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Dalla seppia all’arancino, il potere è servito: in Sicilia è tutto un magna-magna

Di Mario Barresi |

CATANIA – L’ultimo è il “patto del tonno”, siglato fra Nello Musumeci e Matteo Salvini in un ristorante a Pozzallo. A novembre scorso, in piena campagna elettorale per le Regionali che poi hanno visto la vittoria del leader di Diventerà bellissima, a Catania venne sancito il cosiddetto patto dell’arancino, che vide seduti alla stessa tavola Salvini, Berlusconi e Meloni per dare l’appoggio unitario a Musumeci e lanciare quella coalizione che ha permesso al centrodestra di raggiungere il 37% alle elezioni politiche.

Raccontano alla Trattoria del Cavaliere – non nel senso di proprietà del Cav, ma di nome del locale – che l’oggetto del desiderio era ripieno di ricotta. Un insulto ai puristi del genere, al di là delle dispute da accademici della Crusca (fritta): esiste solo quello al sugo. Non era nel menu, l’arancino: l’ha ordinato Berlusconi, che doveva mangiare soltanto cernia all’acqua pazza. L’ha voluto per voracità politica, gli altri commensali l’hanno mangiato con altrettanta golosità. Ma sul patto di governo fra i leader del centrodestra c’è chi non è d’accordo. Salvini, accomodatosi «solo per un caffè», alla fine gli arancini li ha mangiati. E non soltanto. «Si calau ‘na cona», rivelano maliziose fonti etnee del centrodestra.

Quella delle scelte politiche dei potenti attovagliati è una letteratura molto ricca. Breve bibliografia nazionale. Giusto per restare in epoca post-berlusconiana (visto che il tempo, dopo le convention siciliane sembra essersi fermato) partiamo dal 1994. Cadde proprio il primo governo Berlusconi per effetto del “patto della sardina”, austero pasto offerto a dicembre da Bossi, nella sua casa romana, a D’Alema e Buttiglione. Quest’ultimi, a luglio, s’erano già messi d’accordo nel “patto delle vongole”, sul lungomare di Gallipoli. Ma il classico più moderno resta il “patto della crostata”. Dolce fatto in casa da Maddalena Letta, moglie di Gianni, nella casa della Camilluccia, a Roma, e servito a D’Alema, Marini, Fini e Berlusconi. Sancendo così l’accordo di non belligeranza tra centrosinistra e centrodestra. Si arriva al giorno d’oggi, passando per il “patto della spigola” (due versioni: una Fini-D’Alema per annusarsi su eventuali intese; una Berlusconi-Fini, che in realtà trangugiarono carciofi, prodromo della rottura) si arriva alla torta vegana con cui Di Maio ha festeggiato il trentesimo compleanno in un barcone sul Tevere.

In Sicilia, su questo frivolo genere giornalistico politico-gastronomico della Seconda Repubblica, è tutto un magna-magna. Nel senso che il menu degli accordi è ricco di suggestioni. Oltre che di pietanze da leccarsi i baffi. A proposito: il più importante della storia recente – ci scuseranno i più storici esegeti della materia – è proprio fra Baffino e Don Raffaele. A novembre 2009, la cena fra D’Alema (recidivo anche in Sicilia) e Lombardo sancì il “patto dell’orata” che darà vita all’appoggio del Pd al governo del presidente autonomista. «Non ci fu alcun patto, né mi ricordo dell’orata», avrebbe detto qualche anno dopo l’ex leader del Mpa. Ma dal ristorante all’Ars il passo fu breve.

E poco dopo, nel gennaio 2010, Lombardo rafforzò l’accordo con il Pd grazie a un’altra tavolata. Una “scommessa” persa, che Francantonio Genovese onorò invitando Raffaele a cena nella villa sul promontorio fra il lago di Ganzirri e Punta Faro. Menu affidato alla signora Maria, piatto forte il pesce stocco ‘a ghiotta alla messinese. Fra i commensali, Giovanni Pistorio e tutti i dem più predisposti all’alleanza, prima ancora che alla buona tavola.

Un altro esperto di delicatissime trattative à la carte è Gianfranco Micciché. L’attuale leader siciliano di Forza Italia, potente allora come ora, è rinomato trasversalmente per le indimenticabili cene nella sua villa di Sant’Ambrogio. Dove, in pratica, s’è decisa la politica siciliana dell’ultimo quarto di secolo. E dunque fece impressione quello scatto malizioso, distribuito da qualche nemico, che immortalava Micciché al ristorante a Santo Stefano di Camastra assieme a Crocetta, nel febbraio 2017. «Nuovo accordo per l’Ars e per le Regionali?», si eccitarono i retroscenisti. Ma era fuffa. O magari un patto poi sfumato.

Il pasto non fu consumato (ma il patto, forse, sì) nel recente Totò-party, sempre a febbraio di quest’anno. Una «bicchierata improvvisata fra amici», la definirono i presenti che brindarono ai 59 anni di Cuffaro, all’hotel romano “Del Senato”, a due passi dal Pantheon. Fra i presenti l’ex rettore di Palermo, Roberto Lagalla e Saverio Romano. Poi, casualmente, azionisti assieme a Lombardo della lista oggi in lizza alle Regionali.

Ma il masterchef della politica siciliana, di ieri e di oggi, è Totò Cardinale. Tralasciando l’epoca democristiana, il patron di Sicilia Futura, cuciniere del Pd renziano nell’Isola, ha deciso quasi sempre al tavolo. Del “Baretto” di viale XX Settembre a Palermo e delle “Antiche Mura” di Mondello, dove, ad esempio, si celebrò una delle tante flebili paci fra Crocetta e Faraone. Ma il must dell’ex ministro resta la “Cardinalda” al pranzo offerto nella sua tenuta di Mussomeli. Una foto senza bisogno di didascalia, quella di Totò col ministro Alfano mentre viene servita la porchetta, davanti agli estasiati Crocetta e Raciti. Ma Cardinale è anche il deus ex machina del “patto della seppia”, scovato dal nostro giornale in una saletta appartata di “Rinaldi al Quirinale”, ad aprile scorso. Lo stato maggiore del Pd renziano e di Sicilia Futura, con Matteo Renzi e Luca Lotti ospiti d’onore. Trofie con scorfano e pomodorini, ma soprattutto seppia saltata con dei croccanti carciofi. Per fare spogliatoio verso le primarie, per guarire finalmente la “sindrome del brutto anatroccolo” dei cardinalizi, per creare un asse contro il resto del Pd convitato di pietra. Per pre-dessert, prima dei “fruttini” gelato, gli sfoghi di Renzi e Lotti contro Alfano, che, dopo aver letto il giornale, minacciò la crisi di governo.

Letteratura. Prima che arrivasse il “patto dell’arancino”. Che, se non l’accordo di governo nazionale, ha fotografato l’unità del centrodestra su Nello Musumeci. Il quale, da galantuomo, ha aspettato due ore i capricci tattici di Berlusconi, Salvini e Meloni. Chiacchiarando con il puntualissimo Lorenzo Cesa. Proprio nella putìa dove Nello, giovane missino, si rifugiava dopo le scazzottate con i comunisti. Trovando proprio gli odiati rossi. Con i quali faceva pace, fra una polpetta di cavallo e un bicchiere di rosso sfuso. Qualche decennio dopo, Nello s’è ritrovato nella stesso posto. Diversa la gestione, non ci sono più i comunisti. Con lui gli alleati. E gli amici. O quasi.

Twitter: @MarioBarresi

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