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Attentato Iraq, figlio vittima strage Nassiriya: “E’ un dolore che si rinnova”

Di Redazione |

Palermo – “Il nuovo attentato in Iraq non può che riaprire una ferita, mai rimarginata”. Così Marco Intravaia, figlio del brigadiere Domenico, morto nella strage di Nassiriya, di cui oggi ricorre il sedicesimo anniversario. “Per me e la mia famiglia – ha detto Intravaia – è un dolore che si rinnova ogni volta che si verificano attentati contro i nostri militari o di incidenti che li vedono coinvolti. Ieri, appresa la terribile notizia dell’attacco che ha ferito nostri cinque militari in Iraq, abbiamo seguito con apprensione e tristezza l’evolversi della situazione, minuto per minuto. Il dolore oggi è molto grande. Ai militari feriti, alle loro famiglie e a tutti i loro colleghi va la nostra affettuosa vicinanza. Sentire di un nuovo attentato a Nassiriya, in concomitanza con il sedicesimo anniversario della strage del 2003, ci ha riportati indietro nel tempo, quando abbiamo appreso della morte di nostro padre”.

“Sono passati 16 anni da quando ci ha lasciati; anni terribili durante i quali io, mia sorella e mia madre abbiamo versato tante lacrime. Ci ha lasciati soli troppo presto, persi in un dolore immenso e costretti ad affrontare la vita nelle sue difficoltà quotidiane, ma lo abbiamo fatto con la schiena dritta, con dignità, sobrietà, con orgoglio, senza mai mostrare un attimo di cedimento e soffocando, almeno pubblicamente, il nostro dolore – dice- Ci manca il suo affetto, il suo amore di padre, la sua gioia e il suo sorriso. Ci ha insegnato ad amare la nostra Nazione e a rispettare le sue istituzioni, indipendentemente dagli uomini che le rappresentano. Ci ha insegnato che il dovere viene prima di tutto, che la Patria e la sua difesa va al di sopra di tutto. È stato un padre ed un marito meraviglioso, un vero e fedele servitore dello Stato, un modello esemplare di cittadino italiano. Ha combattuto il terrorismo islamico con coraggio. Resta per noi un grande uomo che, dinnanzi alla morte annunciata, con dedizione e coraggio ha onorato la divisa che indossava, donando, senza alcuna esitazione, il bene più grande: la sua vita. Tutto quello che è successo dopo – le verità nascoste, il tentativo di opporre il segreto di Stato (sventato all’ultimo momento avviando un procedimento legale), l’emergere delle responsabilità dei vertici militari non hanno sfilacciato l’amore, il mio amore, il nostro amore, per le istituzioni. Mi fa male sapere che nessuno li ha protetti, anche se sapevano tutti, compresi i servizi segreti, che a Nassiriya era arrivata un’ingente quantità di tritolo e che la base italiana sarebbe stata colpita di lì a poco. Ma le persone che non hanno fatto e non fanno il loro dovere non sono lo Stato. Mio padre è lo Stato. L’eredità più grande che mi ha lasciato? Da mio papà ho ereditato il senso della patria, della giustizia e dell’appartenenza alla mia terra”.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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