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Roma spegne i venti di crisi alla Regione: chi ha vinto, chi ha perso e cosa c'è dietro la polemica

La ricostruzione. Dopo la minaccia notturna di ritirare gli assessori per lo smacco sulla “salva-ineleggibili” la parola d’ordine è abbassare i toni. E Schifani respira. Ma fra i meloniani si apre una resa dei conti interna

Mario Barresi

02 Febbraio 2024, 08:35

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Da Roma l’input arriva forte e chiaro: abbassare i toni. E così la frangia più barricadera di Fratelli d’Italia, a dire il vero numerosa, frena sulla dichiarazione di guerra recapitata mercoledì sera. Dopo la clamorosa bocciatura della norma “salva-ineleggibili”, diventata una bandiera di principio per i meloniani dell’Ars, quando il capogruppo Giorgio Assenza, su delega di deputati e vertici regionali, s’era recato a Palazzo d’Orléans per chiedere a Renato Schifani se ci fossero ancora dei margini di modifiche nella lista dei “fantastici 18” della sanità siciliana. E invece no: la giunta regionale, riunita senza gli assessori di FdI, rimasti a Torre Pisana assieme a tutti gli altri, aveva già deliberato le nomine dei manager. Votando una delibera che circolava già nel primo pomeriggio, con annesso comunicato già predisposto su un accordo che tutta la maggioranza riteneva giusto «a prescindere dall’esito della votazione» tanto cara ai meloniani.

L'incidente diplomatico

Questo è stato l’ultimo incidente diplomatico che ha fatto scattare, almeno per qualche ora, l’assetto di guerra. Dal mesto rientro di Assenza alla minaccia di crisi del governo regionale, con la proposta di «ritirare i nostri assessori» che irrompe nella chat dei patrioti siciliani, anche con un certo riscontro, il passo è breve.

La notte porta consiglio

Ma la notte porta consiglio. E le valutazione dei vertici nazionali del partito ancora di più. «Non possiamo fare fuoco e fiamme contro Schifani, che comunque ci ha messo la faccia, per la bocciatura di questa legge», la saggia riflessione. Che sottintende la difficoltà di spiegare, all’opinione pubblica nazionale e anche a una parte degli elettori, la sproporzione fra la potenza di fuoco da usare rompendo con il governo siciliano e l’effettivo peso, oltre che la matrice etica, di una leggina concepita per proteggere il seggio di due o tre deputati in bilico perché già dichiarati ineleggibili dai tribunali.

La Russa mediatore

E allora, con la lungimirante intermediazione di Ignazio La Russa, s’è giunti a più miti consigli.
Parola d’ordine: minimizzare. Così fa Gaetano Galvagno: «Certamente dinnanzi a una norma proposta da alcuni parlamentari di maggioranza non c'è stata una condivisione, ma nessuna refluenza su altro. I miei rapporti personali con il presidente Schifani sono assolutamente ben saldi e ci auguriamo che quanto avvenuto ieri non avvenga mai più», cinguetta ai microfoni di ReiTv. E aggiunge una ricostruzione collodiana della burrascosa serata precedente: «C'era una riunione già programmata di Fratelli d’Italia prima della giunta che indistintamente dall’esito della votazione era già organizzata rispetto a quello per cui si stava andando a votare. Smentisco categoricamente che le due cose siano correlate». Insomma: come se nulla fosse successo.

Il silenzio di Schifani

Il governatore resta in silenzio. Che, mai come in questo caso, è d’oro. Scampato il pericolo di crisi, meglio non alimentare tensioni. Del resto ha fatto il suo dovere e s’è preso gli insulti delle opposizioni. L’ ira presidenziale per l’affossamento del ddl è stata palese, semmai adesso il rischio è una ritorsione dei meloniani - magari con la stessa arma del voto segreto - della riforma delle Province, che mercoledì ritornerà in aula. E anche Marco Falcone, magari come segnale dopo le tensioni forziste degli ultimi tempi, riconosce al presidente della Regione di essere stato «leale a una logica di maggioranza» e di aver «dimostrato la sua grande volontà di mantenere gli impegni». Con l’Adnkronos l’assessore all’Economia fa il pompiere: «Piuttosto che di crisi di governo parlerei di incomprensioni». Un voto che «è da ascrivere non ad una volontà politica quanto invece a sensibilità personali che hanno manifestato nel segreto dell’urna alcuni parlamentari». Dunque «solo un incidente di percorso», senza «alcuna volontà, da parte degli alleati, di penalizzare Fdi».

La lista dei traditori

Ma vaglielo a spiegare ai meloniani. Che hanno già compilato la lista nera dei traditori. Ben più di quelli mostrati dall’algebra d’aula (il centrodestra disponeva di 39 presenti, ma i favorevoli sono stati 30), perché anche in casa FdI sono certi che anche qualche collega d’opposizione abbia sostenuto il loro ddl e dunque i franchi tiratori sarebbero «più di una decina». Più o meno equamente suddivisi fra Lega, Dc e, in parte, Forza Italia, dando per scontato l’allineamento di tutti gli Autonomisti. Ma per vendicarsi degli alleati infedeli ci sarà tempo. Adesso, fra i Fratelli di Sicilia, è il momento di una resa dei conti interna.

La chat su Whatsapp

Nella chat WhatsApp regionale, che mercoledì sera pullulava di orgoglio patriota, spunta un’accusa alla linea dei coordinatori regionali del partito. Indice puntato su Salvo Pogliese e Giampiero Cannella, che non sarebbero riusciti a tenere il punto sulle nomine dei manager prima ancora che sulla salva-ineleggibili. Non a caso a esporsi è soprattutto il deputato regionale Carlo Auteri, esponente aretuseo della “corrente turistica” di FdI. Fra i più delusi (assieme al musumeciano Marco Intravaia, costretto a ingoiare l’“esilio” di Ferdinando Croce, pupillo di Ruggero Razza, all’Asp di Trapani) c’è proprio Auteri, per la mancata nomina di un manager di fiducia a Siracusa. Ma sul punto, nelle trattative, Schifani era stato irremovibile: quella casella è fissa per il forzista Riccardo Gennuso, futuro candidato alle Europee, che minacciava di uscire dal partito se non fosse stato accontentato. Così come, anche grazie al blocco dei meloniani palermitani, guidato dall’assessore Alessando Aricò e dall’eurodeputato Peppe Milazzo, sono state blindate le nomine di Civico e Policlicnico.

Mal di pancia meloniani

Ma i mal di pancia potrebbero anche avere delle radici più solide rispetto alla partita dei manager. C’è chi nel partito ipotizza che sia da tempo in corso una saldatura, in funzione soprattutto anti-Pogliese, fra l’ala musumeciana e quella di Manlio Messina.
Del resto anche il ministro della Protezione civile, parlando proprio con La Sicilia in una recente intervista, aveva auspicato «una guida autorevole della coalizione, essere percepiti cioè come motrice e non come trainati». Magari pensava proprio al suo delfino Razza, sempre in pole position per Bruxelles.
E qualcuno ha interpretato l’uscita di Basilio Catanoso, da sempre legato a Pogliese, come una risposta indiretta a questi movimenti: «Un elettorato di destra si rivede, se vogliamo semplificare, nella “legge e ordine”, ovvero, un elettorato che vuole regole chiare da seguire. Ecco, bisogna tornare alle regole». Così l’ex deputato di An all’Adnkronos, con un monito che magari sarà a titolo personale, ma che scuote le coscienze della destra siciliana: «C’è una legge e le leggi vanno rispettate e non si doveva porre il problema del superare l’ineleggibilità con una norma retroattiva. È una cosa che una persona di destra non comprende. Non lo può comprendere un nostro elettore, figuriamoci un dirigente politico».
Una risposta, molto di pancia, alla spregiudicata nouvelle droit di governo. Ma anche il segnale che in Sicilia il caso della salva-ineleggibili possa aprire un dibattito dentro la granitica caserma di FdI? La speranza, si sa, è l’ultima a morire.
m.barresi@lasicilia.it