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Amministrative a Gela, il “Nazareno” e gli alleati-rivali Salvini e Di Maio…

Di Mario Barresi |

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GELA – Il Venerdì Santo – nell’era della Gela agricola, prima che qui sbarcasse l’epopea del petrolio – era chiamato «il giorno dei fidanzamenti». Proprio perché era uno dei pochi in cui alle ragazze da maritare» era consentito uscire.

Oggi non è più così. Le ragazzine, con le prime scollature di una primavera ancora acerba, si instagrammano a piazza Calvario, accanto a un gruppo di anziane che recitano il Rosario rivolte alle statue del Cristo e della Madonna. I tempi cambiano, ma la tradizione resta. Cioè quella che a Gela – città decrocettizzata dai grillini, che poi hanno crocifisso il loro sindaco dopo neanche sei mesi – vuole che i politici, a maggior ragione se in campagna elettorale, sfilino, ordinatamente suddivisi in branchi, tutti dietro il simulacro di Gesù (dove c’è il gonfalone del Comune) e giammai a seguito di quello di Maria. Quest’anno c’è il commissario Rosario Arena, ufficiale della guardia di finanza in pensione. E dietro di lui una sfilza di candidati impupati nel vestito buono della domenica. Ma non c’è Mimmo Messinese, sindaco eletto nel 2015 (epici i trenini grillini al ritmo di samba dopo il ballottaggio), poi cacciato dal movimento e infine sfiduciato dopo tre anni vissuti sull’orlo del precipizio politico.

Gela è sorniona, anticipatrice di tendenze. E così è anche nel penultimo venerdì di campagna elettorale, in attesa dei fuochi d’artificio della prossima settimana. Quando, nella città natale di Rosario Crocetta (oggi esule in Tunisia, ha venduto la sua casa del quartiere Scavone anche «per motivi di sicurezza, perché la mafia non dimentica e io non so fino a quando avrò la scorta») sono attesi, nel giro di ventiquattr’ore – ma in giorni diversi, per evitare imbarazzanti sovrapposizioni – sia Matteo Salvini sia Luigi Di Maio. I coinquilini del governo gialloverde proveranno a tirare la volata ai loro candidati. Che ovviamente sono l’uno contro l’altro armato, pur abitando nello stesso condominio di via Galilei, nel quartiere di Caposoprano.

Tutto ciò mentre la città in crisi d’identità – spopolata dalla chiusura della raffineria e in attesa del definitivo avvio della svolta green del Petrolchimico – si tuffa nelle più radicate abitudini. Lo struscio in corso Vittorio Emanuele, il bagno di popolo nella processione della Via Crucis, le sbirciate nelle vetrine di negozi tanto lussuosi quanto desolatamente vuoti. Ed è qui che le tante saracinesche chiuse a causa della crisi del commercio si sono rialzate (per un mesetto o poco più) perché trasformate in comitati elettorali.

E così la corsa a quattro per diventare il prossimo sindaco, almeno in questo giorno speciale, è una parentesi quasi fastidiosa fra fede e folclore, fra litanie e zucchero filato. «Inutile che quelli lì sgomitano, tanto al ballottaggio si andrà», preconizza il vecchietto-politologo rifiutando con brusca risolutezza l’ennesimo santino mentre passa la processione santa.Che poi, nel «giorno dei fidanzamenti», non ci sono nubili da accasare. Gli accordi, negli schieramenti in lizza, sono stati già suggellati da tempo. E alcuni sono talmente strambi da presagire matrimoni d’interesse. S’è molto parlato del Nazareno in salsa gelese. Materializzato nella candidatura di Lucio Greco, che ci riprova dopo aver sfiorato il ballottaggio nel 2015. L’avvocato, leader di “Un’Altra Gela”, capeggia un rassemblement civico, lanciato dapprima da Terenziano Di Stefano (ex consigliere, vicino all’ex assessora regionale lombardiana Mariella Ippolito), e da due ex assessori di Messinese, Francesco Salanitro (un tempo alfiere gelese dell’Unione dei Siciliani di Gaetano Armao) e Giuseppe Licata, di “Gela Punto”. Greco arriva per ultimo, ma riesce a diventare il candidato civico. Con una sua lista, dapprima esclusa e poi riammessa, che qui definiscono «una corazzata». Sul carro di uno dei favoriti sale il Pd, celato dal simbolo “Siamo Gelesi” (dai colori che ricordano vagamente quello dem), con la regia dell’intramontabile Lillo Speziale e del genero Peppe Di Cristina, segretario locale del partito. Ma con Greco (oltre al gruppo di Impegno Comune e del Popolo della Famiglia degli ex assessori Gianni Mauro e Valeria Caci) c’è anche una parte di Forza Italia, quella capitanata dal deputato regionale Michele Mancuso, con l’ammiccante lista Azzurri per Gela.

E qui si apre la diaspora berlusconiana. Perché l’altra parte del partito sta con un altro candidato. Il leghista Giuseppe Spata, infatti, incassa il sostegno di “Avanti Gela”, contenitore creato da Pino Federico (ex presidente della Provincia ed ex deputato regionale, ex Mpa) e subito aperto ai candidati vicini anche a Giusi Bartolozzi, deputata forzista, magistrato di origini gelesi, compagna di Armao. E proprio la presenza della coppia a una convention di Spata ha suscitato le ire dei rivali interni. «I finti forzisti traditori stanno con la Lega», ha urlato Mancuso chiedendo a Gianfranco Miccichè la cacciata del vicepresidente della Regione dal governo Musumeci. «Si trattava di una manifestazione a sostegno di un candidato di centrodestra, appoggiato anche da Forza Italia», la risposta della deputata. In effetti con Spata c’è anche la rediviva Udc, che torna nelle schede elettorali gelesi dopo nove anni d’assenza, schierando anche esponenti di Cantiere Popolare di Saverio Romano e di Alternativa Moderata dell’ex senatore forzista Gioacchino Pellitteri. E dunque è difficile dire chi sia davvero l’aspirante sindaco griffato Forza Italia. Così com’è arduo sapere con chi sta DiventeràBellissima, visto che esponenti del movimento di Nello Musumeci sono annidati tanto nelle liste di Greco quanto in quelle di Spata. Quest’ultimo rappresenta, nel suo genere, anche un innovativo esperimento di marketing elettorale. Non ha mai fatto politica, infatti, questo consulente laureato in Economia. Il suo nome viene fuori, al termine di un incontro notturno, il 28 febbraio scorso, nella sede di Eurobic, società di formazione che fa capo alla famiglia di Renato Mauro, potentissimo ex direttore generale del Comune. In conclave altri due “cardinali”: ovviamente Federico, ma anche Enzo Cirignotta, consigliere al terzo mandato, amico personale di Totò Cuffaro, e incidentalmente ex capogruppo consiliare del Pd. Ma la fumata bianca arriva proprio per il “papa verde”. Assente al summit notturno, seppur rappresentato dal fratello gemello Francesco Spata, in lizza con l’attuale nemico Greco alle scorse elezioni. Due gocce d’acqua, Giuseppe e Francesco Spata. Tant’è che, per distinguerli, il coordinatore provinciale dell’Udc, Silvio Scichilone, ha regalato all’aspirante sindaco una Lanzaredda di San Rocco, un nastrino (rigorosamente verde Lega) icona sacra di Butera. Ma il segreto del suo successo ha radici molto più profane. «Siccome Salvini tira, dobbiamo schierare uno della Lega» è la strategia degli alleati. E diventa un mood della campagna elettorale, nella quale Spata e i suoi vanno ripetendo che «la città si può rilanciare solo grazie a un contatto diretto col vicepremier Salvini». Certo, qualcuno maliziosamente sussurra che il candidato del Carroccio, ex riferimento gelese di Libera di don Luigi Ciotti, è un leghista dell’ultim’ora. Figlio dell’epurazione che il colonnello salviniano del Nisseno, il deputato Alessandro Pagano, ha messo in atto all’indomani delle Politiche, alle quali il partito in città incassò un dignitoso 7%. Fuori l’imprenditore Antonio Giudice, solitario candidato sindaco nel 2015, e tutto il suo gruppo, vicino all’altro ex deputato Angelo Attaguile. Non è un caso che l’unico consigliere leghista uscente, Salvatore Farruggia, abbia dovuto trovare riparo nella lista dell’alleato Federico. Che, nonostante l’asse con Bartolozzi, tiene a precisare: «Avanti Gela è un progetto mio, non so se domani saranno voti di Forza Italia».

In questo quadro complicato i 5stelle potrebbero avere gioco facile i 5stelle. Se non fossero azzoppati dall’esperienza (seppur partita a giugno e rinnegata dopo Natale) del «primo sindaco grillino». Infatti il M5S ha soltanto accarezzato l’idea di alleanze civiche: soltanto un pourparler con un’associazione, ma poi avanti in versione autarchica per dimenticare l’ex primo cittadino alieno. E, negli equilibri interni, prevale il gruppo di quelli che ruppero per primi con Messinese. Due assessori-lampo di quella giunta, intanto, hanno fatto carriera: Pietro Lorefice è diventato senatore, Nuccio Di Paola deputato regionale. E sono loro due a tirare la volata di Simone Morgana, avvocato e consigliere comunale uscente. In una campagna elettorale molto meno social del solito: manifesti, porta a porta, sfilata alla “Sagra del pane cunzato”. Del resto il giovane candidato non aveva profilo Facebook né WhatsApp prima di tuffarsi nella campagna elettorale. Anche i grillini hanno dovuto lavare in famiglia qualche panno sporco. E così il contrasto con il gruppo che fa capo all’attivista storico Santi Ventura è stato riassorbito in quello che è stato definito il “patto di Spinasanta”: una pax, fortemente voluta da Di Paola, siglata nell’amena località di campagna, in occasione del 40º compleanno del ribelle. Ma Morgana, ciclista e naturista convinto, ha dovuto ammorbidire un po’ le posizioni no-Raf e no-Triv. Paradossalmente proprio gli argomenti per i quali il collaborazionista Messinese fu inchiodato. Ma i tempi cambiano, col grillismo di governo e un po’ meno di lotta. Morgana ora dice che con Eni bisogna «dialogare, purché presento, nella riconversione green, progetti di alta tecnologia compatibile». E poi, da candidato di una forza che sta a Palazzo Chigi, si affretta smentire le voci su un disimpegno di EniMed sulla costruzione di una nuova piattaforma a terra, “Argo e Cassiopea”, molto attesa dalle maestranze orfane dell’indotto del vecchio Petrolchimico.

E poi c’è il quarto incomodo. Un concorrente agguerrito, molto apprezzato dai giovani che infatti costellano in maggioranza le sue due liste. Maurizio Melfa, imprenditore nel settore dell’energia, non è un candidato soltanto di testimonianza. Ci crede, gira la città come una trottola al grido di «servono nuovi occhi per vedere la bellezza», uno slogan (e non solo quello) che lo rende la vera novità. Facendo quasi dimenticare che fu candidato anche nel 2015 e che per un brevissimo periodo, dal novembre 2017 al febbraio 2018, fu anche assessore ai Lavori pubblici dopo l’ultimo disperato rimpasto scaccia-sfiducia di Messinese. Ma Melfa, che voleva «cambiare le lampadine degli uffici con le risorse della mia azienda, ma non me l’hanno permesso», litigò quasi subito con l’allora sindaco e soprattutto con il vero deus ex machina della giunta, il vice Simone Siciliano. E di questo, adesso, ne fa un vanto.

Sono tutti qui. In strada, a stringere mani e a promettere una «città diversa». La new economy – Bioraffineria, cultura e turismo – è l’ultimo Eldorado da far sognare nei comizi. Pochi e poco affollati. «Certo, non sono più i tempi di Saro Crocetta. Lui sì che le piazze le riempiva», è l’unico rimpianto dei gelesi nei confronti di un ex sindaco per ben due mandati. Lui, Rosario, quest’anno non c’è alla processione del Venerdì Santo. Ma non ha abbandonato la sua città. Sabato scorso ha pure partecipato, a TeleGela, a un confronto fra i primi cittadini dell’ultimo quarto di secolo. Lanciando l’ultimo allarme rosso antimafia: «I boss usciti di carcere stanno riprendendo il controllo del territorio, marcando Gela con l’uso delle bici elettriche per ovviare al ritiro delle loro patenti».

Poi è subito ritornato in Tunisia.

Twitter: @MarioBarresi

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