Ponte, nella Manovra le “clausole capestro” che inchiodano la Regione siciliana
Se la Sicilia non finanzia l’opera, a rischio l’accordo Fsc con Fitto da 6,6 miliardi. E i 9,3 miliardi di fondi dello Stato con il “torna indietro”
Superata la bufera politica, col centrodestra che s’è affrettato a derubricare come «equivoco» o «errore di comunicazione» l’alta tensione fra il presidente della Regione Siciliana (che aveva persino evocato l’apertura di «un conflitto istituzionale») e il governo nazionale sulle risorse sottratte alla quota siciliana del Fondo sviluppo e coesione per finanziare il Ponte, sull’argomento è calato il silenzio. Come se lo «scippo» di 1,3 miliardi di risorse regionali, denunciato dalle opposizioni, fosse ormai un dato assodato.
E così, complice il diffuso illanguidimento della pausa natalizia, nessuno s’è preso la briga di leggere come il cosiddetto «quarto emendamento» della maggioranza di centrodestra sia entrato nel testo finale della manovra esitato dal Senato e trasmesso a Montecitorio per l’approvazione, blindata dal voto di fiducia, il 29 dicembre. Se qualcuno avesse fatto questa verifica, infatti, si sarebbe accorto che nella futura legge di stabilità nazionale c’è una sorta di “clausola capestro” a carico delle Regioni alle due sponde dello Stretto: se, da qui in poi, Sicilia e Calabria vorranno ripartire le risorse del Fsc, al netto delle “fiches” da puntare sul Ponte, dovranno accettare - nell’accordo di coesione con il ministro Raffaele Fitto - di controfirmare la ratifica di tutti i soldi dell’Ue stanziati da Roma per l’opera. Destinati, conti alla mano, a diventare più dei 1,3 miliardi di cui s’è parlato. Perché lo Stato intende recuperare da «altre fonti».
Le cifre
Riordiniamo le idee. E soprattutto le cifre, piuttosto ballerine nelle ultime settimane. La manovra del governo di Giorgia Meloni autorizza, al comma 272 del mega-articolo 1 approvato a Palazzo Madama, la «spesa complessiva» di oltre 9,3 miliardi di euro, ridotta rispetto agli 11,6 inizialmente previsti. La scansione pluriennale: 607 milioni per il 2024; 885 milioni per il 2025; 1,15 miliardi per il 2026; 440 milioni per il 2027; 1,38 miliardi per il 2028; 1,7 miliardi per il 2029; 1,43 miliardi per il 2030; 1,46 miliardi per il 2031; fino ad arrivare a 260 milioni nel 2032. Sono risorse previste «al fine di consentire l’approvazione» del Cipess (il vecchio caro Cipe, che dopo mezzo secolo, sopravvissuto anche a chi, come ad esempio Matteo Renzi, voleva sopprimerlo, ha dato una rinfrescata al nome: dal 2021 si chiama Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile), «entro l’anno 2024», del «progetto di collegamento stabile tra la Sicilia e la Calabria». Il Ponte sullo Stretto, appunto.
Certo, il governo mette sul piatto 9.312 milioni. Ma, badate bene, «nelle more dell’individuazione di fonti di finanziamento atte a ridurre l’onere a carico del bilancio dello Stato». Quindi: a Roma sono previsti i fondi per ottenere il via libera dal Cipess (afferente al Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica di Palazzo Chigi, dunque sotto il diretto controllo di Meloni), ma si sa già che bisogna cercarne altri per pesare meno sulle casse del Belpaese.
Un meccanismo di “deresponsabilizzazione finanziaria” peraltro messo nero su bianco dal comma 275 del primo articolo-fiume della stessa finanziaria: entro il 30 giugno di ogni anno, «e fino all’entrata in esercizio dell’opera», il ministero dei Trasporti deve presentare «un’informativa» al Cipess «sulle iniziative intraprese» per il « reperimento di ulteriori risorse a copertura dei costi di realizzazione dell’opera». E sarà lo stesso Cipess, su proposta del Mit e di concerto col Mef, ad attestare «la sussistenza delle ulteriori risorse», determinando quindi «la corrispondente riduzione in via prioritaria» dei 9,3 miliardi “virtuali” per il Ponte.
Il prelievo dal Fsc
Le fonti di spese già certe, invece, sono quelle legate al prelievo dal Fsc, soldi dell’Ue più cofinanziamento nazionale. Una prima quota, la più sostanziosa, è rappresentata da 1,6 miliardi ottenuti «mediante corrispondente riduzione», nella programmazione 2021/27 del Fondo, «imputata - come stabilisce il comma 274 alla lettera b) della manovra giunta alla Camera - sulle risorse indicate per la Regione siciliana e la regione Calabria» nella delibera Cipess 25/2023. E si conosce già l’entità del “prelievo forzoso” sulle due Regioni che dovranno essere unite dal Ponte: 103 milioni di euro per il 2024; 100 milioni sia nel 2025 sia nel 2026; 940 milioni nel 2027 e 357 milioni nel 2028.
Ma dallo stesso paniere devono venire fuori altri 718 milioni (e dunque l’investimento sale a oltre 2,3 miliardi) perché lo stesso ddl della finanziaria prevede un’altra «riduzione delle risorse» del Fsc, ma «imputata sulla quota afferente alle Amministrazioni centrali»: 70 milioni per il 2024; 50 milioni nel 2025 e anche nel 2026; 400 milioni per il 2027 e 148 milioni per il 2028. Così, infatti, prevede, lo stesso comma 273 alla lettera a). Il che, nei fatti, non significa che si tratta di risorse nazionali “pure” messe a disposizione del Ponte. Innanzitutto perché la distribuzione iniziale del Fondo prevede l’80% al Sud e il 20% al Nord, e poi, come si apprende da rumors romani molto diffusi, anche i 718 milioni potrebbero comunque arrivare da tagli al parco progetti di Calabria e soprattutto Sicilia. A partire magari dai 4,6 miliardi destinati a 41 «interventi-bandiera» e 164 «interventi locali». Nello stesso plafond, autorizzati dalla delibera Cipess 1/2021, ci sono anche i 408 milioni per il raddoppio ferroviario della Messina-Catania-Palermo.
Il capolavoro
Il vero capolavoro, però, arriva con il successivo comma 274, laddove si legge che «gli accordi per la coesione da definire fra la Regione siciliana e la regione Calabria col Ministero per gli affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il Pnrr» (cioè: il meloniano Fitto), «danno evidenza delle risorse annuali destinate alla realizzazione dell’intervento» (cioè: il Ponte) «a concorrenza integrale degli importi annuali individuati» (cioè: i 1.600 milioni di Fsc).
Tradotto dalla lingua del burocratese con chiare influenze del dialetto del manovrese: gli unici soldi certi impegnati per il Ponte sono quelli tratti dal Fsc di Sicilia e Calabria; semmai qualche governatore ribelle volesse rimetterli in discussione, sappia che il forziere dei soldi della coesione destinati alle Regioni - il 43% dei 75,3 miliardi stabiliti come disponibilità per l’Italia nel ciclo di programmazione 2021/27 tra risorse europee e cofinanziamento nazionale - lo detiene comunque Fitto. Che potrà, ad esempio, decidere sui soldi destinati alla Sicilia. Già teoricamente scesi da 6.625,4 milioni (6.862,5 milioni meno i 237,1 di anticipazione) a 5,5 miliardi per effetto del contributo al Ponte.
Nel clima di distrazione generale, però, la trappola è stata avvistata da Giorgio Santilli. che sul Foglio ha definito quella sul Ponte «la prima puntata» della partita sui fondi Ue e «il ministro l’ha vinta pienamente»: dopo aver sfruttato il Pnrr per «prendersi pieni poteri sulla programmazione dei 32,4 miliardi ancora in attesa di destinazione». E l’uso del Fsc è la «vera vittoria» di Fitto che «si annette un’altra costola».
Così il Ponte, riconosciuto da tutti come il cavallo di battaglia di Matteo Salvini verso le Europee, è diventato il cavallo di Troia di Fratelli d’Italia per legittimare un’operazione politica in corso da tempo: centralizzare la gestione dei fondi Ue, dopo lo smantellamento dell’Agenzia nazionale della Coesione, con Fitto che tratterà importo e contenuto della “lista della spesa” faccia a faccia con ogni singolo governatore. Ne avevamo accennato, su La Sicilia, in un’analisi “alternativa” nei giorni dello scontro Schifani-Salvini. Ma adesso, testo della manovra alla mano, sembra uno scenario ancor più verosimile.