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Il “destra-centro”: ecco il progetto politico di Musumeci (per succedere a se stesso)

Di Mario Barresi |

CATANIA – «Del resto io sono un bancario. E di numeri ne mastico», ironizza con i suoi. Per capire quanto di corto respiro oggi sia, soprattutto per Nello Musumeci, il pluri-decantato progetto del “partito dei moderati”, basta leggere (bene) i dati delle Europee in Sicilia e sovrapporli alla mappa di potere del centrodestra regionale. Sul 45% incassato dalle tre liste della coalizione, poco meno dei due terzi (il 20% della Lega e il quasi 8% di Fratelli d’Italia) è rappresentato, nei palazzi della politica siciliana, da cinque persone: l’assessore meloniano Sandro Pappalardo e quattro deputati regionali, di cui tre di FdI e uno leghista. Al netto della presunta neutralità svizzera di DiventeràBellissima (che ha comunque votato per tutt’e tre gli alleati, pur con intensità e trasporto diversi), il resto delle seggiole e poltrone sono tutte divise fra gli esponenti della gioiosa macchina da guerra racchiusa nel 17% di Forza Italia: oltre agli azzurri, gli autonomisti di Raffaele Lombardo, i popolari di Idea Sicilia, l’Udc, e altre schegge moderate.

Cosa significa questo conteggio per il “bancario” Musumeci? Pur sapendo che il voto delle Europee ha dinamiche ben diverse rispetto alla lotteria delle Regionali, pur ammettendo – e il governatore l’ha fatto in una recente intervista a La Sicilia – che «il governo è lo specchio dello schieramento che ha vinto le elezioni nel 2017 e della geografia attuale del Parlamento», deve prendere atto che nulla, dopo il 26 maggio, è più come prima. E visto che, per sua stessa ammissione, «il mio è un ruolo amministrativo che avrà bisogno del tempo necessario e, temo, non basterà questa legislatura», Musumeci ha il dovere (oltre che il diritto) a pensare a un “dopo di noi” politico. Che, in assenza di giganteggianti alternative, è fondato sull’idea di succedere a se stesso.

Il 2022 sembra un orizzonte lontano, ma bisogna pensarci per tempo. E così le emergenze sugli equilibri di Palazzo d’Orléans s’incrociano con i progetti politici.

«C’è la volontà di procedere a un rimpasto cosa che faremo entro l’estate perché un ritocco al motore va fatto», ha detto ieri il presidente della Regione a margine di un incontro a Palermo. E l’idea è sul tavolo da tempo. Con una dead line legata a un tabù di coscienza: «Se ne comincerà a parlare dopo giorno 10 giugno», rivelano i suoi evocando, con il dovuto rispetto, la cerimonia di commemorazione dello scomparso ex assessore Sebastiano Tusa. E sul “tagliando” alla giunta le voci sono già in movimento: oltre al sostituto dell’indimenticato archeologo (magari «un tecnico di altissimo livello»), il governatore è pronto ad ascoltare le voci di tutti gli alleati. A partire da quella di Gianfranco Miccichè, che continua a parlare di Gaetano Armao come «ex assessore».

Spazio anche alle istanze di centristi e autonomisti, con i Lombardo-boys che giudicano «sovradimensionata» la rappresentanza dell’ala di Saverio Romano e Roberto Lagalla. Poi c’è Fratelli d’Italia, con Pappalardo dato in uscita e Manlio Messina che scalpita con il placet di Giorgia Meloni.

E infine la Lega. Il commissario Stefano Candiani continua a «non chiedere nulla», ma è probabile che arriverà un assessore. «Il presidente ascolterà tutti e poi deciderà in autonomia», è la linea che trapela da Palazzo d’Orléans. Dove smentiscono categoricamente l’ingresso di ex esponenti del centrosinistra legati a Totò Cardinale (leggasi un posto per Beppe Picciolo, spinto da Edy Tamaio ormai organico alla maggioranza) perché l’idea del governatore è che «chi è stato con Crocetta è bene che con me salti un giro».

E qui s’innesta il ragionamento politico. Molto (anche troppo) s’è parlato, fino a ieri, del “partito dei moderati”. Lo stesso Musumeci ha esplicitato il concetto: «Non è una novità ma da un anno ripetiamo la necessità di creare in Italia un soggetto moderato che possa interpretare una fascia di elettorato che non va più a votare, che non vuole stare con centrosinistra, sinistra e Movimento Cinquestelle». Un’idea che fa scattare subito il plauso di Miccichè e dello stesso Romano, entrambi ufficialmente tutt’altro che incalzanti sul tema del rimpasto.

Ma stiamo attenti alle parole di Musumeci. Lo «spazio elettorale» che per il leader di DiventeràBellissima, si può trovare «alla sinistra di Salvini non a destra». Con una complicazione che è già chiara in partenza: «Dipenderà dalle condizioni nel senso che dobbiamo mettere assieme quattro, cinque soggetti di sensibilità e cultura differenti per capire se si può arrivare alla nascita di questo nuovo soggetto». E dunque l’ammissione che, in caso di impraticabilità del campo moderato, c’è un piano B: «Altrimenti si penserà, e nel mio partito prevale questa tesi, a creare un patto federativo con un soggetto già esistente».

Quando Musumeci parla di tesi prevalente, si riferisce soprattutto a Ruggero Razza e alla Lega. L’assessore era presente, lo scorso 23 maggio, all’incontro «informale e cordialissimo» nel retropalco della commemorazione di Falcone, fra il governatore e Matteo Salvini. Con cui il rapporto è più saldo che mai. Anche per la reciproca convenienza di trovare un «leader regionale amico della Lega» che riempia un altro spazio – questo più geografico-politico che elettorale – oggi vacante. Quello di «uomo di governo delle istituzioni del Sud».

L’ultimo passo per mettere radici sovraniste quaggiù. Con una prateria , nel nuovo “destra-centro” siciliano, per un Musumeci-bis.

Twitter: @MarioBarresi

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