarda al mondo, che riconosce i trend globali, che educa con coraggio, che non rimane incastrato in un’idea di “posto fisso” che non esiste più. Vorrei che crescessero in un contesto che valorizza davvero le competenze - manuali, tecniche, digitali - e che offre prospettive reali, non illusioni».
Insistendo sulla questione Telecontact, il giovane imprenditore sancataldese chiosa: «Merita rispetto e attenzione, ma è anche l’occasione per porci una domanda fondamentale: che messaggio stiamo dando alle prossime generazioni? Non è una battaglia politica, è una questione di responsabilità verso chi verrà dopo di noi. E dire la verità, oggi, è il primo atto di tutela. Non per dividere, ma per preparare».