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Micciché e il “caso” del doppio ruolo. Lui: «Una gita a Bruxelles e lascio». Ma Cancelleri: «Ti arraffi altri soldi»

Di Mario Barresi |

CATANIA –  C’è un “fantasma” che si aggira – guascone, eppure silenzioso – fra i corridoi mittleuropei. Il suo volto è ancora misterioso, ma si conoscono il nome e le generalità: Giovanni Miccichè, nato Palermo il 1º aprile 1954.

Ma non è un pesce d’aprile. È tutto vero.

La Sicilia ha un nuovo eurodeputato. La notizia, pur non annunciata da alcun comunicato stampa, campeggia da ieri sul sito dell’Europarlamento: la new entry, che ancora non ha fornito la foto ufficiale d’ordinanza, è appunto Giovanni Miccichè. Detto (e conosciuto come) Gianfranco. Incidentalmente, è anche il presidente dell’Ars.

Dal 19 luglio il leader forzista di Sicilia è anche “virtualmente” fra gli scranni di Bruxelles. Ha pure indicato la collocazione: Forza Italia, all’interno del gruppo del Ppe.

Il che, detto così, sembra la beffarda vittoria finale nella guerra contro il M5S taglia-indennità. Uno Zeitgeist ribaltato, in tempi di populismo e di antipolitica. Miccichè – il difensore supremo della casta, il patrono laico dei vitalizi –  che si toglie lo sfizio di buggerare i grillini; accaparrandosi non una, ma ben due indennità.

Ma non è proprio così. Anche se lo strano caso del doppio ruolo euro-regionale di Miccichè ha più di un retroscena che va raccontato. Tutto comincia dopo l’elezione di Salvo Pogliese, il 10 giugno scorso. Come annunciato in campagna elettorale, il neo-sindaco di Catania lascia il seggio di europarlamentare di Forza Italia. Al grido di «scelgo la mia città», pur potendo aspettare sei mesi per esercitare l’opzione fra due cariche incompatibili, Pogliese rompe quasi subito gli indugi. E il 14 luglio, poco dopo l’insediamento ufficiale a Palazzo degli Elefanti, vola a Bruxelles per l’ultima volta. Si dimette. Atto formalizzato, il 14 luglio, anche all’Ufficio centrale presso la Corte di Cassazione, che ha competenza diretta sugli eletti italiani. Pogliese, per conoscenza, invia una nota ufficiale, con allegate le sue dimissioni, alla Presidenza dell’Ars. E fra un po’ si capirà il perché.

Il primo dei non eletti è proprio Miccichè, superato da Pogliese e da Salvatore Cicu (sardo nato a Palermo), in una campagna elettorale – quella delle Europee 2014 – che l’entourage del presidente dell’Ars ricorda come un «tutti contro Gianfranco, una lunga catena di tradimenti»». Ma sono passati quattro anni e l’ex ministro s’è ripreso il partito in Sicilia, facendo vincere il pur mal sopportato Nello Musumeci e arrivando lui stesso a presiedere di nuovo l’Ars.

Insomma, sono altri tempi. Scanditi anche da quello che fonti forziste definiscono «un patto d’onore». Ovvero: Pogliese accelera ancora di più sull’addio all’Europarlamento e Miccichè s’impegna a rinunciare «lo stesso giorno delle dimissioni» a subentragli. Anche per favorire chi, nella lista dei non eletti, viene subito dopo di lui: l’ibleo Innocenzo Leontini, più volte deputato e assessore regionale, oggi fuori da ogni poltrona. Un riconoscimento a un berlusconiano della prima ora, seppur macchiatosi di un breve flirt cuffariano, e in ultimo vicino a Raffaele Lombardo, ma anche – dicono nel partito – una sorta di “aiuto umanitario” per alleviare le sofferenze economiche di Leontini, colpito dalla recente condanna della Corte dei conti per le spese pazze all’Ars e già destinatario di una pena contabile (all’inizio monstre, poi con sconto finale) per le assunzioni illegittime al 118 disposte nell’era Cuffaro.

Ma il 14 luglio, informalmente avvisati dell’arrivo di una Pec da Palermo, gli uffici della Cassazione non ricevono nulla. E dal 19 luglio, per la burocrazia di Roma e di Bruxelles, Miccichè è un europarlamentare a tutti gli effetti. Il silenzio dura fino al 20 agosto, termine entro cui avrebbe potuto comunicare il doppio ruolo e la relativa opzione. E ora? Leontini scalpita, dopo essere stato pomposamente incoronato dal commissario ragusano, il deputato Nino Minardo, che, oltre a rivelare di aver chiamato il neo-eurodeputato «a Bruxelles, dove sta ultimando gli adempimenti necessari per l’ufficializzazione della carica», il giorno stesso delle dimissioni di Pogliese commentò: «Sono certo che Innocenzo, grazie alla sua autorevolezza, la passione politica e lo spirito di servizio, che da sempre lo hanno contraddistinto, rappresenterà il nostro territorio in Europa con vigore e determinazione». Magari sarà proprio così. Ma ancora no, bisogna aspettare in panchina. Leontini, che descrivono come alquanto imbufalito, non parla.

Nessun commento ufficiale da Pogliese, che si limita a sibilare: «Ognuno ha il proprio stile e la propria dignità». E scusate se è poco.

Gianfranco, perché lo fai? I maligni sostengono che la scelta (o meglio: la non scelta, ma è lo stesso) di Miccichè sia legata alla possibilità di “galleggiare” qualche mese nel doppio ruolo per avere la doppia indennità. Ma, per il divieto di cumulo, il presidente dell’Ars non riceverà lo stipendio di oltre 11mila euro da Bruxelles. Eppure, dal 19 luglio a quando si dimetterà (il 10 settembre è la prima data utile, con la seduta plenaria a Strasburgo) Miccichè ha il diritto di incassare una parte del cosiddetto “Amount of compensation”, un fisso forfettario di quasi 4.500 euro al mese per spese di segreteria.

E avrebbe davvero fatto tutto ciò per questo motivo? I nemici dicono di sì. Ma chi lo conosce bene, il viceré berlusconiano di Sicilia, sostiene che quelle somme aggiuntive, semmai, «saranno devolute in beneficenza». E che in fondo, questa storia è tutta una «questione di principio». Che poi fa rima con vendetta. Per quelle elezioni europee perse per colpa dei «traditori». E magari un po’, col ghigno delle grandi occasioni, per sfottere i nemici pentastellati. Come dire: voi volete tagliare l’indennità e io, con un magheggio, me ne prendo un’altra. O quasi. Sempre per una «questione di principio», s’intende.

Twitter: @MarioBarresi

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