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E Salvini annuncia un giro di vite su immigrati e Ong

Di Massimo Nesticò |

«Gli immigrati che campeggiano qui a pranzo e cena sono evidentemente troppi». Lasciando il Quirinale dopo aver giurato da ministro dell’Interno, Matteo Salvini ha messo subito in chiaro quale sarà la sua priorità al Viminale. E sul tema è pronto a battere i pugni sui tavoli europei, a cominciare dalla riunione dei ministri dell’Interno dell’Ue in programma il 5 giugno a Lussemburgo, dove «porteremo il no dell’Italia a modifiche peggiorative del regolamento di Dublino».

Un impegno, quello sul contrasto all’immigrazione clandestina, contenuto già nel contratto di governo firmato con Luigi Di Maio, dove si parla di «circa 500mila» irregolari in Italia e si giudica «indifferibile e prioritaria» una «seria ed efficace politica dei rimpatri». Il neo ministro ha poi sottolineato che «siamo stati votati per avere più sicurezza e su questo lavorerò per prima cosa, ho già diverse idee».

Si parte da numeri bassi: sono poco più di 6mila i rimpatri in media ogni anno. Il problema è che per rimandare a casa gli irregolari servono accordi con i Paesi di provenienza. L’Italia ne ha siglati con Tunisia, Egitto, Nigeria, Sudan e Gambia. Ma per aumentare l’efficacia delle intese servono più fondi. Salvini ha già un’idea di dove reperirli. «Vorrei – ha detto – dare una bella sforbiciata a quei 5 miliardi di euro» per l’accoglienza, «che mi sembrano un pò tantini». Su eventuali ripercussioni nei rapporti con la Chiesa non ha espresso preoccupazioni. «Con loro – ha osservato – ci sono molte più vicinanze che distanze perché l’accoglienza, nei limiti e nelle regole e nelle possibilità, penso sia interesse di tutti».

Sul fronte degli sbarchi i numeri sono in flessione per l’undicesimo mese consecutivo: nei primi cinque mesi dell’anno sono arrivati 13.430 stranieri, il 78% in meno dello stesso periodo del 2017. Effetto della strategia avviata da Marco Minniti, che ha accresciuto il supporto – finanziario e con mezzi ed addestramento – alle autorità libiche in cambio del loro impegno a frenare le partenze. Ma la situazione in Libia è sempre precaria ed il nuovo ministro dovrà guadagnarsi la fiducia degli interlocutori dall’altra sponda del Mediterraneo, dove Minniti praticamente era di casa. Un’interruzione degli stanziamenti potrebbe determinare con l’estate un aumento degli sbarchi. «Prima devo studiare», ha commentato cautamente oggi sul tema.

Interventi sono annunciati sul sistema di accoglienza, che attualmente ospita 167mila migranti. L’obiettivo fissato nel Contratto è un Centro di permanenza per il rimpatrio in ogni regione. Cosa peraltro prevista dal decreto Minniti dello scorso anno: ma ad ora sono soltanto 5 attivi (Torino, Roma, Bari, Brindisi, Caltanissetta), per poche centinaia di posti rispetto ai complessivi 1.600 previsti a regime. Altre strutture sono state individuate (da Iglesias a Bologna, da Potenza a Santa Maria Capua Vetere), ma non avviate. Due Regioni, Toscana e Veneto (guidata dal leghista Luca Zaia), hanno detto no ai Cpr. In agenda anche l’allungamento – dagli attuali 90 giorni a 18 mesi – del tempo massimo di permanenza nei centri, come ai tempi del precedente ministro dell’Interno del Carroccio, Roberto Maroni. Tempi duri si annunciano per le Ong attive nei soccorsi nel Mediterraneo, dopo il giro di vite imposto lo scorso anno da Minniti con il Codice di condotta. Sia Lega che M5s hanno più volte criticato i «taxi del mare» per i loro interventi.

Altro tema sul quale il titolare del Viminale batterà – come già fece il suo predecessore Maroni – è quello del riutilizzo dei beni confiscati alle mafie. «Se lo Stato riuscirà a gestirli sempre meglio, garantendo posti di lavoro – ha sottolineato – qualcuno si renderà conto che sicuramente è sempre meglio lo Stato della mafia». Seduto alla sua nuova scrivania al Viminale, il ministro ha però rassicurato che per il momento non farà ricorso alla ruspa. «Arrivo qui in punta di piedi, non con la ramazza. C’è una macchina che funziona e cercherò di renderla migliore» ha sottolineato incontrando i giornalisti ed elencando un altro dei problemi sul tavolo, i 3.500 poliziotti che ogni anno vanno in pensione e vengono sostituiti solo in minima parte. «O si lavora per rinfoltire e ringiovanire gli organici, o tra 15 anni ci sarà un problema».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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