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Turismo, la Regione “rottama” i Distretti ma arrivano i Dmo: ecco cosa cambia

Di Mario Barresi |

Cosa sono (stati) davvero i Distretti turistici in Sicilia non è dato saperlo. La Regione ha deciso: addio ai 16 distretti territoriali (316 comuni coinvolti) e i 9 tematici (167 centri interessati) e via libera a 7 Dmo, Destination managenent organization. Sei contenitori regionali per gestire altrettanti comparti (mare, enogastronomia, cultura, natura, congressuale) e uno territoriale per le isole minori.

Può piacere o non piacere. Ma politica, stavolta, ha fatto una scelta. Potrebbe essere un salto nel buio di matrice verticistica senza il coinvolgimento dei territori e degli operatori privati. O una legittima inversione di rotta per evitare la polverizzazione dell’offerta e creare finalmente, nel mercato turistico globale, un’unica “destinazione Sicilia”. Proviamo a descrivere le luci e le ombre del passato prossimo e del futuro imminente. Magari lasciando fuori lo scontro – infuocato e dunque per definizione fuorviante rispetto a un’analisi serena – fra i Distretti e l’assessore regionale al Turismo, Anthony Barbagallo.

I Distretti turistici siciliani – e questa è la prima colpa della politica regionale – sono nati con quella che i pediatri chiamerebbero macosomia fetale. Dopo una gestazione di sette anni (istituiti sulla carta nel 2005, ma riconosciuti nel 2012), hanno subito presentato delle deformazioni. Alla fine ce ne sono sin troppi e molti di questi sono, se non addirittura doppioni, sovrapponibili per territori o competenze. Perché dev’esserci un “Siracusa e Val di Noto” (territoriale) e anche un “Sud-Est” (tematico)? E come mai se c’è un “Taormina Etna” (ottima accoppiata) dev’esserci anche un “Il Mare dell’Etna”? È giusto dividere “Pescaturismo e cultura del mare” dai “Borghi marinari”? Qual è la forza sul mercato di un distretto sulla “Targa Florio” (4 comuni soci) o sulla “Venere di Morgantina” (6 enti interessati), slegati da tutto ciò che è attorno?

Non è soltanto un problema di nomi e di mappe geografiche. Ma di risultati. Nel report del dirigente generale del Dipartimento Turismo, Sergio Gelardi, citato dal Giornale di Sicilia, il giudizio è impietoso. Sui 25 distretti riconosciuti dalla Regione, circa una decina non ha prodotto alcun progetto, mentre su un plafond di 24 milioni di fondi europei ne sopo stati spesi circa 12 milioni per iniziative «autoreferenziali», «locali», che hanno «penalizzato l’Isola in termini di visibilità e di mancata sinergia nell’impiego delle risorse». Insomma: «Emerge l’oggettiva difficoltà dei distretti – è la sentenza della Regione – a decidere sullo sviluppo turistico, non agevolato da un’offerta basata su elementi esclusivamente locali, scarsamente competitiva sul mercato di riferimento e carica di punti di debolezza». Bocciatura, «salvo qualche caso sporadico» anche sulla capacità di autofinanziarsi, nonostante il coinvolgimento di migliaia di aziende private. I Descritto così, il sistema dei distretti sembra essere stato un disastro.

Ma i vertici degli enti territoriali non ci stanno. Il coordinamento dei distretti, nel replicare all’assessore (al quale chiedono le dimissioni), descrive alcuni elementi tecnici a cui nessuno, nella foga del botta e risposta, ha dato la dovuta importanza. A parte il costo zero (né gettoni, né indennità) della «stragrande maggioranza dei distretti» e la constatazione che «non sono nati come funghi spontanei», ma «sono stati valutati e certificati» dall’assessorato che ne ha «il controllo e monitoraggio con competenza esclusiva», c’è un’altra grande verità. Seppur in chiaroscuro. I tanto vituperati Distretti – o meglio: non tutti, ma quelli davvero operativi – hanno svolto una funzione di supplenza sul territorio. Dopo la chiusura delle Apt, il ridimensionamento delle Ast e l’agonia delle vecchie Province ora resuscitate, i distretti sono rimasti gli unici fortini turistici della Regione sul territorio. Con quale risultati? Il dirigente Gelardi mette nero su bianco che «emergono periodi di inattività prolungata, irregolarità nel funzionamento o nella gestione, difformità sostanziali delle attività realizzate rispetto al programma di sviluppo».

Ma i Distretti sottolineano invece alcuni risultati positivi. Come la fiction Rai Le donne di Camilleri” per il “ Valle dei Templi” o le fiere di Londra, Varsavia e Rimini per il Distretto “Antichi mestieri”. «Non abbiamo mai chiesto un centesimo alla Regione – dice Michelangelo Lo Monaco, presidente del Dam – e anzi abbiamo pagato per colmare molte lacune dell’assessorato». Il distretto ha ottenuto 1,5 milioni di fondi Ue, oltre che per le fiere, per «un progetto di alto profilo». Workshop, portale web, eventi promozionali, studio di marketing turistico, «coinvolgendo il meglio delle università siciliane». La Regione deve ancora accreditare al Distretto i soldi ricevuti dall’Europa.

«Noi andremo avanti come associazione privata – anticipa Lo Monaco – a prescindere dalla Regione. I privati ci sostengono, spero lo faranno anche i sindaci». Con quale soldi? «Ci autofinanzieremo con gli aggi delle transazioni del portale». Una sfida lanciata. Ma anche una questione di soldi. Già disponibili, per le Dmo, i primi 5 milioni del Po-Fers 2014/20. Sottratti ai Distretti. Da spendere entro il 2017.

Twitter: @MarioBarresi

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