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Regione, maggioranza in crisi estiva. Lite Cuffaro-Lombardo, crepe in Fi

MIl vertice con un clima infuocato (senza Galvagno) dopo il flop sui consorzi. Ma Schifani va avanti anche sulle variazioni

Mario Barresi

24 Luglio 2025, 08:50

Schifani

Dopo i convenevoli di rito, a dire il vero un po’ più sbrigativi del solito, martedì mattina Gaetano Galvagno sottopone a Renato Schifani «una questione delicata». E cioè: «Come dobbiamo comportarci se in aula bocciano l’articolo 3? Senza quella norma, salta tutta la riforma». Una profezia autoavverante: nel pomeriggio l’Ars, a scrutinio segreto, impallina la legge sui consorzi di bonifica col voto contrario di almeno 10 deputati di maggioranza. Così a Palazzo d’Orlèans, dove a quella frase non era stato dato più di tanto peso, comincia a consolidarsi la tesi dell’imboscata preordinata. Il ddl, rilancia Schifani, «sarà ripresentato alla ripresa dei lavori, subito dopo la pausa estiva».

Ma il centrodestra siciliano è a pezzi. E nonostante i buoni propositi emersi nel vertice di ieri pomeriggio - come quello di confermare il voto sulle variazioni di bilancio da 350 milioni entro il 6 agosto - la maggioranza del governo Schifani attraversa una delle crisi più pesanti di questa legislatura. A incendiare il clima ci pensa Totò Cuffaro, che addita i franchi tiratori parlando di «comportamento irresponsabile da parte di alcuni deputati di Fi, FdI ed Mpa»; hanno bocciato la legge «esclusivamente per ripicche e risentimenti personali». Gli risponde a stretto giro la direzione regionale del Mpa (cioè Raffaele Lombardo): «Cuffaro individua con sorprendente precisione gli affossatori del ddl sui Consorzi di Bonifica, nonostante il voto fosse segreto. Possiede forse un sistema in grado di rivelare ciò che nemmeno il regolamento d’Aula consente? Un trojan istituzionale? Un dispositivo di lettura del pensiero parlamentare? Ce lo dica, lo condivida. Non faccia l’omertoso». In questo duello appaiono persino sagge le parole di Gianfranco Miccichè, che, pur ironizzando sul «sistema soprannaturale» usato dal leader della Dc, scandisce: «Non c'è alcuna schizofrenia in quel voto: ci sono segnali politici chiari, che sarebbe un errore sottovalutare».

«Segnali» che emergono - tutti - prima, durante e dopo il vertice. A cui, su indicazione di Schifani, non partecipa il presidente dell’Ars. Che magari non starà vivendo giorni da leone, ma che - fino a prova contraria - dovrebbe dirigere i lavori d’aula sulla manovra estiva a cui il governatore tiene molto. «Stavolta possiamo anche fare a meno di Gaetano», è la regola d’ingaggio che il diretto interessato ascolta in viva voce, con signorile rassegnazione, dal cellulare di un capogruppo della coalizione che parla con Schifani. E si arriva al summit di ieri pomeriggio. «Mi avete chiesto di incontrarci, eccomi. Ditemi tutto…», l’esordio del presidente della Regione che destabilizza i presenti. I nodi vengono quasi subito al pettine. Sopratutto dopo lo sfogo del capogruppo autonomista Roberto Di Mauro, che butta sul tavolo anche l’insoddisfazione, ormai esistenziale, per il mancato riconoscimento del secondo assessore a quasi parità di voti con Dc e Lega (che ne hanno due a testa) e la contrarietà alla nuova rete ospedaliera partorita dall’assessora Daniela Faraoni, tecnica forzista, ritenuta «troppo vicina» agli alleati salviniani e democristiani. Schifani strabuzza gli occhi: «Ma che c’entra tutto questo con un incontro in cui si dovrebbe parlare del voto sui consorzi di bonifica e stabilire l’iter delle variazioni di bilancio?». Anche la nuova mappa degli ospedali, che ieri la commissione Salute ha fatto capire di non digerire, è un grosso guaio. Che rischia di far restare la Regione nel tunnel del piano di rientro nazionale della sanità.

Mentre le agenzie continuano a rimbalzare le reciproche sputacchiate politiche fra Mpa e Dc, la vera ragione del mal di pancia diffuso in una parte del centrodestra siciliano si materializza quando Schifani prova a minimizzare gli effetti della crisi estiva: «Ci vuole un maggiore raccordo fra governo, gruppi e parlamentari della maggioranza». E, promettendo che sarà lui stesso a occuparsi «personalmente» di risolvere il problema, annuncia la formazione di «una sorta di cabina di regia». Ma come? Qualcuno, fra gli alleati più infervorati, gli chiede di «ripristinare la delega a un assessore che si occupi dei rapporti con l’Ars». Risposta: «Lo farò al momento giusto. Quando Luca Sammartino rientrerà in giunta, sarà lui a occuparsene». È la goccia che fra traboccare il vaso autonomista. Di Mauro urla, per la prima volta pubblicamente, quello che una parte di coalizione sussurra in privato da tempo: «Caro presidente, tu in questa maggioranza fai figli e figliastri. I figli sono due e si chiamano Cuffaro e Sammartino. Tutti gli altri sono figliastri, compresi quelli del tuo partito». Messaggio nemmeno troppo in codice: se Schifani vuole continuare ad affidarsi a quei due faccia pure, ma d’ora in poi l’aula se la faccia garantire da loro. Ad annuire, alle parole di Di Mauro, è il meloniano Giorgio Assenza. Che però non raccoglie la provocazione di Cuffaro e si limita ad assicurare che «il gruppo di FdI è compatto a sostegno del governo Schifani». Schivando la fatwa della Lega sui traditori: «Se c'è qualcuno contrario alle riforme strutturali è bene che lo manifesti in maniera chiara, assumendosi le conseguenze della scelta». Come dire (a Lombardo): se vuoi uscire dalla maggioranza, la porta è aperta.

Ma per Schifani c’è un altro fronte aperto. Quello del suo partito. E non è più soltanto una faccenda di franchi tiratori. Fra i momenti più concitati del vertice c’è l’alterco fra il governatore e il capogruppo forzista Stefano Pellegrino. Quest’ultimo sollecita ulteriori fondi ai Comuni, nella manovra estiva, per gli extracosti per il trasporto dei rifiuti all’estero e per il servizio degli Asacom. Schifani ribatte che «nelle variazioni ci sono 20 milioni per tutti i Comuni, concordati con Anci Sicilia», ma l’interlocutore insiste nel perorare la causa dei sindaci della Città metropolitana di Catania, capitanati da Roberto Barbagallo (Acireale) e Marco Corsaro (Misterbianco), vicini rispettivamente a Nicola D’Agostino e Marco Falcone. «Ma stai parlando a nome del gruppo?», l’imbufalita domanda di Schifani, che riceve risposta affermativa. Da un successivo giro di telefonate fra i deputati azzurri si evince che non è proprio così. E, soprattutto, si capisce che annullare la riunione del gruppo di Forza Italia all’Ars, inizialmente convocata per le 17, in fondo è la scelta giusta per evitare di farsi ancora del male. Vero è che i panni sporchi si lavano in famiglia, ma per ora meglio lasciarli in una cesta. In attesa di tempi migliori.

Schifani consegna il testo del ddl delle variazioni di bilancio da 350 milioni. E il consesso si chiude fra mugugni e facce scure. In una nota il capogruppo della Lega, Salvo Geraci definisce il vertice «utile e necessario» e auspica «un cammino senza rischi ulteriori nelle votazioni in Aula». Per chi era lì dentro, nel pomeriggio in cui la maggioranza sembra cadere a pezzi, sono parole scritte dalla luna.