Finanziaria regionale, l'Ars ci riprova dopo il flop del 23 dicembre: il retroscena delle forti tensioni tra Galvagno e Schifani
All'antivigilia di Natale è saltato l'ok alla manovra e la maggioranza è adanto sotto su un emendamento. In chat l’ira del presidente dell’Assemblea: «Si vota quando dico io». E il governatore ritorna a casa: «Inqualificabile»
Dove eravamo rimasti? L’Ars, all’antivigilia di Natale, non è riuscita ad approvare la manovra. E dire che - secondo fonti di maggioranza, ma anche d’opposizione - «era tutto già impiattato». E cioè s’era trovato l’accordo sul voto, nella notte del 23 dicembre, per il testo finale del disegno di legge di stabilità. Con il via libera a un emendamento del governo, del valore di circa 100 milioni, e poi all’ormai tradizionale “maxi” del parlamento. Nel quale, a dispetto dei buoni propositi e delle dichiarazioni di facciata, s’era trovata la quadra sui fondi: su un totale di quasi 70 milioni, infatti, il 70% , e cioè poco meno di 50 milioni, va alla maggioranza (più di un milione a deputato, conteggiando nei 45 destinatari - e questa è la novità - anche i tre del gruppo di Sud chiama Nord guidato da Cateno De Luca) e i restanti 20 milioni ai 25 esponenti di Pd e M5S.
L’intesa, nella conferenza dei capigruppo del primo pomeriggio, c’è anche sulla tempistica del “copione”: il presidente dell’Ars, Gaetano Galvagno, sarebbe intervenuto alle 21 per annunciare una sospensione. Dopodiché, intorno alle 23-23,30, i lavori sarebbero ripresi per il rush finale della votazione. Che sarebbe slittata a dopo la mezzanotte del 24. Una strategia, rivelaa un deputato “non allineato”, anche per diluire l’effetto mediatico dell’ennesimo inciucio: «Così i giornali non potranno scrivere l’indomani, poi non escono due giorni e se ne riparlerà il 27 dicembre, a cose fatte».
Tutto studiato nei minimi particolari, dunque. Ma sul testo “basic” del ddl, definito «la finanziaria finta», accade l’imprevisto. La maggioranza cade, con il voto segreto, su un emendamento della dem Ersilia Saverino, che obbliga a «una relazione semestrale» l’assessora alla Famiglia, Nuccia Albano, destinataria di due milioni per finanziare iniziative. Un normale incidente di percorso. Che però fa saltare i nervi nel centrodestra.
Psicosi collettiva
Da quel momento cominciano quattro ore di psicosi collettiva. Galvagno va a chiudersi nel suo ufficio di Torre Pisana. E stacca il cellulare. Impossibile, per chiunque (compreso il governatore Renato Schifani, a Palazzo dei Normanni, come promesso, per seguire da vicino la maratona della manovra) parlare con il presidente dell’Ars. Il quale, però, nella chat dei capigruppo scrive un messaggio che suona più o meno così: «Non me fotte un c…: ora la finanziaria si approva quando lo dico io. Ditemi solo se il 27 devo convocare di mattina o pomeriggio».
I deputati vanno a cena, aspettando segnali di fumo dalla presidenza. Ma il giovane allievo di Ignazio La Russa continua a essere irraggiungibile. E così monta il nervosismo, soprattutto fra i più vicini al presidente della Regione. Qualcuno, al ristorante, dopo l’ennesima litania della segreteria telefonica di Galvagno, sentenzia: «Non è che Renato può restare qui ad aspettare i capricci di un ragazzino che s’è montato la testa». Schifani, nel frattempo cena alla buvette dell’Ars. E alla fine riesce a parlare con Galvagno, che, raccontano alcuni testimoni della telefonata, «lo manda a quel paese». Il clima si fa elettrico. Il governatore poco dopo le 23, decide di tornarsene a casa. «Uno con la mia storia, che ha presieduto il Senato, non può essere trattato così: è un comportamento inqualificabile», lo sfogo ascoltato da più di un interlocutore dal governatore.
Nel frattempo Galvagno riattacca il telefono. E, come se nulla fosse, comincia a chiamare i deputati a raccolta. «Torniamo in aula per chiudere il testo del ddl e votare i due emendamenti». In molti, già per strada verso le proprie città, si fermano in autostrada perché «non si stava capendo più niente». Ma a questo punto il corto circuito fra Palazzo d’Orléans e Palazzo dei Normanni non può essere risolto nella stessa notte. Emergono ruggini dimenticate e le rispettive fazioni si sbizzarriscono nelle ricostruzioni. Dal fronte schifaniano c’è chi sospetta che la «sceneggiata napoletana» di Galvagno nasconda l’intento di ritardare il voto della manovra «per non dare lustro» a un presidente della Regione di cui il golden boy meloniano «ambisce ormai chiaramente a prendere il posto nel 2027».
Lo scenario alternativo
In area forzista (ma non solo) si fa spazio una ricostruzione ancor più azzardata: «Gaetano vuole votarsi la finanziaria senza di noi, ha un accordo con Di Paola, con un bonus in più per i grillini, per potersi poi attribuire il merito finale».
In effetti lo scenario che comincia a configurarsi a Sala d’Ercole è quello di un centrodestra presente a macchia di leopardo. I deputati di Forza Italia, dopo che Schifani ha lasciato il palazzo, non rientrano all’Ars; l’assessore Edy Tamajo, che stava tornando, fa dietrofront E anche i due più fedeli alleati del governatore chiedono ai loro di proseguire la strada verso casa. Questo l’input del leghista Luca Sammartino e di Totò Cuffaro, che si lascia andare a un oscuro presagio: «Se stanotte entriamo in aula, si sfascia il governo». Indecisi gli autonomisti di Raffaele Lombardo, mentre i neo-lealisti di “Scateno” si presentano. E Gianfranco Miccichè se la ride: «Dopo quello che è accaduto, al confronto i miei scontri con Musumeci erano carezzine..».
Così, mentre Pd e M5S entrano alla spicciolata, si consuma un altro quarto d’ora ad altissima tensione. Galvagno, sbollita la rabbia, derubrica le lunghe ore “offline” come «un errore di comunicazione interna». A chi gli chiede dove fosse finito risponde con aria innocente: «Ne ho approfittato per studiarmi bene le carte del maxi-emendamento del parlamento, ma per me non era cambiato nulla rispetto all’accordo in capigruppo: dovevamo riprendere dopo le 23».
E dunque i meloniani cominciano a scaricare la colpa su Schifani (perché «un governatore più smart la notte della finanziaria non andrebbe a casa a mettersi il pigiama alle undici e mezzo») e sugli altri alleati che «vogliono lucrare su uno stupido frainteso per creare lo scontro fra Gaetano e il presidente». Intanto, gli scranni del centrodestra sono semivuoti. Presente in modo compatto il gruppo di FdI, i cui assessori sono gli unici a sedere nel banco del governo, dove, oltre a quella di Schifani, spicca l’assenza dell’assessore forzista all’Economia, Alessandro Dagnino.
Rischio strappo
I numeri per votare ci sarebbero comunque. E a questo punto è Galvagno a impuntarsi: vorrebbe tornare a presiedere l’aula, riaprire i lavori e chiuderli stigmatizzando «l’assenza di gran parte della maggioranza, compresi il presidente e l’assessore competente» che costringe l’Assemblea «a rinviare l’approvazione della manovra». Ma gli ambasciatori convincono il presidente dell’Ars a non fare un’uscita che «avrebbe trasformato le scintille in uno strappo istituzionale». La seduta viene così affidata a Nuccio Di Paola. Che rinvia tutto a domani. Protestano, indignati, Pd e M5S, parlando di un’Ars «tenuta in ostaggio». E oggi il copione, in apertura di seduta, si ripeterà con le opposizioni sulle barricate prima di incassare i benefici di un maxi-emendamento (non votandolo) sul quale l’accordo c’è dallo scorso lunedì.
E fra Schifani e Galvagno com’è finita? Dopo un giorno di gelo totale, a La Sicilia risulta una «normale telefonata di auguri». Partita da Paternò verso Palermo. Ma oggi, prima della scontata approvazione della manovra regionale, un chiarimento di persona dovrà pur esserci.