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Musumeci frena sulle Europee E dai salviniani gelo sul governo

Di Mario Barresi |

Catania – Per il centrodestra siciliano sembrerebbe quasi una di quelle splendide domeniche d’un tempo che non c’è più, con Tutto il calcio minuto per minuto che collega tutti i campo di gioco. Suggestioni, azioni immaginate, soltanto pezzi di radiocronaca senza però perdere il filo. E, tutte in contemporanea, saloni di teatri e hotel come stadi, più o meno pieni di tifosi. Qui Palermo: al Savio gli auguri anti-populisti di Gianfranco Miccichè con la sua cordata forzista. Linea a Catania: all’Excelsior la matricola Forza Salvini, associazione di ex azzurri benedetta dal Carroccio, presenta la sua piattaforma di diversamente leghisti, presenti sindaci, imprenditori e Forconi. Ancora Palermo: al San Paolo Palace l’assemblea di DiventeràBellissima, con Nello Musumeci che parla al suo popolo.

Ma purtroppo, non soltanto per gli ampi highlight offerti dai social, non c’è più il racconto di una volta. E poi, come nel calcio moderno, c’era stato un anticipo di lusso: sabato sera, nel catino infuocato degli ex Mpa, un’ovazione per Musumeci che – in una sorta di metempsicosi autonomista, con il pizzetto che sembra mutarsi in baffi, ma senza sgranocchiare Muratti – arringa i lombardiani: «Facciamo un partito siciliano del 35-40%, io ci sto!». Sentendosi rispondere, dopo gli applausi sinceri e affettuosi, che la vecchia colomba sicilianista sta migrando verso un patto federativo alle Europee con quello che sarà il nuovo partito di Giorgia Meloni.

Tant’è. Ma è chiaro che l’ultima svolta del governatore non è passata inosservata. Così come la condizione, secondo la quale «anche Forza Italia è benvenuta», ovvero «rinunciare ognuno al proprio simbolo». Che, con buona approssimazione, è il “modello Cefalù” lanciato proprio da Miccichè in casa del centrista Saverio Romano, con entrambi – magari certi della risposta negativa, poi arrivata – che avrebbero persino chiesto a Musumeci di guidare simbolicamente questa super lista siciliana. E ieri il coordinatore regionale di Forza Italia rafforza il concetto, rispondendo anche a chi lo accusa di flirtare altrove: «Il Pd di Faraone? Non faccio accordi che la storia non consentirebbe di fare, non voglio fare entrare il Pd in Forza Italia, ma voglio convincere le persone a unirsi in un argine contro i populisti».

Ma c’è un ma. Anzi: più di uno. Il primo è legato al sospetto – per certi versi quasi una certezza – che i forzisti, già in guerra fra loro per i pochi posti sul bus per Bruxelles, non abbiano tutta questa voglia di listone. Giuseppe Milazzo, capogruppo all’Ars, parla di «una federazione con un progetto, e non un partito, unico». E lo stesso Miccichè sembra non avere fretta: «Sta andando avanti un ragionamento, è possibile che si riesca a concretizzare per le elezioni europee, così come è possibile che debba andare avanti e concretizzarsi dopo».

La mossa di Musumeci, comunque, è da leader di rango. Ma forse arriva fuori tempo massimo, almeno guardando al voto di maggio. Tanto più che, oltre a Lombardo, c’è un altro Raffaele ormai dentro l’alleanza con Meloni: Stancanelli, senatore di Fdi ed ex coordinatore di DiventeràBellissima. Ieri mattina lo ripete a chiare lettere ai musumeciani, dopo aver detto che «ho costruito questo soggetto e non vado da nessuna parte, checché ne dica qualcuno». Stancanelli resta nel movimento, boccia il partito siciliano (per raggiungere il quorum nazionale alle Europee «dovremmo prendere il 58% nelle Isole…», ironizza) e prova a convincere che «la federazione con Fratelli d’Italia è l’unico sbocco politico possibile», aggiungendo che «se l’avessimo capito prima saremmo entrati da protagonisti, anziché farci superare dagli autonomisti che hanno già chiuso l’accordo». Ma Musumeci non fa una grinza. «La Meloni deve togliere la fiamma dal simbolo», dice, quasi rinnegando il dna di ex missino. Racconta, con ancor più passione e trasporto, la sua idea di Südtiroler Volkspartei in salsa sicula e anche il suo più ascoltato colonnello, l’assessore Ruggero Razza (dapprima sostenitore di un «asse con la Lega»), la rilancia come soluzione vincente. E dunque, come ammette indirettamente il capogruppo all’Ars, Alessandro Aricò c’è bisogno di fare chiarezza fra le varie opzioni sul tavolo: Salvini, Meloni, il partito siciliano. Oppure stare alla finestra per le Europee, come suggerisce Enrico Trantino, uno dei triumviri scelti per traghettare il movimento. Musumeci lascia come sempre la scelta al congresso di DiventeràBellissima, il 27 gennaio, nel quale – in ossequio allo statuto che impedisce di cumulare cariche elettive e politiche – annuncia che si dimetterà dalla pur simbolica carica di presidente. Ma per quella data potrebbe maturare un’altra scelta, perché «magari ho l’impressione che alle Europee potremmo saltare un giro».

Ma le parole di Enna e la reazione entusiastica dei lombardiani non sono sfuggite ai leghisti siculi. Dal palco dell’albergo di Catania, accogliendo i nuovi adepti di “Forza Salvini” (non c’era, come erroneamente anticipato dagli organizzatori, il sindaco di Piedimonte, Ignazio Puglisi) è stato Fabio Cantarella a chiarire il concetto: «Musumeci così ha lo stesso effetto di Miccichè, e cioè confonde e destabilizza gli elettori siciliani del centrodestra. Per noi, se vuole stare con quella gente, è invece un elemento di chiarezza: la Lega sta da tutt’altra parte». La stroncatura del braccio destro di Stefano Candiani raccoglie il giubilo di un gruppo di Forconi osservatori interessati in sala, con Mariano Ferro a schiumare rabbia sulla «classe politica che ha rovinato la nostra terra».

Ma il fastidio leghista non è di ieri. In risposta a Pietrangelo Buttafuoco, fan del contratto di governo Musumeci-M5s, proprio Cantarella, in tandem con il l’ex grillino palermitano Igor Gelarda, scrive sul blog leghista Nuove Verrine che «fantasioso è immaginare che il lavoro che la Lega sta facendo sul territorio per selezionare una nuova classe dirigente, non compromessa con l’infausto passato, possa essere diretto dai quadri di Diventerà Bellissima, che stanno mostrando tutti i loro limiti al governo della Regione. Un progetto politico che al momento è responsabile dell’immobilismo politico della Sicilia e che non è riuscito a portare quella ventata di nuovo che i siciliani e la Sicilia auspicavano». Per essere ancor più chiari: «I quadri di Diventerà Bellissima hanno un compito da svolgere per la Sicilia fuori dalla Lega. Lo svolgano con correttezza e dignità e saranno nostri interlocutori per il futuro. Ma ciascuno da casa propria, nel rispetto delle proprie regole di vita e di politica».

Da qualche settimana anche Candiani, commissario salviniano in Sicilia, non fa mistero di una certa «insoddisfazione» rispetto a un governo regionale che «non riesce a cambiare marcia». Nelle chat dei vertici regionali del Carroccio spuntano critiche per «le nomine imbarazzanti» (con riferimento al Cga), ma anche i primi sintomi di una necessità di «un distinguo», con all’orizzonte la strategia di «marcare la distanza» dal centrodestra che governa la Regione. Già oggi, con la “maggioranza-non maggioranza” all’Ars, il peso dell’unico leghista, Tony Rizzotto, non è indifferente. Mentre continua – sempre all’insegna dell’understatement – l’arruolamento di Candiani. Che ha già sfilato proprio a Musumeci il big messinese Dino Bramanti, oltre che altri pezzi a Trapani e Agrigento. Senza l’ossessione di pesare di più a Sala d’Ercole, almeno fino alle Europee, nonostante il dialogo aperto con l’udc Vincenzo Figuccia e con la forzista Rossana Cannata, avvistata, col sottosegretario di Salvini, ad Avola in un fitto colloquio col fratello sindaco, Luca, in odore di candidatura.

Il processo di «composizione e ricomposizione del centrodestra», più volte preconizzato dal governatore, è già in atto. Ma non lo controlla lui. E il sogno autonomista – coccolato da Lombardo e ora rilanciato da Musumeci – resta una maledizione, nell’Isola dei gattopardi.

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