Forza Italia, ecco perché Schifani ha disertato il congresso di Catania: dal gelo con Falcone al “derby dello Stretto”, tutti i retroscena
Sullo sfondo le elezioni Europee e l’unico posto disponibile per i leader del Sud nella prima segreteria del dopo Silvio Berlusconi
Renato Schifani marca visita. Annunciato come ospite d’onore al congresso catanese di Forza Italia, per una «lieve indisposizione» rimane a casa. E non perché - come prova a ironizzare qualcuno - vuole godersi, col girocollo blu della domenica mattina, la finale di Sinner sul divano in compagnia della sempre impeccabile signora Franca. Il motivo non è il mal di denti evocato sotto l’Etna. Ma un mal di pancia, con forte reflusso gastroesofageo. Politico: il governatore vuole dare un «segnale preciso», come ammettono i suoi, a Marco Falcone. Con l’assessore all’Economia, infatti, è di nuovo «calato il gelo». Schifani decide di disertare l’appuntamento di Viagrande perché «molto infastidito» dal parterre degli altri presenti annunciati. Fra i quali il nome che gli ha fatto gonfiare la giugulare è quello di Francesco Cannizzaro, coordinatore forzista della Calabria e braccio destro del governatore Roberto Occhiuto. Che si dà il caso essere fra i più accreditati rivali di Schifani per uno dei quattro posti di vice di Antonio Tajani. Nel programma stilato da Falcone, «senza consultarsi con Renato», c’è anche la sottosegretaria ai Rapporti col Parlamento, la messinese Matilde Siracusano, compagna di Occhiuto.
«Sembra un evento di corrente», mugugnano i Renato-boys. Proprio all’indomani del congresso di Palermo, durante il quale il vicepresidente della Camera, Giorgio Mulè, ha lanciato un plateale assist, auspicando (per Schifani, senza nominarlo) «una collocazione che valorizzi la dirigenza siciliana, con ruoli che devono essere necessariamente apicali, e quando dico apicali penso alla segreteria nazionale». E il governatore, con apparente nonchalance, pronto ad abbozzare: «È giusto che la Sicilia abbia un ruolo, ma questa affermazione credo non riguardi me, c'è tanta classe dirigente in grado di svolgere ruoli apicali»; per poi ammettere che «per quanto mi riguarda, se dovesse essercene bisogno, allora ne parleremo».
L'evento snobbato
Nonostante tutti, in Forza Italia, sappiano quanto sia sentito il “derby dello Stretto” Schifani-Occhiuto sull’unico posto disponibile per i leader del Sud nella prima segreteria del dopo Silvio Berlusconi.
E così succede che l’ex presidente del Senato snobbi platealmente l’evento dell’assessore all’Economia, dopo aver lanciato, il giorno prima a Palermo, la candidatura dell’altro collega in lizza alle Europee. Edy Tamajo «ci darà grandi soddisfazioni» come testa di serie di una «lista fortissima», afferma il governatore dopo averlo descritto come una specie di Tremonti dell’era berlusconiana: «Se il Pil in Sicilia cresce è grazie anche al suo (di Tamajo, ndr) lavoro incredibile che sta svolgendo alle Attività produttive».
Ieri, invece, il trampolino etneo di Falcone verso Bruxelles viene sabotato dalla fragorosa contumacia. Non l’unica, visto che Schifani avrebbe “vivamente sconsigliato” la presenza anche ai deputati regionali Riccardo Gennuso e Bernardette Grasso, quest’ultima fra i relatori. E l’incidente diplomatico - scoppiato sabato in serata e alimentato da un frenetico giro di telefonate e sms fino a ieri mattina - fa sì che, alla fine, anche lo stesso calabrese Cannizzaro non si presenti, così come Siracusano.
Ovviamente dal fronte etneo, mentre nel frattempo l’hotel si riempie di un migliaio di persone che acclameranno Falcone coordinatore provinciale (scelta forse di corto respiro: avrebbe potuto indicare un suo fedelissimo, senza dare l’impressione di avere bisogno di una legittimazione locale), l’incidente diplomatico viene vissuto con una certa «amarezza». Alimentata anche dalla virulenza della ritorsione presidenziale: c’è chi rivela anche di un certo pressing sulla Tgr Rai siciliana affinché non segua l’evento, con la repentina contromossa della telefonata di Maurizio Gasparri, capocorrente di Falcone sin dai tempi di An, ai piani alti di Viale Mazzini per fare accorrere la troupe.
La telefonata
Il caso siciliano arriva anche a Tajani, che, solo dopo aver saputo dell’assenza pesante di Schifani, scioglie la riserva sulla telefonata in diretta, in pieno cliché berlusconiano, e si collega appena uscito dalla messa domenicale per un saluto: «C'è grande entusiasmo a Catania», dice, mentre il capogruppo azzurro alla Camera, Paolo Barelli, fisso in sala per tutto il giorno, annuisce.
A inizio mattinata è invece Nicola D’Agostino, ex rivale di Falcone - con il quale è da tempo scoppiata la pace, anche in vista dell’effetto-domino che si aprirà nel partito (e in giunta) dopo le Europee - a fare le veci di Schifani, portando i suoi saluti. Un ruolo che il deputato acese svolge con gongolante disciplina. Prima ribadendo la necessità di «riconoscere ruoli apicali ai siciliani (cioè al governatore, ndr) nel partito», poi coniando la formula dell’«agenda Schifani», in un’«esperienza di governo che va difesa, tutelata e sviluppata». Ad applaudirlo, in prima fila, c’è anche Nico Torrisi, ad di Sac, assieme ad altri amici: una chiara smentita alle voci di subentrata freddezza fra il presidente della Regione e la “corrente aeroportuale” catanese, fedele e compatta.
Applausi
Nel pomeriggio è lo stesso Falcone a rispondere a D’Agostino (e quindi a Schifani): «Caro Nicola, sui ruoli apicali hai ragione. Ma noi - scandisce con cura nell’intervento finale - non chiediamo nulla al partito, noi al partito diciamo: cosa possiamo dare? Ci mettiamo a disposizione di Forza Italia, per lavorare e far crescere la nostra casa». Un passaggio applauditissimo, che alcuni nel partito hanno interpretato così: se Renato al congresso nazionale di fine febbraio vuole i voti dei nostri delegati per fare il vice di Tajani, se li deve meritare.
E sullo sfondo resta anche lo scontro emerso nell’ultima seduta di giunta, quando il presidente avrebbe rinfacciato all’assessore all’Economia «errori e ritardi» nella stima delle maggiori entrate del bilancio 2023, con un imprevisto “tesoretto” (si parla di centinaia di milioni) finito de plano nel ripiano del disavanzo della Regione, senza poterlo investire in finanziaria «per spesa produttiva». Insomma, sono già tramontati i reciproci salamelecchi dei giorni della «storica manovra». Senza però tornare al clima dell’epoca in cui Schifani era tentato di cacciare Falcone dalla giunta. Anche perché, fortissimamente, forse è lui a non vedere l’ora di andarsene. Con destinazione Bruxelles. Magari dopo essersi tolto lo sfizio di un ultimo sgambetto, al gusto di ’nduja, a quel presidente che non l’ha mai amato.