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Antimafia Sicilia: “Fallimentare la gestione dei beni confiscati alla mafia”

Di Redazione |

PALERMO – «In questi anni l’applicazione della legge Rognoni-La Torre ha mostrato significative e preoccupanti battute d’arresto su tutto il territorio nazionale. Alla lungimiranza della norma s’è affiancata una prassi stanca e poco felice che ha progressivamente svuotato lo spirito profondo e positivo dell’intuizione legislativa. I numeri sono severi e raccontano d’una applicazione che si è molto concentrata sul momento repressivo (sequestro e poi confisca del bene all’organizzazione mafiosa), accettando – con una sorta di fatalistica rassegnazione – che la fase propositiva e propulsiva della legge – ovvero la restituzione di quei beni al Paese come ricchezza sociale collettiva – finisse travolta nell’improvvisazione delle istituzioni e nella farraginosità della burocrazia». E’ quanto si legge nella relazione dell’Antimafia siciliana sui beni a conclusione dell’indagine parlamentare sui beni sequestrati e confiscati alla criminalità mafiosa. L’istruttoria della commissione, presieduta da Claudio Fava, è durata circa otto mesi, con 51 sedute parlamentari e 71 audizioni. Dall’indagine, si legge nella relazione presentata in videoconferenza, «è emersa una volontà politica blanda, minore, quasi dimessa, che ha manifestato tutta la propria impotenza nel modo in cui per molti anni l’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati è stata considerata un ente minore di sottogoverno al quale destinare poca attenzione, poche risorse e poco impegno».

Per la commissione «è un bilancio che emerge plasticamente dai consuntivi sull’attività svolta (pur con alcuni miglioramenti, nel corso del tempo, della performance gestionale): un altissimo tasso di mortalità delle aziende confiscate; la perdita di centinaia di posti di lavoro; episodici i casi di beni proficuamente affidati agli enti locali o ai soggetti del terzo settore a fronte di centinaia di immobili abbandonati, vandalizzati o, peggio, del tutto dimenticati; decine di terreni, strutture agricole, ville e appartamenti che continuano ad essere impunemente utilizzati ed abitati da coloro ai quali furono confiscati (con un danno economico e d’immagine, per lo Stato, di incalcolabile gravità)». «Di questo bilancio – evidenzia l’Antimafia – la Sicilia è la sintesi più dolente. Perché è qui, nell’isola, che sono allocate la maggior parte delle aziende e dei beni immobili sottratti all’economia mafiosa. Ed è anzitutto qui, in Sicilia, che sul destino finale di questi beni (recupero o fallimento; rilancio o definivo sabotaggio) si gioca la partita più difficile».

«Le testimonianze raccolte, i dati analizzati, gli approfondimenti svolti da questa Commissione non lasciano dubbi: la disciplina sul sequestro e la confisca dei beni alle mafie pretende, subito, un investimento di volontà politica e di determinazione istituzionale che fino ad ora non c’è stato. La sensazione è che la norma, nella sua limpida astrattezza, abbia rappresentato l’alibi per troppi: siccome questo dice (o tace) la legge, dunque solo questo è ciò che ci compete fare! Ed anche quando il buon senso suggerirebbe altro, la norma è lì, implacabile, come una magnifica foglia di fico dietro la quale nascondere rassegnazioni, inerzie, formalismi e sciatterie. Il destino dell’Agenzia va ripensato. In punta di fatto, non solo di diritto». Queste ancora le conclusioni della relazione dell’Antimafia siciliana (191 pagine) sui beni sequestrati e confiscati alla criminalità mafiosa, presentata in videoconferenza dal relatore e presidente Claudio Fava. Per l’Antimafia «attendere concorsi che non si svolgono per completare la pianta organica (e nel frattempo, come ci è stato detto, riempirla con funzionari “comandati”, spesso solo per poter ottenere un trasferimento verso città più gradite) richiama precise responsabilità di governo (di tutti i governi!)». «Assumere la lotta alle mafie come priorità ma poi continuare a destinare all’Agenzia, che è il motore propulsivo di questa legge ed uno strumento fondamentale nella strategia di valorizzazione degli assets confiscati, pochi uomini, pochi mezzi, poche professionalità e poca attenzione è una scelta politica miope e incomprensibile – si legge nel documento approvato dalla Commissione parlamentare -. Ritenere che la guida dell’Agenzia debba essere sempre e solo demandata a un prefetto, rinunziando alla possibilità di trovare profili professionali più ritagliati sulle urgenze e gli obiettivi che la legge affida all’Anbsc, è una prassi politica inadeguata alle sfide in campo e peraltro contrasta con lo spirito della riforma del 2017 che ha innovato sul punto prevedendo la possibilità di nominare il direttore anche tra magistrati o dirigenti dell’Agenzia del demanio». 

“Sono stati abbandonati progetti importanti, tra cui quelli di creare una sinergia tra le aziende confiscate”, ha affermato Claudio Fava. La relazione ha visto un particolareggiato lavoro di ascolto che ha consentito non solo una ricognizione delle principali difficoltà nella concreta attuazione della legge Rognoni-La Torre ma, anche, di avanzare una serie di proposte in ambito regionale e nazionale. “Le aziende sono rimaste sole – aggiunge Fava -. Le imprese ci hanno raccontato situazioni ai limiti dell’incredibile, alcune hanno dovuto superare lo shock della confisca con difficoltà ad ottenere qualsiasi cosa”.  «Appare imprescindibile e urgente dotarsi di una legge regionale sui beni sequestrati e confiscati che individui strumenti di intervento della Regione siciliana sulla materia e fissi pratiche» e «che nel rispetto delle competenze statali e nei limiti dunque di quelle regionali, disciplini in maniera sistematica il ruolo della Regione introducendo nell’ordinamento regionale gli opportuni istituti e prevedendo misure strutturali e non estemporanee». E’ la proposta formulata dalla commissione Antimafia siciliana nella reazione sui beni sequestrati e confiscati approvata stamani all’unanimità. Oltre a ddl regionale, l’Antimafia proporrà anche una legge-voto da trasmettere alle Camere. Si legge nella relazione: «È inconcepibile che ville e casali confiscati definitivamente da lustri siano ancora nella disponibilità dei mafiosi ai quali erano stati tolti, in un imbarazzante rimpallo di responsabilità fra Agenzia, amministratori giudiziari, forze dell’ordine, enti locali e prefetture per attivare le procedure di legge al fine di sgomberare quei beni». «Abbiamo raccolto, nella denunzia di alcune volenterose associazioni, la storia di palazzine ed appartamenti confiscati e mai liberati da dieci o quindici anni – continua la Commissione regionale – È desolante vedere aziende chiudere, terreni agricoli marcire, edifici ridursi in macerie per un difetto di progetti, risorse, buon senso. Ogni bene confiscato e perduto è una vittoria per la mafia. Ma dircelo, o raccontarlo nei convegni, non è più sufficiente». COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA