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Caltagirone, la nobildonna senza un euro

Caltagirone, la nobildonna senza un euro Al voto con sei candidati e mille incognite

Dipendenti del Comune senza stipendio e voragine nei conti

Di Mario Barresi |

Caltagirone. «E se chiedessimo a Walter di candidarsi a sindaco? ». A un certo punto della scalata – la montagna è una Hua-Shan, sacra e terribile – qualcuno, nel think-thank calatino si mette in testa un’idea meravigliosa. Provare a coinvolgere Veltroni, che dalla corsa al Campidoglio s’è tirato fuori; ma che in Africa a salvare i bambini affamati, alla fine, non c’è mai andato. E neanche a Caltagirone verrà, l’ex simbolo di un Ulivo che non c’è più; pace all’anima sua. E dire che da queste parti, in quanto ad affamati da salvare, c’è materiale da vincere il Nobel per la pace. Non avrebbe trovato bambini, però, qui. Piuttosto: una signora dal sangue blu, con tutti i peggiori segni del tempo e dell’abbandono sulla pelle, caduta in disgrazia. Un’aristocratica – il blasone c’è, anche se lo stemma è impolverato perché il maggiordomo s’è licenziato – che fa la fila alla mensa dei poveri. Nobile e malata, orgogliosa e indebitata fino al collo.

La Caltagirone che s’affaccia alla primavera del voto – con il 5 giugno dietro l’angolo – è ancora dentro il tunnel di un commissariamento. «Di lacrime e sangue», dicono in piazza. E hanno ragione. Perché la cura è proporzionata al male. Il Comune non è in default come decine di altri in Sicilia. Di più: al dissesto finanziario (circa 50 milioni) al 31 dicembre 2011, dichiarato nel marzo 2013, s’è aggiunto lo squilibrio di bilancio. Quantificabile in altri 8,6 milioni di euro, anche se la cifra è ballerina. Sì, perché visto che l’ultimo documento finanziario disponibile era il consuntivo 2011, per altri quattro anni s’è amministrato in dodicesimi.

Basandosi su conti “virtuali”, visto che nel frattempo si andavano riducendo i trasferimenti di Stato e Regione. Una lenta emorragia invisibile. Soltanto nel 2015 sono 2,5 milioni: 1,5 di fondi in meno da Roma e 1 di prima rata del mutuo per ripianare i debiti, al netto della legge all’Ars che concede 560mila euro di “bonus” a Caltagirone. Allora, la vecchia nobildonna di cui sopra, dopo aver continuato a crogiolarsi fra sfarzosi festini e soliti lussi, un bel giorno si risvegliò con le pezze al sedere. E con un signore – dal sorriso beffardo, ma onesto – che entrava nel palazzo in frantumi senza bussare alla porta: Mario La Rocca. Il commissario straordinario, dirigente dell’assessorato ai Trasporti, designato dalla Regione per salvare il salvabile.

Lui ci sta provando, facendo la parte del cattivo. Guardando i numeri, molto meno le persone in faccia. «Ci sono 22 milioni di spese e 8 di entrate», ci dice allargando le braccia. Dunque? «Ho attuato dei rimedi dolorosi, ma necessari». Ovvero: azzerato gli assegni per gli indigenti, chiuso un asilo nido comunale, rinegoziato contratti di fornitura con un risparmio, ad esempio, di 588mila euro di bolletta Enel l’anno. Ma soprattutto ha toccato due nervi scoperti. I dipendenti comunali, innanzitutto. Congelando gli stipendi di 226 fissi e 110 precari (appena pagato il mese di dicembre 2015) e avviando il prepensionamento di 39 impiegati, con un taglio di spese, a regime, di 1,3 milioni nel 2017.

Il secondo intervento delicato è sui tributi locali. Con migliaia di cartelle, 8 milioni di euro fra avvisi e ingiunzioni, e i primi pignoramenti dietro l’angolo per ovviare a «clientelismo e scarsa capacità esattiva». Oltre che verifiche su immobili fantasma, perché «il mancato accatastamento in questa città è estremamente diffuso». S’è fatto molti nemici, La Rocca. Eppure lui non cerca consensi. E lo dice guardandoti dritto negli occhi: «Un sindaco, quello che sto facendo io, non l’avrebbe fatto. Perché vive di consenso. Ma io non devo sopravvivere a me stesso… ».

Gli piace, la nostra metafora della nobildonna decaduta e decadente: «L’eccessivo lignaggio – ammette – non consente a Caltagirone di avere la lucidità per guardare in faccia la realtà». Lo “sceriffo” La Rocca, però, alla fine di questa breve e interminabile primavera non ci sarà più. E, considerato il quadro complessivo (non solo i buchi di bilancio, ma anche: un turismo sempre approssimativo, una ceramica provincialotta che pretende di far venire i clienti in bottega anziché invadere il mercato col web, una zona industriale scheletro di se stessa, il commercio in ginocchio e persino lo stipendificio del pubblico in crisi), fra gli aspiranti sindaci dovrebbe esserci il fuggi-fuggi. Invece no.

Sono almeno sei – in attesa di scremature o di nomi dell’ultim’ora – i candidati già in pista. Con una griglia di partenza molto interessante. Oltre che alcuni movimenti, nel retroscena, che fanno di Caltagirone il test elettorale più importante a livello siciliano. Il Pd punta su un cavallo. Di razza e di ritorno. Franco Pignataro, già sindaco per due mandati fino al 2012. All’inizio non ne voleva sapere di candidarsi, ma poi – anche grazie al pressing del partito a livello nazionale – s’è convinto. Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare.

E dunque il “Pigna” (fratello di Giacomo, rettore dell’Università di Catania) ha sciolto la riserva. Anche perché da Roma – e questa sarà una carta da giocarsi in campagna elettorale, fra consensi e veleni – gli avrebbero sussurrato l’ipotesi di una legge “salva Caltagirone” per rimettere un po’ di conti a posto. A proposito di conti. Il Pd ne ha appena reso, dolorosamente, uno in famiglia.

Lo strappo di Fabio Roccuzzo (ex Pci-Pds-Ds), enfant prodige della sinistra calatina, già giovanissimo consigliere proviciale. Roccuzzo balla da solo. Già in pista con un movimento molto partecipato (Caltagirone Bene in Comune) ha platealmente rifiutato la proposta di primarie del centrosinistra, lanciata dagli “ambasciatori” di un Pd ancora senza un candidato forte, presentando per tutta risposta la lista degli assessori. È la spina nel fianco, anche perché – oltre che in Sel-Si e Megafono – pesca fra gli elettori del suo (ex) partito.

La stessa cosa che vorrebbe fare Gino Ioppolo, musumeciano doc, già due altre volte candidato e sconfitto (ma non da Pignataro), che – oltre a unire il centrodestra ad altre «istanze civiche» – strizza l’occhio ai moderati renziani dell’altro schieramento. Sarà anche una prova importante sul gradimento di #DiventeràBellissima, in prospettiva delle Regionale.

In mezzo ci sta Ncd, diviso fra scelte di coerenza e nostaglie di centrodestra. Ma frenato da una clausola ad excludendum posta dai potenziali alleati: «Con Pignataro non può stare chi non ha votato la sfiducia all’ex sindaco che ha portato la città sul lastrico». Cioè: gli alfaniani. Indigeribili e indigesti, a una parte del Pd, anche perché ritenuti troppo legati al “sistema Cara”.

L’incognita (ma con consensi in crescita) è il candidato dei 5Stelle: Giulio Sinatra, indicato dall’assemblea cittadina del movimento senza ricorrere alle “comunarie” sul meetup. E molto gradito a Francesco Cappello, deputato regionale grillino fra i più stimati da tutta l’Ars. Per ora gli altri outsiders sono due: Angelo Malannino (ex Dc e Ppi, già presidente del Caltagirone Calcio e della Confcommercio) e Gianfranco Cosentino, docente di religione ed espressione dei movimenti indipendentisti siciliani. Infine l’ultimo personaggio in cerca d’autore. Il sindaco sfiduciato, Nicola Bonanno. Additato come responsabile di tutti i mali di Caltagirone – compresi quelli di cui, onestamente, non ha colpa – ma pur sempre uno che ha stravinto le scorse elezioni. I suoi voti saranno pure “scomodi”, ma fanno gola. A tutti.

«L’ultima volta l’hanno visto a Grammichele mentre aspettava Salvini», ci aggiorna un informato analista politico. Aggiungendo con perfidia: «Non si sa se gliel’hanno fatto incontrare». Hic sunt leones…

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