Forza Italia, la notte delle “Idi di Noto” dei congiurati anti-Schifani
Dopo foto e sorrisi, nel dopocena in hotel la fronda dichiara guerra a Caruso, agli assessori tecnici. L'asse Tamajo-Falcone e il ruolo di Cardinale e Lombardo
Tutto troppo bello per essere vero. Nello splendore di Noto, che si fa ancora più incantevole nei giorni dell’infiorata, la convention di Forza Italia sembra quasi costruita sul tema della distesa di petali sulla via Nicolaci: la pace. Tutti i principali esponenti siciliani del partito presenti e sorridenti ad accogliere Antonio Tajani e altri pezzi grossi nazionali.
Schifani raggiante
Il più raggiante è Renato Schifani, che certifica «un partito in grande salute, un partito unito, forte, che alle ultime Provinciali è stato il primo in Sicilia». In un crescendo deamicisiano il leader incorona il governatore. «Sono molto soddisfatto di come sta guidando la Regione», scandisce Tajani prima di pronunciare le parole magiche: «Schifani sarà il nostro candidato per la presidenza della Sicilia». E il diretto interessato a ringraziare «per la fiducia». Ammettendo, senza arrossire, che «evidentemente stiamo lavorando bene, innestando una marcia diversa rispetto al passato». Tutto ciò con un parterre osannante, organizzato nei minimi dettagli dai Gennuso (il figlio Riccardo, forzista dell’Ars, e il padre Pippo, arciduca del sud-est siciliano) con qualche deputato regionale che si diverte a innescare la claque: «Un bell’applauso al presidenteee!». E tutti a spellarsi le mani, sgomitando per farsi vedere mentre lo fanno.
Quanto zucchero
C’è il rischio di un attacco glicemico. Tant’è che lo stesso Tajani, in un colloquio con un esponente regionale non troppo allineato, infastidito avrebbe detto: «Ma di quale tensioni parlate? Nel partito, in Sicilia, c’è grande armonia». Dormiva, nel senso onirico del termine, il leader nazionale, quando fra i divani del Grand Hotel Sofia si consumavano le “Idi di Noto”. L’inizio della nuova era forzista nei rapporti col governo Schifani, in un clima festoso come nell’Antica Roma, in cui però le Feriae Martis furono poi legate alla congiura dei senatori che uccisero Giulio Cesare, proconsole diventato dittatore.
Il dopocena galeotto
I fatti. Dopo la visita serale all’Infiorata che inneggia alla pace e dopo la cena di partito che gronda di armonia, un nutrito gruppo di big siciliani, pernottanti e non, s’incontra. La rivelazione arriva da un testimone oculare che li ha colti in flagrante. Fra i presenti certi l’assessore Edy Tamajo, l’europarlamentare Marco Falcone e il deputato regionale Michele Mancuso; avvistati anche i colleghi Gaspare Vitrano, Nicola D’Agostino, Riccardo Gallo e Margherita La Rocca, più una sagoma che somiglia al capogruppo Stefano Pellegrino. Ma quando La Sicilia prova ad approfondire c’è il fuggi-fuggi virtuale. «Io dopo cena sono tornato ad Acireale», giura D’Agostino. «Abbiamo parlato, ma non di problemi del partito: va tutto benissimo», risponde La Rocca Ruvolo in un sms in cui è impossibile cogliere l’eventuale vena ironica.
Il ruolo di Cardinale e Lombardo
Magari oggi altri proveranno a fornire alibi inattaccabili che li pongono fuori dalla “scena del delitto”, ma il punto non è fare l’appello dei presenti. Il dopo cena degli anti-Schifani, come ci conferma più di uno dei presenti, c’è stato. E quello che conta di più è il contenuto. «Un coro quasi unanime di dissenso, strozzato da una vigliacca ipocrisia», la sintesi più efficace. Di chi non smentisce la presenza al convivio, seppur in viva voce al telefono, dell’ex ministro Totò Cardinale, coach politico di Tamajo, che nelle ultime settimane ha intensificato il pressing su Maurizio Gasparri, capocorrente di Falcone, per «unire le forze e pesare di più dentro il partito».
Dai brandelli di testimonianze sussurrate si apprende pure della presenza, immanente quasi come in una seduta spiritica, di Raffaele Lombardo, federato a Forza Italia con il suo Mpa, al corrente dell’incontro, evocato fra i concorrenti esterni della fronda.
Osservatori non certo disinteressati, ma alla giusta distanza dai mal di pancia dell'Ars, altri due siciliani con ruoli di spicco a Roma: il vicepresidente della Camera Giorgio Mulè e la sottosegretaria Matilde Siracusano.
Guerra a Caruso e ai "tecnici"
I temi? Non certo inediti. I sempre più forti mal di pancia nei confronti di Marcello Caruso, segretario regionale inviso a quasi tutto il gruppo dell’Ars. Soprattutto ai palermitani, che lo chiamano «senatore» per esorcizzare il seggio a Roma per uno che «l’ultima volta che s’è candidato ha preso 500 voti». Più volte rimandato, «per mancanza di coraggio», il documento per chiedere a Tajani di cambiarlo, adesso i tempi sembrano essere più maturi per un passo di lato di chi riveste anche il ruolo di segretario particolare a Palazzo d'Orléans.
E poi i famigerati tecnici: ancora indigeste le nomine di Alessandro Dagnino e Daniela Faraoni, «assessori del presidente», che per qualcuno dei presenti sarebbe «troppo legato al suo salotto palermitano» oltre che «succube di Totò Cuffaro e Luca Sammartino».
L'asse Falcone-Tamajo
E quindi? Uno sfogo, l’ennesimo. Al quale, per adesso, non seguirà nulla di concreto. Falcone è l’unico a rompere l’unanimismo onanistico della kermesse di Noto: «Abbiamo il dovere di guardarci negli occhi - ha scandito nel suo intervento - e dirci come stanno le cose. Da una parte c’è il partito che traccia le linee politiche perché ha avuto la fiducia della gente, dall’altro lato chi ha responsabilità di governo è giusto che resti in sintonia con il partito e con la gente». Ma l’ex assessore, scottato dalla precedente esperienza di capo-fronda contro Gianfranco Miccichè, non ha alcuna intenzione di bruciarsi in prima linea. Il dialogo con Tamajo può anche diventare un asse dominante, ma dovranno essere gli ex sicilfuturisti (fra i quali D’Agostino ha già mostrato segnali pubblici di insofferenza) a tirare la carretta dell’opposizione a Schifani.
Senza fretta. Prima ci sono le nomine del sottogoverno, con l’aspettativa di «una compensazione», c'è qualche dirigente regionale da proteggere, c'è qualche poltrona deluxe da confermare. E poi si vedrà. Il tempo c’è, nell’interminabile biennio finale della legislatura. Per ora quella di venerdì resta una bicchierata, un ammazzacaffè fra amici che condividono le stesse idee. Ma magari in futuro la notte delle “Idi di Noto” avrà un valore diverso.