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La Sicilia nell’era gialloverde? Nulla cambia, ma tutto sarà diverso

Di Mario Barresi |

CATANIA – E in Sicilia cosa cambia? Il primo effetto della crisi è un’altra crisi. D’ansia. Da urne. Per le decine di eletti nell’Isola il 4 marzo, tutt’altro che felici (e in queste ultime ore sollevati) all’idea di una campagna elettorale con pinne, fucile e occhiali.

Ma gli eventi, a Roma, si susseguono a ritmo così vertiginoso che quando i politici siciliani – non tutti e non sempre sul pezzo – arrivano a comprendere uno scenario, se n’è già aperto uno nuovo. Dal governo Conte al no del Quirinale, dall’aspra polarizzazione (pro e contro Mattarella) all’incarico a Cottarelli, dal voto a luglio al secondo “giro” grillo-leghista.

Nel caos istituzionale, le Amministrative in 137 comuni vengono fagocitate dalle dinamiche nazionali. Un antipasto dell’imminente voto-bis per le Politiche? Nel dubbio, il M5S prova a canalizzare la rabbia in consenso. Luigi Di Maio, a meno di altri “impegni” al Colle, sarà in Sicilia il 3 giugno, all’indomani della Festa (e della contro-festa) della Repubblica, con una tappa già confermata nel fortino grillino di Ragusa e poi anche a Catania. La Lega nei comuni c’è (e anche Matteo Salvini: annunciato sotto il Vulcano, lo stesso giorno del suo “gemello diverso”, magari con un patto dell’arancino 2.0), ma ancora non si vede. E il Pd prova a serrare le fine. Di qualche giorno fa l’appello alla «aggregazione delle forze del centrosinistra» del deputato regionale Anthony Barbagallo. Un primo effetto collaterale, fra il grottesco e il suggestivo, c’è già stato al sit-in per Mattarella a Palermo, con il “partigiano” Antonio Rubino e il faraoniano Carmelo Miceli come promotori. Un vero peccato che all’appello abbiano risposto pochi manifestanti.

Ma quella dei sindaci sarà una partitella. Perché i big siciliani, nell’era gialloverde, sono già avanti. E ora – magari conosciuta la data di scadenza della poltrona romana, con il connesso rebus delle candidature per le Europee – l’orizzonte si sposta alla Regione.

Può cambiare qualcosa negli equilibri a Palermo? Il centrodestra, ieri, ha fatto spogliatoio. Per la seconda volta in sei mesi, Nello Musumeci ha incontrato capigruppo e deputati della coalizione, alcuni dei quali non facevano mistero di sentirsi «ignorati». C’era anche Tony Rizzotto, unico leghista di Sala d’Ercole, che da brutto anatroccolo s’è trasformato – potenza dell’exploit di Salvini – in coccolatissimo interlocutore di tutti i capibastone del centrodestra. A maggior ragione dopo l’incontro di Musumeci con Stefano Candiani, senatore padano e commissario siculo, nel corso del quale è emerso il new deal del Carroccio nell’Isola: rottamazione dei vecchi vertici; porte chiuse ai trasformisti, compresi i 5-6 deputati regionali aspiranti neo-leghisti; una nuova classe dirigente senza “acchiappa-preferenze” ma con giovani pronti a cavalcare «il forte voto d’opinione di Matteo».

Musica per le orecchie di Musumeci, che – come ammesso a La Sicilia – sta lavorando all’upgrade di Diventerà Bellissima: sarà una “Cosa” di centrodestra, da federare a livello nazionale dopo «la scomposizione e ricomposizione» della coalizione. Il che, con gli ultimi equilibri ormai consolidati, significa un asse con la Lega, magari senza allontanarsi troppo da Fratelli d’Italia dopo l’accordo (reciprocamente deludente) alle ultime Politiche.

Ma se Musumeci flirta davvero con Salvini, può ancora permettersi il muro con il M5S? Il governatore ha espresso un timido tifo per il governo Conte, poi morto nella culla. Ma è ancora troppo poco. «Il vertice del centrodestra – commenta l’assessore Ruggero Razza – s’è svolto in un clima positivo: la coalizione è coesa e pronta a una stagione di riforme in cui coinvolgeremo tutta l’Ars».

Un appello non certo inedito, ma che può assumere un altro significato nel nuovo scenario. Perché- sia fra i musumeciani sia nel M5S – cresce la convinzione che «è l’ora di seppellire l’ascia di guerra». E smussare spigoli ormai più personali (fra il governatore e Giancarlo Cancelleri) che politici, a maggior ragione con il quadro nazionale. Il leader grillino di Sicilia ha evocato, in un’altra nostra intervista, «un foglio bianco su cui scrivere assieme 10 priorità per l’Isola», un «contratto» in stile Salvini-Di Maio, subito dopo aver attaccato Musumeci sul caso Montante. Carota e bastone, distanze immutate. E cioè ancora abissali. Ma le “colombe” continuano a parlarsi. Sempre più.

«Musumeci? Gli va riconosciuto un profilo istituzionale – ammette l’eurodeputato Ignazio Corrao – e con quattro anni e mezzo davanti il dialogo non sarebbe un tabù. E poi se noi vogliamo governare la Sicilia dal 2022 è meglio portarsi avanti col lavoro…». E allora qual è il problema? «Se in quel foglio noi scriviamo le nostre 5-6 priorità, quanto è davvero libero il governatore di affrontarle smarcandosi da uomini e metodi della sua coalizione?». Bella domanda.

Twitter: @MarioBarresi

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