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L’affondo di Marino: «Montante, un sistema con coperture nelle Istituzioni»

Di Mario Barresi |

Catania. È stata l’audizione più lunga, oltre due ore e 40 minuti, fra quelle in Antimafia dell’Ars sul sistema Montante. E anche l’unica con alcune parti secretate. Nicolò Marino non ha deluso le aspettative. A partire dalla definizione: «Una consorteria affaristico-politica che utilizzava il metodo massonico della tutela della “fratellanza”». Sbandierando un «programma apparente», l’antimafia e la legalità, come «copertura» del «progetto effettivo»: quello di «assumere posizioni di rilievo nelle istituzioni per fare affari».

Al termine del colloquio con il magistrato catanese, il presidente della commissione, Claudio Fava, riassume: «Emerge un sistema di potere parallelo “poco siciliano”, inserito su un livello nazionale. Montante era un segmento, aveva funzioni operative e di rapporto, ma non era il terminale. Erano in ballo forti interessi economici, c’è stata una stagione di potere parallelo attorno a Confindustria».

E in effetti Marino ha puntato in alto. Molto in alto. A partire dalla matrice del “fenomeno” Montante, che «viene fuori da un preciso assetto di Confindustria nazionale», fra la fine della presidenza di Luca Montezemolo a quella di Emma Marcegaglia. Ma la narrazione oltrepassa lo Stretto anche nelle parti secretate. In cui l’ex assessore regionale ai Rifiuti avrebbe denunciato il «ruolo di istituzioni nazionali». A partire dall’«assist, forse involontariamente» fornito dall’ex presidente dell’Antimafia nazionale, Rosi Bindi: nel settembre 2016, autorizzò un’audizione chiesta da Rosario Crocetta. Che, alla presenza del senatore Beppe Lumia, fornì la sua versione sulla cacciata di Marino dalla giunta regionale: non per lo scontro con Confindustria sui rifiuti, ma – raccontò l’ex governatore – per un appuntamento che l’ex capo di gabinetto vicario dell’assessore avrebbe chiesto all’allora collega Lucia Borsellino, presentandosi con «un cugino di Matteo Messina Denaro». Per Marino «farneticazioni infamanti» per le quali avrebbe voluto querelare Crocetta. Ma l’audizione fu secretata e neppure dopo la relazione finale quel verbale è stato disponibile, nonostante numerose richieste.

E l’Antimafia, secondo la ricostruzione del magistrato, anziché chiamare Borsellino (che, sentita informalmente, avrebbe smentito) convocò lui. Sottoposto a «un interrogatorio» da Lumia, fino al punto da sbottare: «Ma lei mi fa queste domande a titolo di attore delle vicende che stiamo trattando?». Il “senatore della porta accanto” ricorre in un altro racconto dell’ex assessore: un incontro in cui gli portò il deputato Luca Sammartino (Pd) per «parlare del progetto dell’Humanitas» che stava per essere discusso a Palazzo d’Orléans.

Marino ha anche espresso dubbi sulla «archiviazione immediata» dell’inchiesta a carico di magistrati (nisseni, ma non soltanto) finiti nel dossier sequestrato nella cantina di Montante, con alcuni maliziosi appunti su contatti e richieste di raccomandazioni. Un’«archiviazione de plano», dice Marino, da parte della Procura di Catania, ma anche degli «organi titolari di azioni disciplinari»: il Csm e il procuratore generale della Cassazione, e l’allora ministro della Giustizia, Andrea Orlando. «Un contesto che avrebbe meritato maggiori approfondimenti», sostiene il magistrato ricordando anche come Franco Roberti, ex capo della procura nazionale antimafia, che «sapeva di Montante», invece «tesseva le lodi sue e di Lo Bello nella relazione annuale». Anche Marino, da ex pm a Caltanissetta, poteva sapere di Montante, persino dell’indagine per mafia a suo carico. E quando Fava glielo fa notare, chiedendogli perché abbia accettato di entrare in giunta, risponde: «All’inizio mi fidavo di Crocetta, non potevo mai pensare che fosse così impotente».

Come conferma anche Fava, l’ex governatore emerge come «consapevole esecutore». Di decisioni prese altrove, anche in «riunioni di governo parallele rispetto alla stanza in cui si riuniva la giunta, con presenze significative degli apparati burocratici». Marino parla di «sedute di giunta senza ordine del giorno, con argomenti importanti senza la possibilità di essere preparati». Cita tutti gli atti da lui bloccati e le denunce sui «criteri di convocazione della giunta» presentate a chi di competenza. Fa più volte il nome di Patrizia Monterosso come «dominus della giunta»: l’ex segretaria generale della Regione e l’avvocato Antonio Fiumefreddo sono stati convocati dall’Antimafia dell’Ars.

E infine i rifiuti. Il «principale affare del sistema». Con la citazione di un’indagine dei pm di Palermo sulla turbativa d’asta, finita prescritta, in cui emergevano comunque «i legami fra imprenditoria, politica e mafia». Poi il racconto dei contrasti con Lumia, Montante e Crocetta sull’altare degli interessi di Giuseppe Catanzaro, una “crociata” da ex assessore. Ma Marino fornisce un’altra primizia all’Antimafia dell’Ars: un’altra inchiesta dei colleghi di Palermo su vicende legate ai rifiuti. Con alcune «interessanti intercettazioni» su Montante e soprattutto su Catanzaro mentre parla con dirigenti regionali di autorizzazioni. L’indagine fu archiviata nel 2013. «Ma io, da magistrato, avrei sviluppato una serie di circostanze», sostiene. Gli atti non furono trasmessi a Caltanissetta. Ma adesso la Procura guidata da Amedeo Bertone li ha tutti. Sul tavolo. E potrà usarli come bussola nel giungla del sistema Montante.

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