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La scelta siciliana oltre la protesta

Di Antonello Piraneo |

Il voto di pancia sconvolge gli equilibri politici, travolge il renzismo, archivia il berlusconismo, boccia senza appello la suggestione di “Renzusconi” (due sconfitti non fanno neanche un mezzo vincitore), spaventa l’Europa, premia le forze maggiormente anti-sistema e urlatrici, consegna al Quirinale un rompicapo politico-istituzionale che soltanto la sapienza del capo dello Stato, Sergio Mattarella, riuscirà infine a risolvere, magari al secondo giro di consultazioni e affidando l’incarico di formare un governo a una figura terza rispetto a quelle che affollano i salotti tv.

Un voto, appunto, di pancia che si traduce in un fragoroso rutto di fantozziana memoria. Burp! Ora avanti gli altri. Un voto che segnatamente al Sud, segnatamente in Sicilia, è specchio fedele del recente rapporto Censis – “Italia rancorosa” – rivelatosi il più esatto dei sondaggi pre-elettorali: il rancore era la cifra finale del report statistico e questo stesso sentimento sta dietro l’onda gialla che ha portato il M5S a fare l’en plein al Mezzogiorno e spiega pure il successo della Lega fino a farne il traino del centrodestra, sfondando comodamente la soglia del 3 per cento nel profondo Sud.

Un rancore assolutamente trasversale. È, certo, quello dei giovani disoccupati, “sedotti” dalla prospettiva del reddito di cittadinanza. È quello degli agricoltori che vedono nell’Europa sostanzialmente un interlocutore cinico e ottuso, insensibile alle loro preoccupazioni per la concorrenza di prodotti extraeuropei. Ma è anche quello covato da una fetta di classe imprenditoriale, dirigente, borghese, stanca di burocrati arruffoni, incapaci – per non dire altro – lo stesso che infine trova sponda in una certa sinistra che non si riconosce in personalità divisive e comunque appartenenti a un mondo fa. Ancora, questo rancore è espresso da migliaia di siciliani qualunque, liberi da clientele e gabbie ideologiche, che fanno spallucce di fronte alla promessa, immancabile, del Ponte sullo Stretto, giacché non si riesce neanche a mettere la parola fine, per esempio, sul completamento della Catania- Ragusa.

Di fronte a percentuali bulgare, anche nelle sezioni dei quartieri bene delle nostre città, bisogna attentamente osservare, capire, interloquire. Intanto serve prendere atto che nel variegato esercito grillino che anche dalla Sicilia arriva a Roma accanto a figure improbabili e tardivi boy scout in gita ci sono professionisti, manager, imprenditori, giovani intraprendenti. E con loro bisogna sedersi al tavolo per un confronto laico sui programmi, ribadendo intanto che il Sud ha bisogno non di sussidi ma di stipendi, confidando che sappiano discernere il grano dall’oglio, come usa dire.

Analizzando gli andamenti elettorali tra una tornata e l’altra, emerge poi un’altra considerazione, sostanziale: soltanto nomi forti, autorevoli, di garanzia, riescono ad arginare il voto rancoroso. È accaduto alle Regionali con Nello Musumeci, in grado di intercettare anche voti spuri, potrebbe accadere alle Amministrative prossime venture, che fra tre mesi porteranno al voto, per restare in Sicilia, Catania, Messina, Ragusa e Siracusa.

Ma da qui si parte. Dall’ammissione che la propaganda non paga, che non è più tempo di nani e ballerini, che la stagione presuntuosa del “soltanto noi abbiamo una storia” è finita. Non serve spaventarsi, né avere pregiudizi. Piuttosto, adesso si lavori, possibilmente insieme, per recuperare il tempo perduto e le occasioni mancate.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA