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Il Buono, il Brutto, il Cattivo: i ruoli (e le ambizioni) del “triello” catanese di Renato Schifani

Marco Falcone, Gaetano Galvagno e Luca Sammartino decisivi nelle trattative. con l'opposizione per l'approvazione della Finanziaria. Ed è già quiz: “Chi vuol essere presidente?”

Mario Barresi

10 Gennaio 2024, 15:46

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Il Buono, il Brutto, il Cattivo. In ordine sparso: fate voi. Sembra di sentire le note di Morricone. E loro, in un “triello” messicano di leoniana memoria, che si tengono sotto tiro a vicenda giacché nessuno possa attaccare un avversario senza essere a propria volta sparato.

Ma alla fine, sul podio, ci sono tutt’e tre: Marco Falcone, Gaetano Galvagno e Luca Sammartino (in rigoroso ordine di apparizione, da sinistra, nel selfie gentilmente concesso a La Sicilia) personificano il ribaltamento di un luogo comune. Sì, perché all’Ars non è vero che gli assenti hanno sempre torto. Renato Schifani (in aula solo per pochi minuti e, annota viscido Cateno De Luca, «non citato da nessuno, dico nessuno, nei ringraziamenti finali») stavolta invece ha avuto ragione. Perché il tridente del governatore, che avevamo scherzosamente ribattezzato “Ga-Sa-Fa”, a risultato acquisito s’è rivelato vincente.

Tutti uniti per il risultato

Il presidente dell’Ars, il vicepresidente della Regione con delega ai rapporti col parlamento e l’assessore all’Economia: ognuno, con le sue competenze e caratteristiche. Ma tutti uniti per il risultato. Almeno dal secondo tempo in poi, visto che nel centrodestra c’è chi maligna che Sammartino e Galvagno abbiano cominciato a giocare davvero soltanto dopo che Falcone, interdetto nella sua ostinata idea di approvare tutto entro il 31 dicembre, non avrebbe più potuto attribuirsi tutto il merito della finanziaria-lampo.

Ma «partita finisce quando arbitro fischia», diceva il saggio Vujadin Boškov. Quando, poco dopo le nove, arriva il sigillo finale sulla «finanziaria dei record», è Schifani, più in versione “bizona” alla Oronzo Canà, a sollevare la coppa. Seppur non a Sala d’Ercole. Passa anche il ddl “fritto misto” da 100 milioni, dei quali il 10% circa è il vero bottino di guerra (o il prezzo dell’inciucio, in base al punto di vista) delle opposizioni, mentre tutto il resto resta dentro il perimetro della maggioranza: governo, assessori, gruppi, singoli deputati. A ognuno il suo, il massimo risultato con il minimo sforzo.

Il tridente

Il trofeo lo porta a casa Schifani, a prescindere dal foglio delle presenze. Anche perché il governatore ha avuto il coraggio di schierare le tre punte, tutte da titolari, pur sapendo di correre il rischio che si pestassero i piedi l’una con l’altra. Eppure, perché era uno schema provato più volte o magari soltanto per pura fortuna, in campo ognuno ha giocato il suo ruolo. E così Falcone ha fatto (o ha finto di fare) l’assessore-secchione, quello che ha studiato e dal primo banco alza la mano per essere interrogato subito. Nel frattempo, però, gli uffici dell’Economia gli hanno già predisposto una carpetta con dentro il “tesoretto” da dare in pasto all’Ars nel maxi-emendamento. Il selfie con le opposizioni è profetico.

Tutto già previsto, magari come l’intervento di Galvagno, che recita la parte del presidente super partes: accoglie le istanze di grillini, dem e deluchiani che - dicono loro - invocano «più tempo per studiare le carte e migliorare la manovra». E così il giovane pupillo di Ignazio La Russa fa prevalere la volontà sovrana della conferenza dei capigruppo: Falcone si farà il cenone di capodanno senza la finanziaria approvata, ma con il patto (lautamente retribuito: budget di circa 300mila euro per ogni deputato d’opposizione) di tornare tutti in aula l’8 gennaio e votarla, scongiurando l’esercizio provvisorio. Nel frattempo Sammartino, lontano dalla marcature avversarie e senza chiedere palla ai suoi compagni di squadra, è impegnato a “macinare” articoli e commi per massimizzare il suo risultato personale.

L'Agricoltura la fa da padrona

E in effetti l’Agricoltura, fra manovra e ddl stralcio, la fa da padrona. Con lo smacco di intestarsi la misura da 7,5 milioni con cui la Regione comprerà le arance-mignon per conferirle alle aziende che fanno succhi, tamponando la crisi degli agrumicoltori denunciata dal “federato” Raffaele Lombardo, che in serata parla di «boccata di ossigeno». Riconoscendo: «So bene che in tal senso si sono impegnati il presidente della Regione Schifani, gli assessori competenti (al plurale, ndr) e l’intero gruppo dei deputati regionali autonomisti». L’altra norma che il vicepresidente leghista riesce a strappare con un dribbling solitario è il turn over nei Consorzi di bonifica: chi fa 78 giornate ne farà 101, i centunisti ne faranno 151 e i centocinquantunisti saranno assunti a tempo indeterminato. Una manna elettorale, roba che non si vedeva dai tempi di Totò Cuffaro, nell’anno delle Europee, con la benedizione dei sindacati.

Nei giorni di festa, mentre tutti a casa giocano a sette e mezzo, i tre moschettieri di Schifani danno altre carte. Quelle della spartizione del maxi-emendamento (poi stralciato dal testo della finanziaria su consiglio degli uffici dell’Ars: rischio impugnativa per decine di articoli), in cui ognuno, dopo aver raccolto i desiderata del proprio partito, sfrutta il proprio canale diplomatico con la minoranza. E così Galvagno parla con De Luca, Sammartino tratta col Pd, Falcone con tutti e con in grillini soprattutto. Domenica scorsa, nelle tre rispettive scrivanie di casa, montagne di carte e di numeri. Con le batterie dei cellulari scariche.

I conti tornano

Alla fine, nonostante qualche tormento dell’ultim’ora, i conti tornano. Via libera a finanziaria e ddl omnibus. E nelle interviste del dopo gara è tutto un tripudio. «Un giorno veramente importante», dice Galvagno; addirittura «un momento storico» per Falcone. Schifani si coccola il suo assessore all’Economia, «persona di grande competenza e lealtà che ha lavorato con impegno e senza sosta, fin dall’insediamento, per arrivare a questo obiettivo», e ringrazia il presidente dell’Ars «per l’opera continua di mediazione e per l’autorevolezza dimostrata nel suo ruolo». Sammartino, fuori dai riflettori, è già di nuovo in campo: corsetta defaticante per prepararsi alla prossima partita, quella sui manager della sanità.

Lo scettro

Ché poi, a pensarci bene, sono tre catanesi, di tre partiti diversi, pronti a contendersi lo scettro del dopo-Schifani. Il più maturo, 53 anni appena compiuti, sembra però con le valigie pronte. «Non so se sarò ancora qui, ma certamente l’auspicio è che la prossima manovra finanziaria sia approvata entro il 31 dicembre», scandisce in aula Falcone come se fosse un addio al pantagruelico clima dell’Ars in assetto da finanziaria. «Ci mancherà molto», ammette “Scateno”. Che, nel dare il «commiato» all’assessore ringraziandolo per «aver svolto il ruolo anche dell’ologramma Schifani», profetizza: Falcone «farà una bellissima campagna elettorale, ma non sarà il primo di Forza Italia: Tamajo, anzi Schifani, lo batterà, ma lui andrà lo stesso a Bruxelles». Lasciando a Palermo Sammartino, che «sta crescendo bene, crescerà, ma non ha la statura di Falcone» e Galvagno, «il demiurgo di questo risultato» all’Ars.

Uno leghista e l’altro meloniano: entrambi classe di ferro 1985, nati ad appena sei giorni di distanza l’uno dall’altro. Animali politici. Ambiziosi e dialoganti, spietati quando serve. Luca e Gaetano non scalpitano, eppure ci pensano. Da qui al 2027 c’è tempo e il tempo è dalla loro parte. Se Schifani non cadrà nella trappola di invidiare la loro giovinezza, i due resteranno i suoi migliori alleati almeno per altre due finanziarie ancora. Poi si vedrà.

m.barresi@lasicilia.it