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Berlusconi certo del successo alle Regionali: «Meno tasse, più opere»

Di Lillo Miceli |

Palermo – Ha scelto il giorno di Ognissanti, Silvio Berlusconi, per chiudere la campagna elettorale per il 5 novembre per l’elezione del presidente della Regione e per il rinnovo dell’Ars. L’appuntamento è per il pomeriggio al Teatro Politeama di Palermo. Berlusconi, dovrebbe arrivare nel capoluogo siciliano la sera del 31 ottobre e dovrebbe avere un incontro con il commissario regionale di Forza Italia, Gianfranco Miccichè, e il candidato alla presidenza del centrodestra, Nello Musumeci.

Presidente, grazie alla ritrovata compattezza, il centrodestra in Sicilia sembra lanciato verso la vittoria delle elezioni regionali del 5 novembre. Anche a livello nazionale, sommando i voti di Fi, Lega e Fdi, il centro-destra sarebbe la coalizione più forte con circa il 34% dei consensi. Ritiene davvero che si possa fare a meno di quelle forze politiche che si ispirano al Ppe e che in questa fase sono alleate con Renzi? E se la Lega si confermasse il primo partito, darebbe disco verde a Salvini?

«Il nostro obiettivo è vincere con un centrodestra basato sui valori liberali e cristiani, un centrodestra capace di parlare ai milioni di italiani delusi dalla politica, che non vanno più a votare o esprimono solo un voto di protesta. In Sicilia, in particolare, il loro numero è elevatissimo. Per vincere, dobbiamo far capire a queste persone che abbiamo un programma serio e fattivo, affidato a persone che hanno dimostrato nella vita professionale, nel lavoro, nell’impresa, nella cultura, nel volontariato, di saper realizzare risultati concreti. Aggregare parti del ceto politico che dal 2013 hanno permesso di vivere a tre governi di sinistra, non soltanto non serve a nulla, ma è del tutto fuori dalla nostra visione e disturberebbe i nostri elettori. Quanto alla guida del prossimo Governo, ovviamente spetterà al partito della coalizione che prende più voti. Sono certo che, come sempre nella storia del centrodestra italiano, quella forza politica saremo noi».

È vero che lei avrebbe preferito che candidato alla presidenza della Regione fosse Gaetano Armao e che, invece, Meloni e Salvini hanno imposto Nello Musumeci?

«Potevamo permetterci di scegliere fra due ottimi candidati possibili, Musumeci e Armao. Abbiamo ragionato insieme, come si fa tra alleati, e abbiamo trovato una formula che consentirà alla Sicilia di avvalersi delle grandi capacità di entrambi, Musumeci come presidente e Armao come vicepresidente e assessore all’Economia».La vigilia elettorale è stata animata dalle polemiche sui cosiddetti “impresentabili” che si anniderebbero nelle liste del centrodestra. Uno di questi, il sindaco di Priolo, è candidato di Forza Italia. Qual è la sua posizione?«La candidatura di Nello Musumeci alla Presidenza è di per sé una assoluta garanzia di correttezza e trasparenza. Non conosco nei dettagli la vicenda di Priolo, venuta alla luce dopo la presentazione delle candidature, e della quale quindi, ovviamente, non sapevamo nulla prima».

Con i referendum che si sono svolti domenica scorsa, Lombardia e Veneto battono cassa a Roma, rivendicando una maggiore quota dei tributi versati, pur essendo queste regioni tra le più ricche non solo d’Italia, ma anche dell’Europa. Non c’è il rischio che venga meno il principio della perequazione, teorizzato anche da don Luigi Sturzo, contrario allo Stato centralista?

«Quei referendum non sono contro il resto d’Italia, altrimenti non li avremmo mai appoggiati. Io credo che se Lombardia e Veneto camminano più velocemente, tutta l’Italia ne abbia da guadagnare. Credo anche, come Don Sturzo, nel principio di sussidiarietà: non faccia la mano pubblica ciò che può fare il privato, e nell’ambito del pubblico le decisioni vengano prese al livello più vicino possibile ai cittadini. Questo naturalmente vale per l’intera Italia, non solo per la Lombardia e il Veneto».La Sicilia è una Regione a Statuto speciale da ben 71 anni, ma è rimasta agli ultimi posti di tutte le classifiche, nonostante le su potenzialità nel turismo, nei beni culturali e nell’agroalimentare. L’industria di raffinazione del petrolio che ha dato migliaia di posti di lavoro, ha provocato solo devastazione ambientale. Gli investimenti, pubblici e privati, sono ridotti al lumicino. E non solo i giovani laureati e diplomati, ma intere famiglie hanno ripreso la via dell’emigrazione. Lombardia e Veneto che lamentano gli sprechi della Sicilia, hanno il vantaggio di essere nel cuore dell’Europa e di essere dotate di infrastrutture moderne.«Direi di più: dal 1861 sono passati più di 150 anni, ed esiste ancora una questione meridionale, una questione siciliana. Questo è il peggiore fallimento dello Stato italiano e delle politiche seguite fino ad oggi. Le distanze in 150 anni non si sono ridotte, anzi forse il solco si è allargato. Le classi dirigenti nazionali e locali hanno preso in giro la Sicilia e il Sud. Proprio per questo bisogna cambiare in modo radicale. Non sono certo i grillini a poterci riuscire».

La Sicilia viene spesso indicata come una Regione spendacciona e corrotta. Ma come la mettiamo con gli scandali della sanità che hanno investito in pieno il sistema lombardo o con le decine di miliardi utilizzati per salvare le banche venete, umbre, marchigiane, ecc.?

«Ho sempre considerato superficiali e contrari ai miei principi liberali i giudizi collettivi su un popolo o su una regione. È evidente che il malcostume, ma anche le persone perbene, esistono a Milano e a Firenze come a Palermo e a Catania. Deve però consentirmi di spendere una parola sulla sanità lombarda: se vi sono stati comportamenti illeciti lo chiarirà la magistratura – io rimango garantista fino alla fine – ma in ogni caso questo non cancella l’assoluta eccellenza, in Italia e in Europa, del modello Lombardia nella sanità».

Nel 2001, il suo governo fu l’artefice della cosiddetta “Legge Obiettivo” che avrebbe dovuto dare certezza di investimenti e di tempi di realizzazione delle infrastrutture strategiche in Italia. Però, in Sicilia, per costruire un’opera pubblica di un importo superiore ai 100 milioni di euro, dalla progettazione al collaudo, occorrono 14 anni e 6 mesi, come rivela un Rapporto del Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione economica. Di questo passo, al Nord saranno sempre più ricchi, nell’Isola saremo sempre più poveri.

«Posso solo ricordare che il mio governo completò la rete autostradale siciliana e creò infrastrutture come l’alta velocità ferroviaria che “accorciano” l’Italia con benefici anche per i siciliani. Aggiungo che abbiamo investito per il Mezzogiorno in proporzione più di ogni altro governo precedente, e inoltre – non è un dato economico ma fa bene anche all’economia – che abbiamo arrestato la gran parte dei più pericolosi latitanti affiliati alla mafia e alla camorra. Negli ultimi anni, invece, la Sinistra ha smesso di occuparsi del Sud, ma i problemi del Sud esistono sempre e sono drammatici. Per questo parlo di rivoluzione del fare: dobbiamo mettere la Sicilia e l’Italia in mano a persone che sappiano realizzare quello che promettono: una profonda e scientifica riorganizzazione nello Stato e in tutte le sue articolazioni, a cominciare dalla Sicilia. Non è credibile che questa riorganizzazione possano realizzarla i Cinque Stelle, che parlano di cambiamento senza contenuti e senza esperienza e che d’altronde in questi cinque anni hanno votato l’80% delle delibere della disastrosa giunta Crocetta».

I treni ad Alta velocità in Sicilia non potranno mai arrivare, senza il Ponte sullo Stretto di Messina. Dopo anni di boicottaggio, sembra che ci siano dei ripensamenti a livello governativo e la stessa Anas ha dato la propria disponibilità ad investire sul Ponte, soprattutto adesso che si va verso la costituzione di una società unica che accorpa Fs e Anas. Lei crede in questo ripensamento?

«Dopo aver gettato anni di lavoro preparatorio, ed essere arrivati al punto di pagare penali salatissime pur di bloccare la nostra iniziativa, che credibilità possono avere sul progetto del Ponte i governi della sinistra?»

Crede davvero che gli investitori nazionali ed esteri siano tenuti lontani dalla pervasiva presenza della mafia o, piuttosto, dalle lentezze della burocrazia che spesso sfociano in atti di vera e propria corruzione?

«Una cosa non esclude l’altra. Combattere la mafia è una priorità assoluta, ma la mafia non può essere un alibi per la paralisi. D’altronde è proprio la paralisi burocratica a favorire, con la corruzione, la presenza pervasiva delle mafie».

Presidente, comprendo sia difficile avere una ricetta per un paziente così grave, ma quale potrà essere la medicina per guarire la Sicilia dalla sua secolare arretratezza?

«La ricetta è una sola, e si chiama crescita. Si basa su due pilastri. Uno è quello fiscale: meno tasse significano più denaro per i consumi e per gli investimenti. Se i prodotti si vendono, e le aziende investono, si creano nuovi posti di lavoro; questo a sua volta favorisce i consumi, e così via in un circolo virtuoso che abbiamo chiamato “Equazione liberale dello sviluppo”. L’altro aspetto principale riguarda le infrastrutture. Questo è compito dello Stato. Se un prodotto, quando esce da un’azienda a Catania, deve affrontare tempi, costi e rischi incomparabili con quelli del prodotto concorrente fabbricato a Treviso, a Lione o a Monaco di Baviera, allora la sfida è già persa. Dunque, meno Stato per fisco e burocrazia, più Stato per infrastrutture e sicurezza».

Infine, che risultato si aspetta dal centrodestra riunificato in Sicilia e da Forza Italia, in particolare, il prossimo 5 novembre?

«L’unica previsione per il centrodestra è quella di vincere e – per Forza Italia – di essere il primo partito in Sicilia. Ci credo veramente».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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