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“Accuse di massima gravità”, respinto patteggiamento per il “re” dell’eolico Nicastri

Di Redazione |

PALERMO – Le accuse sono di «massima gravità» e la pena non è congrua: con una durissima motivazione il gup di Palermo Walter Turturici ha respinto la richiesta di patteggiamento a 2 anni e 9 mesi presentata dal “re dell’eolico” Vito Nicastri, imprenditore vicino al boss latitante Matteo Messina Denaro, accusato di corruzione e intestazione fittizia di beni. La Procura di Palermo aveva dato parere favorevole al patteggiamento, anche alla luce della collaborazione di Nicastri nell’ambito dell’inchiesta sulle tangenti alla Regione siciliana per autorizzazioni relative a impianti per le energie alternative. 

Parla di «articolata e prolungata azione criminosa», di «corruzione di pubblici ufficiali inserti negli apparati amministrativi regionali», di infiltrazione nei gangli della pubblica amministrazione grazie ad appoggi politici e di asservimento dei pubblici funzionari agli indagati: più che un’ordinanza con cui si respinge una richiesta di patteggiamento, quella del gup di Palermo a carico di Vito e Manlio Nicastri, imprenditori alcamesi, pare una sentenza di condanna. Nel provvedimento con cui, nonostante il sì della Procura, il giudice ha bocciato la richiesta di patteggiare, rispettivamente, a 2 anni e 9 mesi e un anno e 10 mesi per corruzione e intestazione fittizia dei due Nicastri, il magistrato dà pesanti giudizi sulle condotte degli indagati. Parla di «sistema», di «gruppo Arata-Nicastri», riferendosi alla società occulta che Vito Nicastri, soprannominato «re dell’eolico» e vicino al boss Messina Denaro, aveva fatto con l’ex consulente della Lega Paolo Arata.

Il procedimento nasce da un’indagine su un giro di mazzette pagate dai due proprio per corrompere i funzionari regionali che avrebbero dovuto rilasciare autorizzazioni per la realizzazione di impianti di biometano. Il gup parla di «disvalore delle condotte realizzate», di “trame occulte», di «assoluta indifferenza degli indagati al rispetto della legge» e di «indiscutibile gravità e profondità dell’offesa rivolta ai beni giuridici tutelati». Per tutto questo le pene proposte nel patteggiamento sarebbero «inadeguate ad assicurare l’efficacia della risposta sanzionatoria a fronte di condotte di elevatissimo allarme sociale». COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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